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L’arcivernice: Come Ramon vede la crisi (ventiseiesima puntata)

Pubblicato il: 26/05/2012 11:46:46 -


“Il primo pensiero che gli venne fu di quanto fosse strano il mondo. Una parte ricca, sostanzialmente minoritaria, e grandi aree di sottosviluppo e di fame. Strano mondo”. Stavolta Ramon non riporta in vita i grandi pensatori e tira fuori del suo.
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Ramon non aveva voglia di alzarsi, quella mattina. Mise il cuscino quasi in verticale, e, semiseduto ma ancora a letto, si pose le mani dietro la nuca, con i gomiti lontani all’estremo. Gli venne in mente Cartesio, e la sua abitudine, nel collegio di La Flèche, di soffermarsi a lungo a pensare, la mattina, alzandosi tardi. E la tolleranza del padre Mersenne, che aveva intuito la genialità di quell’allievo tutto particolare. Ramon pensò che difficilmente avrebbe fatto una scoperta paragonabile a quella della geometria analitica; e tuttavia aveva voglia di pensare. Non di leggere o di studiare, né di camminare per la città, incontrare gente, parlare, discutere; ma, semplicemente, di pensare. E il primo pensiero che gli venne fu di quanto fosse strano il mondo. Una parte ricca, sostanzialmente minoritaria, e grandi aree di sottosviluppo e di fame. Strano mondo. E tuttavia, pensò, la ricchezza materiale non era affatto distribuita in questo modo. Paesi ricchissimi senza alcuna “materia prima”, paesi ricchi di materie prime, ma assolutamente poveri al punto che la gente vi moriva di fame. Paesi con una economia tutta fondata sul petrolio, con poche famiglie ricchissime, ma un tenore di vita, comunque, di alto livello.

Ramon pensava al suo paese d’origine, la Spagna, e al suo paese ospitante, o d’interesse, l’Italia. Che cosa avevano e che cosa non avevano? E, in questo quadro, che cosa avevano e che cosa non avevano la Spagna e l’Italia, rispetto al resto del mondo? E quale natura aveva questa “crisi” protratta e incombente? E, in definitiva, giunse a chiedersi: ma che cos’è la ricchezza?

D’un tratto decise che doveva fare domande, decise che era il momento dell’arcivernice. Balzò in piedi, e sfogliò i suoi libri. Schumpeter, Pareto, Ricardo, Adam Smith, Marx, Keynes… A chi chiedere che cos’è la ricchezza, a chi chiedere come uscire dalla crisi?

Ma dopo un po’ di consultazione frenetica, di uno sfogliare affannoso, gli venne in mente il monito di Aurelio Agostino, o Sant’Agostino per i credenti: “noli foras ire. In te ipsum rede”. Sì. Il punto è non solo chiedere, ma pensare; “veritas est in te”.

Ramon tornò sul letto, senza coprirsi questa volta, di nuovo contro il cuscino verticale. Qual è il punto? Hobbes o Rousseau? Qual è lo stato di partenza: “homo homini lupus” o il “buon selvaggio”? La politica nasce dalla necessità di uscire dallo stato ferino, in cui ognuno è nemico a ogni altro, o, viceversa, è stata propria l’introduzione della dimensione “sociale” che ha posto il primo filo spinato, il primo confine fra il “tuo” e il “mio”, fondando la proprietà privata? E la proprietà privata è un “furto”, o è l’inalienabile diritto a godere del frutto del proprio lavoro? La questione, così posta, perde i tratti dell’occasionalità, e assurge al livello più alto della politica in generale. Il punto è: il sistema neoliberista possiede al suo interno gli anticorpi sufficienti al superamento della crisi, o no? Nel primo caso, dovremo passare all’analisi degli strumenti tecnici, in fondo tutti già previsti e catalogati: aumento/diminuzione di questo o quel parametro, rifinanziamento o definanziamento di questa o quella tipologia di strutture, incremento o decremento di questo o di quel tasso, e così via. Se invece si desse il secondo caso, il modo di ragionare cambierebbe radicalmente; il punto in discussione sarebbe il sistema come tale, nel suo complesso. E lo scenario ci costringerebbe al conseguente inevitabile passo successivo: quale altro sistema, allora?

Hobbes: per uscire dalla situazione ferina, dobbiamo ognuno rinunciare a parte della nostra libertà, attraverso un “pactum unionis”, in primis, e di un “pactum subiectionis”, di conseguenza, conferendo parte della nostra libertà a una autorità, la quale “lex suprena esto”, sarà assoluta, nel senso di “legibus soluta”, sciolta dalle leggi.
Locke: esistono diritti inalienabili, il diritto di opinione, di espressione, di godere dei frutti del proprio lavoro. “Inalienabili” vuol dire che rimangono fuori dal “pactum subiectionis”, a essi non posso rinunciare: è ciò che non è vendibile. Poi c’è la ricchezza: la civiltà antica cristallizzava la ricchezza nel capitale morto, le piramidi. Il mondo moderno, il capitalismo, sposta la ricchezza nel capitale mobile, quello che “produce” nuova ricchezza. E da qui la teoria del plusvalore, come metro unificante del valore d’uso e del valore di scambio.

Proviamo a fare una sintesi: Esistono in sostanza tre teorie:

Visione 1 – Prevalenza dell’individuo; stato leggero il più possibile; il grosso della ricchezza è in mano ai privati

Visione 2 – Prevalenza della società; interesse del singolo marginale; il grosso della ricchezza è in mano allo Stato

Visione 3 – Ricchezza suddivisa in tre parti : a) proprietà privata; b) proprietà dello Stato; c) proprietà comune, a quest’ultima appartengono i beni primari per la sussistenza

È evidente che la sopravvivenza debba essere garantita, pena tornare allo stato ferino, o fronteggiare la rivoluzione cruenta: al di sotto del livello della sopravvivenza qualsiasi animale, anche l’animale uomo, per la disperazione, aggredisce.

Che cosa appartiene ai “beni comuni”? L’aria, l’acqua, la sussistenza. L’istruzione? Certo, anche l’istruzione: la differenza tra la specie umana e le altre è che i suoi miglioramenti non dipendono solo dall’interazione con l’ambiente: essa “progredisce”, attraverso la trasmissione del sapere di generazione in generazione.

Ramon pensò che i politici a volte non la pensano così, e tentano di sottrarre i “beni comuni” alle nuove generazioni.

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi

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