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L’arcivernice: I limiti della ragione e la morte della metafisica (cinquantesima puntata)

Pubblicato il: 08/02/2013 14:54:33 -


“Con la testa piena di queste cose, Ramon prese il coraggio di invocare Kant. In fondo, la parola più decisiva nella distinzione tra ‘fenomeno’ e ‘noumeno’ l’aveva detta lui.”
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Il crepuscolo. Quei mezzi colori che d’inverno spariscono in fretta, rabbuiandosi in un mondo dipinto tutto di nero. E allora viene naturale chiedersi: “ma cosa ci sarà poi là fuori?”. I canali dei sensi a volte ci ingannano, lo sappiamo da sempre. Poi in realtà quel che ci riguarda direttamente non è la sensazione, ma la percezione, che quasi mai coincidono. Ramon stava giocherellando con una moneta da un Euro. E ricordò il celebre esempio: noi siamo tutti d’accordo che la moneta da un Euro è tonda. E tuttavia, quando mai vediamo un cerchio perfetto? Noi vedremo sempre un’ellissi, o addirittura una linea un po’ spessa, o, se la teniamo in mano, un semicerchio dalla base irregolare. Ma chi metterebbe in dubbio che è tonda? Questo vuol dire che i nostri sensi non fanno breccia diretta nel nostro cervello, le pulsioni che ci giungono dall’esterno sono sempre e comunque elaborate, intellettualizzate a priori, prima ancora di varcare il livello della coscienza. Così il delfino vede un mondo assai diverso dal nostro, per non dire del flusso che entra nel cervello del pipistrello, come già ci ha spiegato Nagel. Un modo di echi, di suoni, di rimbalzi di onde. E lo stesso i colori: là fuori ci sono onde di una certa frequenza, o il verde dei campi, il bianco della neve, il grigio del piancito della parte lastricata del giardino? O forse, niente di tutto ciò, ma altro ancora. La Gestaltpsychologie bene ci ha illustrato come “vediamo” ben altro da “quello che c’è”.

Con la testa piena di queste cose, Ramon prese il coraggio di invocare Kant. In fondo, la parola più decisiva nella distinzione tra “fenomeno” e “noumeno” l’aveva detta lui.

“Che cosa c’è davvero la fuori, Maestro?”

“Che cosa conta, Ramon?”

“Conta per la curiosità del conoscere…”

“Proprio per questo non conta: è ciò che non conoscerai mai; ciò che non supera la soglia di spazio e tempo; ciò che non si può fare ‘fenomeno’, cioè non può, per definizione, ‘mostrarsi’”

“Ti riferisci ad ‘anima’, ‘mondo’, ‘dio’?”

“In primis, ma non solo. Potrebbe esserci qualsiasi ‘cosa in sé’ là fuori; ma a te non giungerà mai ‘l’in-sé della cosa’”

“Ma perché allora a certuni, più dotati, si mostrano con evidenza più cose, e ad altri meno; questo non rende indeterminata, o imprecisa, la classe dei ‘fenomeni’”?

“Io non parlo di quello che entra nella ‘tua’ conoscenza, ma in ogni conoscenza possibile, là dove vi sia una mente. Parlo del ‘trascendentale’ come normativo di ogni conoscenza possibile, non della conoscenza fattuale che per ventura un qualche uomo ha incontrato. Le regole sono quelle degli schemi categoriali. Assumerle, così come definite dalle condizioni di formalizzazione dello schema entro lo spazio e il tempo, è condizione preliminare di ogni esperienza possibile, non solo delle esperienze passate”

“Ma tutto ciò, se spiega il ‘come’, non può spiegare il ‘perché’? Perché il qualcosa e non il nulla, come si chiede Leibniz? Dove cogliere il senso?”

“Non nella logica trascendentale, ragazzo mio; non nella ragion pura. Per il senso dell’essere, dobbiamo rivolgere lo sguardo al cielo stellato sopra di noi, e alla legge morale in noi; dobbiamo lasciare l’intelletto al suo destino e ai suoi limiti, dobbiamo disvelare e denunciare le illusioni della ragion pura, e volgerci alla ragion pratica, alla metafisica dei costumi e ai suoi fondamenti, all’imperativo categorico che è, quanto meno come forma virtuale, in noi”

“Ma di tutto questo, sul piano conoscitivo, potremmo benissimo fare a meno; e ci sarà chi in effetti lo farà…”

“La via del solipsismo, della vanità del mondo, della riduzione del tutto a “non-io”, non l’ho aperta io; ma si è aperta dal primo momento che Cartesio ha riportato il punto di partenza della filosofia all’analisi dei nostri mezzi di conoscenza. È certo più comodo, filosoficamente, assumere in partenza il mondo con le sue fattezze, o addirittura più mondi; o assumere un Dio perfetto, buono e onnipotente, com’era il presupposto medievale. E dopo tutto segue con semplicità. Via comoda, in discesa, che ci lascia il solo compito di precisare alcuni dettagli. Altro è quello che ho fatto, altro è un ‘sistema’”

La fronte aperta, “costruita per il pensiero”, come ce la descrive Herder, spaziosa, spaziosa e quasi più larga di quanto fosse lungo l’intero volto; la figura asciutta e minuta, le mani abbandonate, quasi dimenticate in fondo alle braccia: Kant si arrestò in silenzio. Ramon fu preso dalla vertigine di essere di fronte a un monumento al pensiero umano; e a sua volta sentì di dovere stare in silenzio, a pensare.

***
Immagine in testata di Reckon / Flickr (licenza free to share)

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Maurizio Matteuzzi

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