Laudatio di Douglas Hofstadter

Da qualche tempo a questa parte sono portato in modo naturale alla critica, alla satira, triste e disincantata. E tuttavia non ho difficoltà a forzare questa tendenza, e a passare dal j’accuse alla laudatio, in relazione a Douglas Hofstadter.

Potrei cominciare con una lunga ipotiposi dei premi, dei riconoscimenti, delle appartenenze alle massime accademie americane che riguardano Hofstadter; sarebbe un esercizio puramente burocratico, che lascio volentieri al motore di ricerca di Google.

Potrei anche facilmente portare il discorso sul folcloristico, citando le innumerevoli qualità di Hofstadter sul piano della ammirevole conoscenza delle lingue, e del linguaggio, fino a quello musicale.
In effetti, negli scritti di Hofstadter si può notare facilmente il ruolo centrale che hanno i vincoli strutturali, persino nella forma grafica, come ad esempio nei dialoghi contrappuntistici in “Gödel, Escher, Bach” o nelle poesie nel libro “Le Ton beau de Marot”.

La sua è una ricerca continua, pur nel rispetto del flusso razionale e del rigore scientifico, anche della bellezza visiva o sonora, che ricorda la concezione della conoscenza dell’uomo del Rinascimento. Forse è questo atteggiamento che spiega il feeling che Hofstadter ha per il nostro Paese. La ricerca, quasi sempre, paradossalmente, seria e ironica a un tempo, in cui l’umorismo costituisce una trama sottile che percorre per intero il suo stile di pensiero, lo spinge a cimentarsi con tutti i possibili “vizi dell’intelligenza”, come, ad esempio, la scrittura di una breve autobiografia, testo a prima vista normalissimo, in cui tuttavia il lettore attento può notare una singolare particolarità: non compare mai la lettera “e”, la lettera più frequente dell’inglese. O come nella realizzazione di scritture particolari, gli ambigrammi, simmetrie assiali o speculari, talvolta quarti di giro, giravolte e persino oscillazioni percettive, ma fatte con parole anziché con enti geometrici.
Tutto ciò rende Hofstadter un autore che ci erudisce e ci informa, cioè ci porge conoscenza, ma in modo mai banale e mai noioso.

Ma io qui vorrei soffermarmi soprattutto su quanto, sul piano scientifico, il pensiero del prof. Hofstadter ci porge nell’ambito della intelligenza artificiale e della conoscenza della mente umana.

Non so sinceramente fino a che punto Hofstadter stesso sarebbe d’accordo con me. Ma devo dire che la cosa non mi turba. George Bernard Shaw illustrava in una conferenza la filosofia di Bergson, e lo faceva, secondo il suo stile, molto a suo modo, cioè “liberamente”. E quando Bergson cominciò a dare segni di disapprovazione, Shaw ebbe a dire: “Caro Henri, devi renderti conto che la tua filosofia io la capisco molto meglio di te”. Così farò io, si parva licet componere magnis.

Ecco, in estrema sintesi: lo studio della mente umana attraverso l’intelligenza artificiale, cioè la sua riproduzione in vitro sulle macchine digitali, è oggi oggetto di due spinte contrapposte. Da un lato il cognitivismo della good old-fashioned AI, il modello fisico-simbolico di Simon e Newell; dall’altro il connessionismo della emulazione del comportamento “neuronale” di W.S. McCulloch e Walter Pitts. Imitare i processi consci, superiori, o quelli fisiologici, vicini all'”hardware”, alla fisiologia del cervello. Molte diatribe della seconda metà del secolo scorso si possono ricondurre a questa contrapposizione.

Non posso ora entrare nei dettagli, naturalmente. Ma il mio credo è che non ci sia una via maestra, in discesa, per la conoscenza; e che, come diceva il mio maestro, Enzo Melandri, in questi casi è meglio non buttare via niente. Traduzione grossolana: il futuro sono i modelli ibridi, senza ideologia preconcetta, cioè modelli costruiti con gli apporti di molte discipline, nella più ampia e pura interazione fra scienze e saperi diversi.

