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L’arcivernice: Individuo e sostanza, l’essere si dice in molti modi – I (ventottesima puntata)

Pubblicato il: 21/06/2012 16:59:54 -


“Aristotele si presentava ben diverso da Platone, e, per quanto Ramon fosse di carattere piuttosto ardito e deciso, per la prima volta dall’inizio di questi incontri prodigiosi si rese conto che la sua voce era lievemente tremante”. Ramon riporta in vita Aristotele.
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La haecceitas, l’essere proprio quella cosa lì, e non un’altra. A questo pensava Ramon, mentre di mattina presto prendeva atto che finalmente la primavera era arrivata. Era un fresco diverso, e il pur malconcio e poco curato giardino, di cui vedeva solo la parte più lontana, data l’altezza della finestra, aveva tuttavia qualcosa di più rigoglioso e più rasserenante del solito.

Secondo una certa linea di pensiero, quella occamistico-empirista, solo gli individui esistono, le idee generali essendo “flatus vocis”, o costruzioni mentali. Ma l’esser-un-individuo è davvero qualcosa di più immediato, di riscontrabile, di più facile da capire di un universale, di un collettivo, o, più banalmente, “e parte sermonis”, di un nome comune? Quando fermarsi nell’analisi per trovare l’in-dividuo, ciò che non si può più dividere? Per gli organismi viventi in fondo la cosa è dominabile, perché fa da discriminante quella misteriosa cosa che noi chiamiamo “vita”. Così sembra plausibile che un cane, o un cavallo, siano un individuo, e non un insieme di molecole: tagliandolo a pezzi, il cavallo “muore”. Viceversa per le cose inanimate il problema pare di tutt’altra natura. Un tavolo è un individuo o un ammasso di legno, o di molecole, o di atomi, o di particelle sub-atomiche, o, persino, nemmeno di materia, ma di materia/energia? Secondo una certa altra chiave di lettura, un individuo è una astrazione metaempirica al pari di una categoria: in realtà noi esperiamo sempre e solo dati sensibili, e solo attraverso la percezione e la concettualizzazione li organizziamo poi in individui e collettivi. Così l’individuo sarebbe una astrazione, un punto limite mai esperito, mentre il nostro vissuto si svolgerebbe entro una dimensione intermedia, un fascio di sensazioni simile alla primordiale broda cartesiana.

Ramon prese una decisione che, oltre che emozionarlo, un poco lo spaventava. Era deciso a chiamare in causa nientemeno che “il maestro di color che sanno”. Non gli fu difficile trovarne l’icona.

Aristotele si presentava ben diverso da Platone, cui a Ramon venne naturale paragonarlo: l’aria pensosa, la corporatura molto più minuta, nessun segno di alterigia, si accarezzava lievemente la barba a tratti già bianca. Per quanto Ramon fosse di carattere piuttosto ardito e deciso, per la prima volta dall’inizio di questi incontri prodigiosi si rese conto che la sua voce era lievemente tremante.

“Maestro, tu dividi l’essere in dieci categorie, ma ritieni poi che l’ambito della conoscenza scientifica, ciò che definitivamente e pienamente è, sia solo la prima, quella della sostanza, l’‘ousia’”.

“È così; la sostanza è autonoma, autosufficiente, non ha bisogno d’altro che di sé per esistere. Non così le altre categorie, i ‘symbebecota’”.

“C’è un salto ontologico tra la sostanza e le altre…”

“Non solo ontologico, ma anche logico, Ramon. Entro la categoria della sostanza si svolge l’analitica, perché il discorso della sostanza è transitivo, mentre al di fuori della sostanza non lo è. Se io dico che Socrate è uomo, e uomo è animale, concludo di necessità che Socrate è animale. Ma se faccio intervenire predicati esterni alla sostanza, la transitività non vale più. Se tu dici che Socrate è bianco, e bianco è colore, non potrai certo dedurre che Socrate è un colore, o alcunché d’altro”.

“Ma allora, che cos’è l’individuo, l’individuo è sostanza?”

“Sì. Tu puoi dire l’essere in tanti modi, e anche così: esso si sviluppa nelle categorie, nei generi e nelle specie e sottospecie, in una grande piramide, la grande piramide dell’essere e del dirsi-di. Fino alla soglia delle specie infime, sotto le quali non stanno altri collettivi, ma le sostanza prime, che esprimono l’essere in massimo grado; come questo uomo, che sei tu, o questo cavallo”.

“Ma come convincerò di questa visione chi ci assimila a un fascio di percezioni? Che cos’ha la sostanza prima di diverso, perché io la possa distinguere?”

“Tu lo dimostrerai così: togli a Socrate una mano, e quegli sarà ancora Socrate, Socrate monco. Tu togli un lato a un esagono, e non sarà più un esagono. Togli un requisito a una proprietà, e non sarà più quella proprietà, diventerà un’altra proprietà. Togli al verde la componente blu, e non sarà più la proprietà dell’essere verde, ma quella dell’essere giallo. Solo la sostanza prima, l’individuo cioè, è fatto per accogliere i contrari, può accogliere la gioventù e la vecchiaia, la salute e la malattia, l’integrità e la menomazione”.

“Tu sai bene, Maestro, che c’è stato chi ha considerato la sostanza una entità metafisica, indimostrabile o addirittura malfondata”.

“Questa mia via è uno dei modi di dire l’essere. Anche chi la nega in realtà spesso implicitamente vi aderisce, senza esserne consapevole. Essa è insita nelle lingue fonetiche occidentali, in tutte. La struttura stessa del linguaggio ne è portatrice, l’organizzazione del logos in ‘hypokeimenon’, soggetto, copula e predicato, indipendentemente poi dal fatto che la copula sia assorbita o meno nel predicato”.

Ramon doveva pensare. Seguì un lungo silenzio.

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi

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