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L’arcivernice: Gli occhi di Euclide (settantaquattresima puntata)

Pubblicato il: 21/02/2014 14:20:04 -


“Fu così che gli venne naturale pensare a Euclide, e al suo libro immortale. Euclide, di cui non si sa quasi nulla. Euclide, colui che ha scritto il libro più edito, e più diffuso, dopo la Bibbia. Esempio di perfezione, scultoreo paradigma delle scienze esatte da duemilaetrecento anni. Euclide... qualche icona pure si trovava, non si sa quanto autentica, eppure l’arcivernice, una volta di più, funzionò”.
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Ramon stava leggendo un articolo di “Le scienze”, e ne stava traendo una forte impressione: “La ricostruzione di 4000 anni d’incroci fra i popoli basata sulle tracce genetiche che hanno lasciato permette di osservare le conseguenze di grandi eventi storici, ma anche di trovare tracce di avvenimenti per i quali non esistono documenti: dal ‘lascito’ dell’esercito di Alessandro Magno agli abitanti dell’Hindu Kush a quello dell’Orda d’oro in Bulgaria” [1]

Da un lato pensava a quanto le scoperte sul genoma umano, e sulla genetica, gettassero nel ridicolo ogni forma di razzismo; e gli venne anche da sorridere a pensare che il DNA di un uomo e quello di un orango coincidono per il 99%… Chissà di quanto differisce il DNA di un razzista, si ritrovò a pensare, rispetto all’orango.

Ma un’altra cosa lo colpiva. La spedizione di Alessandro. Segmenti di genoma europeo ritrovati in popolazioni montane, relativamente isolate, come il Kalash, incastonato nelle alte montagne del lontano Pakistan. Quanto incredibile fu quel capitolo della storia! Là, in quel posto remoto, probabilmente qualche centinaio di uomini, che avevano seguito Alessandro per migliaia di chilometri, a piedi, dopo infinite battaglie, dopo interminabili assedi, dopo centinaia di saccheggi e di scontri, stremati, distrutti, decisero di dire un addio alla patria, a tutto il loro mondo, al passato, e di fermarsi una volta per tutte, per sempre. Quale enorme sconvolgimento di tradizioni, di contatti, di culture diverse si irradiò nello spazio di pochi anni in tutto il mondo! E da qui quante altre cose conseguirono. L’ellenismo, la scoperta della logica di altre lingue, la scoperta della grammatica stessa, la nascita di una grande, seconda civiltà egiziana. Già, Alessandria, la città di Alessandro, con il suo Museo e la sua gigantesca biblioteca.

Fu così che gli venne naturale pensare a Euclide, e al suo libro immortale. Euclide, di cui non si sa quasi nulla. Euclide, colui che ha scritto il libro più edito, e più diffuso, dopo la Bibbia. Esempio di perfezione, scultoreo paradigma delle scienze esatte da duemilaetrecento anni. Euclide… qualche icona pure si trovava, non si sa quanto autentica, eppure l’arcivernice, una volta di più, funzionò.

Non era prestante nella figura, ma una cosa colpiva: gli occhi, mai fermi, vivacissimi, di una mobilità quasi ferina, che parevano guardare tutto e tutto vedere. Occhi che vedevano figure perfette, che avevano accesso non a una cosa quadrata, ma al “quadrato in sé”, come aveva detto Platone; occhi che trascendevano le linee fisiche e imprecise tracciate sulla sabbia, e al di là di esse vedevano quelle che Husserl avrebbe chiamato essenze, e gli Accademici avevano chiamato “idee”. E i prolungamenti inesistenti delle linee, e i punti d’incontro di linee immaginarie, lunghezze senza larghezza, quanto dimeno possa esistere in questo mondo. E superfici senza spessore; e, più ancora e soprattutto, punti senza dimensione: “punto è ciò la cui parte è il nulla”. L’uomo che ha portato la geo-metria, da tecnica empirica di misurazione della terra, a strumento di pura razionalità intellettuale. Un monumento alla scienza, una assieme all’introduzione del metodo galileiano, delle due svolte epocali nella storia della conoscenza scientifica.