Hofstadter, non so fino a che punto per scelta o per istinto di scienziato, ha sempre percorso questa via. Da un lato egli ha sovente preso l’abbrivio da una struttura di rete, l’aspetto forse più promettente del connessionismo; dall’altro, egli non ha mai ridotto i nodi delle reti che ha concepito a semplici nodi in grado di prendere atto di un valore-soglia, a un livello puramente meccanico-subsimbolico.
I sistemi sviluppati da lui e dai membri del suo gruppo di ricerca, fra i quali cito Copycat e Metacat, vanno a collocare, al posto dei nodi-neuroni delle reti connessioniste, sia nodi concettuali, sia vere e proprie routines semantiche, i codicelli, come lui li chiama, semplici procedure in grado di compiere azioni od operazioni elementari, come “trova il maggiore”, o “trova il successivo”, o “forma un legame tra X e Y”, o “distruggi un legame tra X e Y”, oppure “crea un gruppo dove ci sono oggetti attaccati con legami”.
L’idea di fondo è che la mente, o il sistema mente-cervello, sia una gerarchia variabile di livelli intrecciati, uno strano anello procedurale che produce lo strano anello della coscienza.

In parentesi, va notata la straordinaria capacità espressiva di Hofstadter, che con i suoi libri è riuscito a rendere affascinanti questi temi; ma ciò esula dal presente discorso.

Hofstadter cerca così di catturare i processi più tipici, e meno meccanicistici, della mente umana: in primis l’analogia. Una delle linee-guida teoriche della sua ricerca risiede nel pensare che ogni processo di pensiero umano sia, ricondotto alle sue radice ultime, un’analogia, interpretando questo termine in un senso ampio. Percepire, categorizzare, comprendere, “vedere” la realtà nelle sue molteplici sfaccettature che vanno dal concreto all’astratto: tutti questi sono atti di pensiero che coinvolgono l’analogia, che sono tali perché siamo in grado di cogliere il diverso nell’uguale, ma soprattutto l’uguale nel diverso.

Da un punto di vista puramente darwiniano, è probabile che il punto di partenza nella costruzione dei modelli cognitivi siano le reti neurali subsimboliche, la cui efficienza è dettata dalla legge della selezione naturale. Ma il percorso dalle soglie inconscie e a-semantiche agli integrali indefiniti e alla poetica di Leopardi è molto lungo, costellato di interrogativi scientifici e filosofici di fronte ai quali ci sentiamo, ci dobbiamo sentire, disarmati.

Hofstadter ha tracciato una via esplicativa, certo non esaustiva, ma limpida nella sua razionalità. Questo secondo me è il merito precipuo della sua riflessione, riflessione che costituisce e costituirà un passaggio obbligato nello sviluppo delle scienze cognitive e nello studio della mente umana.

Nota informativa:
Il giorno 27 maggio 2013 l’università di Bologna ha conferito la laurea honoris causa a Douglas Richard Hofstadter in “progettazione e gestione dell’e-learning e della media education”. Si è voluto così dare atto allo Studioso non solo dei grandi risultati scientifici ottenuti nell’ambito della Intelligenza Artificiale e della Filosofia della mente, ma anche della sua importante opera di diffusione, e alla conseguente importanza didattica. I suoi numerosi volumi, tra i quali ci limitiamo a citare il celeberrimo “Gödel, Escher, Bach” (premio Pulitzer 1980 per la saggistica), hanno avuto il merito, sia per le loro valenze filosofiche sia per l’elevato stile narrativo, di appassionare a queste tematiche un vastissimo pubblico, anche di non specialisti. Il padre di Douglas Hofstadter, Robert, premio Nobel per la fisica nel 1961, fu a sua volta insignito della laurea ad honorem in Fisica dal nostro Ateneo. Purtroppo tale laurea non fu mai ritirata, per la prematura morte dello Studioso. Ecco quindi che il 27 si è verificato un evento che riteniamo un unicum nella pur quasi millenaria storia del nostro Ateneo: il prof. Hofstadter ha ricevuto dalle mani del Magnifico Rettore Ivano Dionigi non una, ma due pergamene. Il giorno successivo, presso la sala dello Stabat Mater, alle ore 17, su invito del Dipartimento di Filosofia e Scienze della comunicazione e di quello di Matematica, il prof. Hofstadter ha tenuto una conferenza dal titolo “L’onnipresenza dell’analogia in matematica”, aperta a tutta la cittadinanza.

Alcuni momenti della Cerimonia:




Per approfondire:
Biografia scientifica di Douglas Richard Hofstadter
Speakeraggio della Cerimonia del 27 maggio 2013
Presentazione dell’evento sul sito dell’Università di Bologna

Maurizio Matteuzzi (1947) insegna Filosofia del linguaggio (Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale) e Filosofia della Scienza presso l’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: “L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine?” (in “La regola linguistica”, Palermo, 2000), “Why Artificial Intelligence is not a science” (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., “Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs”, M.I.T. Press, 2005), “La teoria della forma” (Roma 2012). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia. È tra i promotori del gruppo dei “Docenti Preoccupati”.

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Maurizio Matteuzzi