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L’arcivernice: Un angosciante dialogo a tre (trentaquattresima puntata)

Pubblicato il: 11/09/2012 17:39:43 -


“Che tipo di cortocircuito avrebbe potuto avvenire tra un pensatore triste, malinconico, profondamente e rigorosamente cristiano, dominato da sensi di colpa e afflati ascetici, e l’oppositore del sopramondo, il raffinato filologo classico, pervaso dallo spirito dionisiaco fino alla follia?”. Nietzsche e Kierkegaard.
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Distratto, pasticcione. Nella mente di Ramon risuonavano queste parole, con cui lo sgridava sua madre, nell’adolescenza. Ma come poteva essere accaduto? Va bene che le due icone erano vicine, ma cavolo…

Aveva combinato un pasticcio, questo era chiaro. Voleva dialogare con Nietzsche, filosofo che sentiva di non aver capito fino in fondo; ma il largo pennello aveva coinvolto la figura consecutiva, quasi tutt’uno, quella di S?ren Kierkegaard. E adesso, ecco, ce li aveva entrambi davanti agli occhi; e sembrava che essi, quasi senza accorgersi di lui, si studiassero a vicenda.

Che tipo di cortocircuito avrebbe potuto avvenire tra un pensatore triste, malinconico, profondamente e rigorosamente cristiano, dominato da sensi di colpa e afflati ascetici, e l’oppositore del sopramondo, il raffinato filologo classico, pervaso dallo spirito dionisiaco fino alla follia? Ramon pensava a come rimediare al fattaccio, ma non aveva idea di come far regredire gli effetti dell’arcivernice.

Nietzsche: gli occhi vividi, aggressivi, al contempo indagatori e pungenti, così come curiosi di tutto, gli spessi baffoni a coprire il labbro superiore, il brillio del genio e della follia, della musica di Wagner e della licenziosità di Lou von Salomé. Il sublime arpeggio del greco di Teocrito, la sfida impudente del Wille zu Macht. E, di fronte, l’uomo soggiogato dal senso del peccato, il teorico dell’“uomo religioso” come fine ultimo, l’uomo che ha perpetuamente una “scheggia nelle carni”. Quale connubio più inconcepibile, quale antitesi più paradossale. Che cosa li accomunava, se non il rifiuto degli esiti hegeliani? Eppure i due si guardavano con una evidente attenzione, quasi con rispetto, con mutua curiosità.

Fu Friedrich il primo a parlare: “Ho letto il tuo ‘Timore e tremore’; e anche ‘Briciole filosofiche’. Opere pervase di angoscia, di bisogno del sopramondo, opere ‘deboli’”.

Ecco, il dado era tratto. E ora che dire, come inserirsi, che altro rimaneva se non assistere?

Kierkegaard aveva tutto di austero; i vestiti scuri, lo sguardo melanconico e bonario, ma con un sottile sottinteso di tagliente ironia. Pacatamente reagì.

“Non ho molto interesse al gradimento delle mie opere. Per altro, tu vivi e vivrai la tua angoscia, come io la mia. Poi potrà anche farti gioco il negarlo, l’atteggiarti a super-uomo; ma alla sera andrai a letto con te stesso”.

“Dunque io dovrei rifugiarmi nell’edenica favola del sopramondo, per lenire le mie ansie metafisiche entro un mondo ovattato, che funga da placebo al mio io?”

“Tu sai dentro di te che stai male; altro che super-uomo, tu sei nella fase del Don Giovanni, che coglie fior da fiore il meglio della vita, dominato da un ideale puramente estetico ed edonistico”.

“Tu invece ti assoggetti all’‘etica degli schiavi’, alla difesa del debole, contro le leggi di natura. Il tuo ‘padre di famiglia’, o, ancor più e ancor peggio, il tuo ‘uomo religioso’, non sono forse esseri difettivi, che non sono in grado di ‘dare norma a se stessi’, che devono pietire il loro essere appellandosi alla misericordia di una entità superiore?”

“Ma tu, nel tuo delirio onirico di onnipotenza, nel tuo ‘conoscere’” e dare norma al mondo, anziché riceverla, ti senti realizzato, stai bene? O soffri di quella ‘angoscia’ che volentieri non si confessa?”

Qui a Ramon sembrò di capire. Ecco perché, ecco dove, i due pensieri, pur così antitetici, pur così apparentemente inconciliabili, si incontrano. Ecco perché entrambi sono considerati gli antesignani dell’esistenzialismo. Avrebbe voluto inserirsi; ma come fare, tra due mostri sacri? Ramon era coraggioso, e provò:

“Chi, se non un dio, può creare questa discrasia sofferente tra un’ansia metafisica di infinito e l’hic et nunc del quotidiano dasein?”

L’effetto fu come se, durante una conversazione scherzosa, uno avesse chiesto ad alta voce: ‘quanto costa una cassa da morto’? Entrambi tacquero pensosi, per un lungo momento.

“Friedrich decise di autocitarsi: ‘In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della storia del mondo: ma tutto durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Quando tutto sarà finito, non sarà avvenuto nulla di notevole’”. [1]

“Già. Il tuo ‘Verità e menzogna’. Ma questo tuo mondo casuale, che ritorna all’infinito su se stesso, nell’eterna ciclicità del banale non può stare in piedi da solo, non sta sulle sue gambe, non può essere causa sui”

“E allora è meglio inventarsi un sopramondo che lo tenga annodato ai suoi fili come una marionetta?”

Tutti e due, pensò Ramon, vivevano, ciascuno a suo modo, la disillusione dovuta al crollo dei grandi sistemi onnicomprensivi e ottimistici, come l’idealismo e il positivismo, disossati e falcidiati dalla mannaia darwiniana. E tutti e due ripartivano dall’individuo e dalla sua angoscia; attenti alla lezione nichilista, al pessimismo schopenhaueriano, prendendo l’abbrivio dallo stesso punto di partenza, come in una pista d’atletica, partivano con lo stesso grande slancio ma in direzioni opposte: quella tra il superuomo e l’uomo religioso era una gara impossibile.

[1] F. Nietzsche, “Sul pathos della verità”, 1870-1873, incipit di “Verità e menzogna in senso extramorale”, Opere, v. III, t. II, p. 216.

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Maurizio Matteuzzi

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