“Maestro, gli storici ancora non si spiegano l’unicità, la particolarità, l’eccezionalità degli ‘Elementi’, il libro dei libri per uno scienziato… Come nacque, come venne l’idea, perché non ci sono manuali alternativi, malgrado l’intensità e il livello degli studi dei Greci in geometria?”.

“Ramon, un libro come il mio è una liberazione, è il superamento di una sofferenza. Tu non hai idea di quanti testi di geometria esistessero ai miei tempi. E per quanti anni ho studiato, pensato, sofferto, sui trattati di tanti sommi autori, prendi Eudosso come esempio. E io volevo mettere tutto, fare il punto, dunque nulla doveva andare perso, dalla geometria alla teoria dei numeri, a tutta la matematica. Non crederai, come purtroppo i più, che il mio ‘Tà Stoicheia’ contenga solo la geometria. Guarda il decimo libro, e la trattazione dei numeri primi, ad esempio. La sofferenza, ma anche la definitiva soddisfazione, sono state enormi. Da un lato non potere trascurare niente, dovere studiare tutto, dall’altro sistematizzare, recuperare la coerenza interna, mettere il tutto in forma assiomatica…”.

“Ma alla fine la cosa è riuscita nel migliore dei modi…”.

“Mah, nel modo migliore, mi auguro, per le condizioni date. E poi dovevo fare i conti con due monumenti del pensiero, Platone e Aristotele, cioè, non solo con la scienza, ma anche con la filosofia della scienza. E allora, ecco, io ho assunto una visione platonica quanto all’esistenza degli enti matematici, ho cercato di inserirmi, se vuoi di sublimare, la grande tradizione eleatico-platonica, in specie quanto alla ‘esistenza ideale’ degli enti matematici; dall’altro, non potevo non fare i conti con la magistrale lezione dei Secondi Analitici nella organizzazione di una ‘scienza deduttiva’. Ho rovinato la mia vista a studiare, giorno dopo giorno, notte dopo notte…; e ciò che ne uscito rispecchia fedelmente il dettato del sommo Aristotele, nella suddivisione dei principi in ‘termini’, o, come si dice oggi, definizioni, ‘postulati’, o ‘aitemata’, ovvero le assunzioni specifiche della disciplina, e ‘assiomi logici’, o ‘nozioni comuni’, ‘koinai ennòiai’, principi logici comuni a più scienze, il dettato dei secondi analitici. Esempio del primo tipo: ‘punto è ciò che non ha parti’; e ‘linea è lunghezza senza larghezza’. Esempi del secondo tipo: ‘per due punti passa una sola retta’; ‘per un punto passano infinite rette’. Esempi del terzo tipo: ‘somme di parti uguali sono uguali’.
Pensa al terzo, Ramon: come ben si capisce, non vale solo in geometria; lo stesso sarebbe se i nostri oggetti fossero numeri. La nozione, cioè, è ‘comune’ a più scienze, ovvero non si applica solo a quello che noi chiamavamo ‘genere sottoposto’, e voi ora ‘universo del discorso’, o, se vuoi, ontologia regionale”.

“Maestro, ma per chi ti schieri, gli enti matematici sono ‘dianoetica’, cioè conoscenza razionale, subordinata alla ‘noesis’, la conoscenza diretta delle idee, come dice Platone, o sono conoscenza noetica, posta al sommo della piramide della razionalità, cui basta essere presenti, in quanto ‘predicabili secondo verità di più cose’, quanto basta perché si dia la verità, come dice Aristotele, che con questo ritiene di potere ‘dare un calcio alle idee’?”.

