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L’arcivernice: Ramon e Cartesio (quattordicesima puntata)

Pubblicato il: 24/02/2012 16:49:09 -


“Tu credi in Dio, Maestro?”. In questa puntata, Ramon decide di porsi la domanda più impegnativa di tutte, quella che riguarda l’esistenza di Dio e la vita dopo la morte. Come interlocutore, sceglie “l’elusivo, l’affascinante” Cartesio: “Un mondo senza Dio è irrazionale, un mondo con un Dio tiranno è riprovevole. Prega, ragazzo...”.
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A chi chiedere se esiste Dio? In fondo, questa è la domanda delle domande, spesso inconfessata. Molti, i più, la mascherano sotto le specie di molte sottodomande parziali: esiste il giusto in sé? Esiste l’anima? C’è qualcosa dopo la morte? Chi non ha giustizia in questo mondo l’avrà in un altro? Tutte queste domande sono segno di vigliaccheria, sono la ritrosia, il pudore, per porsi la domanda delle domande. E questo perché?

Perché, di fronte all’immane compito di questa decisione, il meccanismo di difesa consolidato è l’ironia, nella società efficientista; altro è di fronte alla malattia fatale, o sul letto di morte. Là dove cessa il sarcasmo e prevale la lucidità dell’angoscia. Filosofia vuol dire prima di tutto coraggio: a dispetto del “rispetto umano”, questo è il punto, e di fronte a questo non si può arretrare: Dio esiste? Ramon non era un vigliacco; troppo facile, ma troppo deludente, rimuovere e tornare a un difettivo concreto. Ma chi poteva gettare luce, chi evocare?

Era troppo chiaro che cosa avrebbe detto San Tommaso, o Karl Marx. A chi chiedere un barlume di luce? Forse Kant, che da un lato smonta la prova tomista e quella di Sant’Anselmo, dall’altro apre altri spiragli, meta-spiragli… Per ogni autore a cui Ramon pensava, si prefigurava un esito scontato. Finché a Ramon venne un’idea. Si doveva ricorrere a un filosofo di cui non si sapesse veramente la risposta, un filosofo ipocrita.

Chi più adatto, chi meglio di Cartesio? Dell’elusivo, del falso, del geniale, dell’affascinante Cartesio? Che cosa pensava davvero Cartesio, in che cosa credeva? Che cosa avrebbe detto e scritto se non ci fosse stato, in contemporanea, il processo a Galileo? Ecco a chi chiedere, al Signor delle Carte… Sgombriamo il campo da ogni “morale provvisoria”, da ogni compromesso con la Santa Inquisizione. Parliamone qui, in un Paese libero (?) e democratico (?)…

Il Cavalier Descartes vestiva di nero, da nobile ma nel modo meno appariscente possibile, la spada al fianco a testimoniare il suo ceto, il naso aquilino, senza la parrucca dei cortigiani, la testa alta, altera, i capelli in un razionale disordine, l’occhio vivo e indagatore.

“Tu credi in Dio, Maestro?”

“In Dio, in quale Dio, che cosa vuol dire ‘Dio’? Di un certo Dio c’è bisogno, ragazzo, se no sarai solo per sempre. Ce la puoi fare, ragazzo, a pensare che la tua ragazza è un androide, che non c’è pensiero dentro, che tutto, fuori di te, è macchina inconscia? Questo è il prezzo da pagare, sei pronto?”

“Allora Dio c’è…”

“Quale Dio? Prendi le prove di Tommaso. Io non potevo usarle, avevo distrutto il mondo dei sensi. Ma ammettiamole pure, per amore di discussione. È certo infatti, ed è provato dai sensi, che a questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da altro. Risalendo di movimento in movimento, dobbiamo fermarci a un primo motore in grado di muovere se stesso. E questo chiamiamo ‘Dio’. Ma è di un motore che abbiamo bisogno? Il passaggio sta tutto qui: dal costrutto logico che smonta il regresso all’infinito, e lo riconduce all’assurdo, arriviamo a un moto primo. Lo stesso è per la causa, e per altre vie. Abbiamo bisogno, razionalmente, di una causa prima. Ma vedi, ragazzo, c’è un passaggio subdolo, sottinteso, che è il punto della questione. Un motore, una causa, sono ‘persone’? Che cosa giustifica il passaggio dal motore alla ‘persona’? Chi ci garantisce che la ‘persona’, con la sua volontà, il suo intelletto, il suo ‘deliberato consiglio’, sia quel moto, sia quella causa prima? Siamo sicuri che la ‘persona’ sia la più alta forma di vita? Non sarà, questa, l’ennesima concessione a un inconfessabile antropomorfismo? Altro è la forma anselmiana, l’idea di perfezione, inconcepibile come non ente. Vanificata con il dubbio metodico la conoscenza sensibile, a me non rimaneva che la prova ontologica, la necessità intrinseca dell’idea di perfezione di esistere ‘ex statuto’, per non essere imperfetta, ovvero per non essere se stessa, cosa vietata ad alcunché, per non mancare di qualcosa. La perfezione poi garantisce l’esistenza degli altri, la credibilità della ‘res extensa’, il fatto che la tua donna non sia un robot.”

“Allora tu credi in Dio, Maestro.”

“In un Dio che è perfezione; del quale non ho garanzia che ‘voglia’, che ‘capisca’, che ‘scelga’. Dal modo, dalla causa, dalla perfezione, non discende l’essere ‘persona’. Tutto ciò di cui siamo certi è che un cominciamento è una necessità razionale. Altre vie sono contraddittorie.”

“Ma è un Dio che io posso pregare… Posso dire ‘Pater noster’.”

“Fai quello che ti senti, ragazzo. Il mio Dio mi garantisce l’esistenza degli altri, l’adeguatezza dei mezzi di conoscenza, la via d’uscita dal solipsismo cosmico, dalla solitudine agghiacciante di essere pensiero solo, puro, delirante. Questo chiedo a Dio, e mi basta. Tu credi quello che vuoi, e prega quello che vuoi. A me, quello che dà è sufficiente, mi fa recuperare gli alberi e le montagne, i miei simili, e gli sono grato. È questo che gli chiedo e gli sono grato. Di più non so. Non saprei dire se ha una volontà, un intelletto, un’emotività separate e coese. Dio persona? Può darsi. Dio come principio che vede in noi una monotona, lenta, inutile, fila di formichine vanamente laboriose, per fini risibili, inutili e trascurabili? Forse anche. Perfetto: ma che vuol dire ‘perfetto’? Persona? Magari sì. ‘Sed contra’: se siamo vermi piatti, non vedremo mai la terza dimensione: c’è qualcosa oltre la ‘persona’, di più perfetto ancora, di più cogente, più razionale? Forse, e allora il dialogo è impossibile.”

“Ma allora, Maestro, posso dire un ‘Pater Noster’…?”

“Forse. Un mondo senza Dio è irrazionale, un mondo con un Dio tiranno è riprovevole. Prega, ragazzo…”

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi

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