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L’arcivernice: Ramon scopre la semantica (ventunesima puntata)

Pubblicato il: 13/04/2012 13:35:38 -


“Anche le parole hanno una vita... Ma anche i significati possono cambiare?”. Ramon riporta in vita Ferdinand de Saussure e dialoga con lui di semantica, tra linguistica e filosofia.
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La catena favola/mito/filosofia. Le favole sono “false”, ma false in che senso? E il mito, da cui è nata la filosofia? Il più noto, il mito della caverna. Le ombre che sole vedo, e che mi testimoniano di un mondo esterno. Cosa c’è di vero e di falso nel mito? L’ircocervo, l’asino di Buridano, l’auriga con i due cavalli dell’anima umana, il magnete… La leggenda di Arione, che, suonando quasi meglio di Apollo, commuove i delfini. Tutto questo è falso? Ma quello che ne traggo come insegnamento è falso o è vero?

Il falso esiste? Se il significato di un enunciato è quello che avviene nel mondo, c’è un antimondo per le cose false?

Così pensava Ramon, e soffriva sul fatto che il problema del significato fosse complesso come non mai avrebbe supposto.

La prima idea ingenua, che viene normalmente in mente, è che ci siano le espressioni da una parte e le cose dall’altra. Troppo semplice, come al solito. Che cosa capiamo, quando comunichiamo tra di noi? La prima risposta è quella degli ingegneri, copiata poi dai semiologi. Abbiamo un emittente, A, un ricevente, B, un canale, un codice, un messaggio. Se il codice è applicato correttamente, il canale è affidabile, non ci sono “rumori” o disturbi, quanto viene emesso da A arriva a B. Evviva.

Ma chi è A, che pensieri, che ansie, che visioni ha? E come le prende B, che riceve il puro strato digitale e meccanico del messaggio di A? Il processo non è simmetrico, come nella visione ingegneristica: ciò che arriva a B non è il pensiero di B, ma il pensiero di A. E B lo deve “interpretare”; cioè, far sì che il pensiero di A entri nel suo proprio. Ciò che si ottiene è come B capisce il pensiero di A. Non è come in uno specchio. O, meglio, lo specchio può essere deformante.

Gli venne in mente l’esempio di Frege. C’è un cannocchiale puntato sulla Luna. Io guardo, e c’è la mia rappresentazione mentale della Luna. È mia, è diversa da tutte le altre. Poi guardi tu, e c’è la tua, la tua rappresentazione, magari sei miope o daltonico: in ogni caso la tua rappresentazione non sarà mai identica, o, meglio, la stessa, della mia.

C’è l’immagine riflessa dentro al telescopio, e questa è la stessa per tutti. E c’è la Luna, là fuori, la stessa.

Ma il modello shannoniano non va fino in fondo. È come il gas perfetto, ciò che non esiste. La mia Luna, la tua Luna… e la Luna di tutti qual è?

Ramon sfogliò con avidità, e finalmente trovò l’immagine di de Saussure. Cosa avrebbe potuto sperare di più?

“Maestro, cosa lega il significante al significato? Che legame c’è tra ‘Luna’ e la Luna?”

“La parola ‘cane’ non morde, Ramon, e la parola ‘tetto’ non rientra nella parola ‘casa’”.

“Ma allora tutto è pura convenzione, tutto avviene dentro di noi, per un patto sociale atavico mai esplicitato?”

“La lingua non è ‘nomenclatura’, come aveva già capito Aristotele, non è cioè una corrispondenza necessitata di parole e di cose; ma la ‘convenzione’ fa sì che una certa entità acustica (significante) venga legata a un certo concetto (significato). La varietà delle lingue dimostra che tra le due entità non vi è alcun legame ‘naturale’. Da lì in poi significante e significato sono come due facce dello stesso foglio”.

“Tuttavia, tuttavia… La gente usa le parole in modo diverso, e le parole stesse cambiano nel tempo; e con esse i significati”.

“Vedi Ramon, tu devi distinguere tra la lingua e il suo uso. La prima è un sistema teorico, il secondo un accadimento concreto. Da un lato abbiamo la ‘langue’, il sistema della legalità a priori, che è come il gas perfetto; dall’altro la ‘parole’, cioè l’insieme degli atti umani, personali e irripetibili, dei parlanti. Ma il sistema nel suo complesso è un corpo vivo, e come tale si evolve. Così tu puoi studiare la linguistica come la fotografia dello stato di cose a un certo istante, ossia in modo sincronico, o come il processo di continuo cambiamento che avviene da un lato entro la dialettica langue/parole, dall’altro per lo stesso fluire del tempo della storia, cioè in modo diacronico. Per fare il più banale degli esempi, una parola difficile da pronunciare viene usata sistematicamente in modo errato dai più; nel tempo, la parola errata prende così il posto, soppianta quella corretta. Un fenomeno assai frequente è quello della metabasi, cioè dello scambio di due lettere, che avviene spesso semplicemente per rendere più agevole la pronuncia della parola. Così dal greco ‘arpax’ si passa al latino ‘rapax’ e all’italiano ‘rapace’”.

“Anche le parole hanno una vita… Ma anche i significati possono cambiare?”

“Le parole possono cambiare di significato, cioè avere significati diversi in epoche diverse; così come cambiano le cose, e questo induce dei mutamenti nel significato delle parole. Ma attenzione a non confondere il significato con la cosa: il primo appartiene al linguaggio, la seconda al mondo”.

“Ma allora il significato è un ente linguistico?”

“Questo è il problema dei problemi. Nel mio sistema, sì, ma è una accezione tecnica di ‘significato’, è l’altra faccia del significante. Cosa sia il significato in termini generali è problema filosofico e non linguistico, e ben lontano dall’essere risolto. C’è chi colloca il significato nel mondo delle idee oggettive, chi nella mente umana, chi nelle cose stesse in quanto risultato di un processo astrattivo ma impersonale, oggettuale…”

“Ma, Maestro, dimmi il tuo parere”.

Di Ferdinand de Saussure erano ormai indistinguibili i contorni, e le piccolissime particelle luminose svanivano rapidamente ad una ad una.

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi

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