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L’arcivernice: Una madonnina fosforescente (terza puntata)

Pubblicato il: 02/12/2011 19:03:22 -


“Guardò Ramon allora una statuetta, una madonnina fosforescente. Usata mezzo secolo fa. Pensò allora che il mondo era fatto di stanze, di alberi, di odori e di giardini. Ma poi ebbe lo straniamento. C’era davvero, là fuori, quella madonnina?”.
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Ramon era frastornato. Troppo input. Continuava a guardare gli oggetti, quasi senza vederli, di quella strana stanza. Quell’odore di antico, coinvolgente e gradevole insieme, un misto dell’odore della muffa, del muschio, del sottobosco fungino, degli aghi di conifera accumulati. Quelle forme essenziali, lineari, quasi cubiste dei mobili di una volta. Quei pochi oggetti, quasi sovraimposti, come in una pittura metafisica. Nulla di più, nulla di barocco.

Guardò Ramon allora una statuetta, una madonnina fosforescente. Usata mezzo secolo fa. Pensò allora che il mondo era fatto di stanze, di alberi, di odori e di giardini. Ma poi ebbe lo straniamento. C’era davvero, là fuori, quella madonnina? E di che colore era? E dov’erano i colori, erano là fuori, nel mondo esterno, o erano nella retina, o in nessuno dei due posti? Che cos’è un “colore”? Fisicamente, un’onda con una certa ampiezza e una certa frequenza. E dunque dov’è? Nel mondo della meccanica razionale, nelle tre coordinate euclidee più il tempo; o nella mia mente? Nel flusso della Erlebnis, o “là fuori”?

Ramon non voleva un mondo in bianco e nero; né un mondo senza colori. Ma poi, come fa una cosa a essere senza colori? E allora, l’esistenza e l’avere colore si coimplicano, almeno estensionalmente? Controprova. Esperimento mentale: prova a generarti una rappresentazione senza colori. La diafanità del trasparente è pur sempre un colore… Caravaggio la saprebbe dipingere, infine.

Il modello di Marr funzionerebbe senza i colori? Come, nel secondo passaggio, individuare le profondità, come individuare gli assi di simmetria delle superfici?

Ricominciamo, si disse. Là fuori ci sono alberi e montagne, ruscelli e conigli. Oppure onde elettromagnetiche? Di cosa ho evidenza? Al bar riderebbero, se andassimo a dire che ci sono onde e basta. Non desiderare la donna d’altri: perché guardi le onde che provengono da mia moglie? Ma che bisogno c’è, allora, che la moglie esista davvero, non bastano le onde?

Altro è la sensazione, altro la percezione. Le onde sono della sensazione. Ma cosa percepiamo e perché? In questo contesto, che cos’è la prospettiva? C’è davvero, è nella sensazione o nella percezione? Qui vengono in aiuto, o forse, complicano le cose, le qualità figurali di Von Erenfels. Che cosa vuol dire che il reggimento, che sta marciando, si ferma? I primi soldati sono fermi, mentre tutti gli altri continuano a marciare. Ma allora cos’è che si ferma? Esiste il reggimento? Esistono gli oggetti di ordine superiore? E se non esistono, come descrivere con il moto delle molecole una cosa semplice semplice, che anche un bambino capisce, che “il reggimento si ferma”? Qui forse si può invocare l’assunto olistico della Gestaltpshycologie; o forse è anche peggio. “Oggetto” non è pura datità materiale: la coesione fisica essendo proporzionale alla forza applicata. Dunque gli uomini forti avrebbero più oggetti, perché più sono le cose che potrebbero separare in pezzi… Serve allora l’haecceitas?

Ci sono cinque sensi, e poi c’è il senso comune, quello che li coordina. Guardo la tazza del mio caffè. Tocco una cosa liscia, convessa, larga una decina di centimetri; assorbo un gradevole liquido caldo. Assumo allora che ci sia uno stesso oggetto che è “visto”, “toccato”, “gustato”.

Perché i sensi non si compenetrano, non puoi usare un senso al posto di un altro: non puoi vedere i rumori o sentire le immagini. Vedere i rumori…

Ci sono due tipi di persone che possono vedere i rumori. I pazzi e i filosofi. Ma anche Dante; a quale categoria lo mettiamo in conto?

“parlare e lagrimar vedrai insieme”

Lettura materialista: vedi che Ugolino parla, perché muove la bocca e fa gesti. Lettura estetizzante, paradigma Croce-Flora: zeugma.

Tutto questo, per continuare a sperare che ci sia un mondo solo. Anche se si dice in molti modi.

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi

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