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L’arcivernice: Guardando fuori dalla finestra (sessantacinquesima puntata)

Pubblicato il: 04/10/2013 15:07:40 -


“Dunque noi possiamo crearci “pseudo-oggetti”, oggetti “falsi” in quanto solo rappresentati...”. “Ma non è certo un male, Ramon. Come faremmo a fare scienza senza gli oggetti dell’intelletto, o le “relazioni”, che hanno appunto questa natura? È la grande dote della nostra specie, l’unica forse ad avere a che fare anche con oggetti immanenti, cioè solo nostri e non “trascendenti”, ossia propri del mondo esterno”.
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Il mondo è fatto così, pensava Ramon: il giardino, gli alberi, quelle due case che si vedono più in là. Ma forse no; sappiamo che i colori sono onde, e la luce è fatta di fotoni che viaggiano in esse, ecco quel che ci arriva. Che là fuori ci siano onde, invece, diverse per frequenza, per ampiezza?
Però quelle case ci sono davvero, magari non saranno colorate, ma, insomma, sono resistenti all’urto, sono antitipia, corporeità.
Ma a pensarci bene poi no, sono tutt’altro che corpi coesi, sono fatte di molecole in perpetuo movimento. Ecco allora, là fuori ci sono molecole.
Però però…
No, le molecole sono costruite sugli atomi, e questi sulle particelle subatomiche, tali che tra l’una e l’altra ci sono distanze ben superiori alla loro massa.
Che cosa c’è là fuori? E c’è un “di fuori”? E se il tutto del mio vissuto non fosse altro che il prodotto della collisione dei miei neuroni; e il residuo il semplice non-io, come direbbe Hegel? Ritornavano alla mente tutti i dubbi sulla madonnina fosforescente…

“Our Knowledge of the external World”; chi l’aveva pur scritto… Ecco, Russell, sì, certo. Anche nei “Problemi della filosofia”: il ragionamento del gatto. Io guardo il mio gatto. Esiste perché lo guardo, perché là fuori non c’è niente di sensato. Poi me ne vado per ore. Conseguentemente, il gatto non esiste più. Ma quando torno il gatto ha fame. Perché, se nel frattempo non è esistito?
Allora il mondo esterno deve esserci, l’inganno sarebbe troppo ben congegnato. Le invarianze, le leggi e la regolarità dei fenomeni, almeno di certi fenomeni…

Allora il punto è: posto che la conoscenza è una bipolarità soggetto-oggetto, e assunto che il soggetto sono “io”, che cos’è l’oggetto? E l’oggetto esiste, sempre, o può anche non esistere?
Il filosofo di riferimento non poteva che essere l’autore di “Sulla teoria degli oggetti”.

Una rapida, forsennata ricerca, ed ecco l’icona giusta, Alexius Meinong, non a caso in polemica proprio con Russell.
“Tu puoi pensare al tuo gatto, anzi, a essere precisi, a Carlo, il tuo cane carlino, Ramon; e puoi pensare altrettanto bene a una montagna d’oro. Ma Carlo esiste, una montagna d’oro no. Dunque tu puoi pensare all’oggetto in-esistente”.

Meinong si accarezzò la lunga barba, e si ravviò i capelli, abbastanza lunghi e disordinati, in attesa della reazione.
Ramon esitava, non vedeva obiezioni di principio, eppure le due cose, di per sé accettabili, dovevano essere tenute distinte, pensava. E allora Meinong riprese.

“Vi è un’esistenza materiale, effettiva, un esserci nel mondo; poi vi è la sussistenza, o consistenza, come è quella di un personaggio letterario, o di qualsiasi rappresentazione che abbia un senso; perché l’oggetto contraddittorio non può nemmeno sussistere. E altro ancora è la “datità”, condizione minima per entrambe le cose, la “Gegebenheit”, il porgersi.
Poi gli oggetti si possono combinare in vario modo, determinando gli “oggetti di ordine superiore”, come l’“orchestra” che suona una “melodia”. Tu poi puoi avere anche uno scopo, o un desiderio; e non puoi dire che “non c’è”, può essere tanto forte che ti uccide. Vedi bene come l’essere si dica in tanti modi: il tuo desiderio “c’è”, ma è datità diversa da come “c’è” il tuo cane”.

“Maestro – si risolse infine Ramon – ma io posso rappresentarmi altrettanto bene sia il mio cane che una montagna d’oro…”.

“Già. Ma in un caso il contenuto della rappresentazione ti trascende, nell’altro è solo in te. Ti si può dare, e quindi “sussiste”, ma non “esiste”. Poi c’è il quadrato rotondo, che non può avere nemmeno datità, in quanto non rappresentabile affatto; in fondo la matematica, da un certo punto di vista, è la migliore anticamera di una teoria dell’oggetto”.

“Dunque noi possiamo crearci “pseudo-oggetti”, oggetti “falsi” in quanto solo rappresentati…”.

“Ma non è certo un male, Ramon. Come faremmo a fare scienza senza gli oggetti dell’intelletto, o le “relazioni”, che hanno appunto questa natura? È la grande dote della nostra specie, l’unica forse ad avere a che fare anche con oggetti immanenti, cioè solo nostri e non “trascendenti”, ossia propri del mondo esterno”. “Ma allora… – tentò di continuare Ramon, che tuttavia era conscio di essere prossimo a una crisi confusionale – ma allora gli pseudo-oggetti sono importanti come gli oggetti?”.

Purtroppo i contorni del viso austero del filosofo si stavano già rarefacendo. Dall’“esistenza” Meinong era rapidamente passato alla “sussistenza”.

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Immagine in testata di zeevveez / Flickr (licenza free to share)

Maurizio Matteuzzi

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