“Ecco, in questo io vorrei essere un ‘matematico’, pur rispettando la filosofia e soffrendo in essa. Ed è innegabile che il matematico privilegia il fatto che tutto formalmente torni, che la coerenza sia assicurata. Io non mi sono voluto schierare, in questa diatriba che ancora oggi in ben pochi colgono. Ho assunto un’esistenza platonico-parmenidea degli enti di ragione a cui dedicavo i miei sforzi, e pagato il mio tributo a Platone. Di più, ho concluso la mia fatica con i corpi platonici del Timeo; ma ho pagato altrettanto tributo ad Aristotele, costruendo un impianto teoretico assolutamente aristotelico. Più di tanto non potevo fare, almeno con le mie forze. Aggiungo che ho seguito il monito aristotelico di muovermi sempre sull’infinito potenziale, e mai attuale, secondo le indicazioni della ‘Fisica’ di Aristotele; ho parlato di segmenti prolungabili piuttosto che di ‘linee infinite’; guarda il teorema sull’infinità dei numeri primi, nel decimo libro degli ‘Elementi’: non dico mai che ‘vi sono infiniti numeri primi’, ma piuttosto che, dato un numero primo, se ne può sempre trovare uno maggiore: infinito in potenza; come vedi: ho sempre un numero finito di cose davanti, anche se non c’è limite all’aggiunzione. Credo di avere pagato il conto a entrambi. Se poi mi chiedi come la penso io, be’…”.

“Be’…?”

“Vedi, io credo…”

La voce stessa svaniva, diventava sempre meno percepibile, fioca e alternata a silenzi totali, come parole cancellate. E Ramon capì che non avrebbe mai saputo la risposta. Della figura, gli ultimi a svanire furono gli occhi, quegli occhi consumati da una fatica enorme, e tuttavia ancora vividi, traboccanti di un’infinita curiosità.

Di nuovo solo, nella sua cameretta, gli venne naturale portarsi le mani alle tempie, piegarsi leggermente sul tavolo, e pensare. La geometria, per oltre 10.000 anni misurazione della terra, attività dunque empirica, fatta con corde annodate (da cui il ‘nodo’ come misura di lunghezza); e l’accumulo di esperienze, lo scrutare le regolarità e le invarianze, tesaurizzare l’esperienza. Poi, come dice Aristotele nella chiusa dei ‘secondi analitici’, ecco che interviene il ‘nous’, ecco che si colgono i primi principi, con un atto di intellettualizzazione. E allora si verifica il passaggio questo sì epocale, quel che ora chiamiamo ‘euclidizzazione’: il campo del sapere si trasforma da attività di misurazione, da sapere empirico, con semplice raccolta di dati, a scienza assiomatica. E la domanda che gli si presentò con prepotenza, quasi inevitabile per chi si ponga in un’ottica epistemologica, non poteva che essere: ma questo è un fenomeno unico, che riguarda solo le scienze matematiche, o è il percorso naturale del sapere? L’uomo accumula nozioni per millenni, entro una scienza empirica, e infine ‘coglie i primi principi’, e il corpus di quel sapere si trasforma in scienza deduttiva. Ci sono esempi all’infuori della matematica? Mah, forse qualcosa del genere si può dire per la meccanica razionale; ma non certo per la fisica in generale, o per la chimica, o per la biologia. Ma ecco il punto: quei saperi sono intrinsecamente empirici, e tali saranno per sempre, oppure noi stiamo percorrendo quelle migliaia, quelle decine di migliaia di anni, di osservazioni, di sforzi razionali, che consentiranno un giorno di renderli assiomatici? Ramon pensò che bastava aspettare: nella considerazione del tempo la filosofia superava tranquillamente anche quella dei geologi… Che poi il singolo individuo, allora, sarà morto, cosa cambia? Bisogna imparare a distinguere il transeunte dall’eterno, se si vuole pensare davvero.

Note:
[1] Le Scienze, “Una mappa genetica che aiuta la storia”, 14/02/14

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