L’arcivernice: Ma che intenzioni hai? Ramon e un incontro difficile… (quarantunesima puntata)

– Vedi Ramon, il grande equivoco è proprio questo: ciò che si considera empirico è l’oggetto, il fatto fisico. Ma non è così. Niente è meno empirico dell’oggetto. Ciò che tu sperimenti non è l’oggetto, ma il tuo percepire un oggetto.

Questo modo di vedere le cose risultava completamente nuovo a Ramon; eppure non avrebbe saputo cosa contrapporre all’argomento di Brentano.

– I fenomeni possono essere psichici o fisici. Fisico è il rumore che io odo, il tavolo che io vedo; psichico è il mio udire un rumore, il mio vedere il tavolo. Empirico è ciò di cui ho esperienza. Ora, di cosa ho esperienza, del mio udire un rumore o del rumore che ho udito? Detto in altri termini, l’oggetto mi si porge con un guscio, la mia percezione. E ciò che io esperisco è in ogni caso il guscio.
– Ma il guscio non ci sarebbe senza l’oggetto…
– Questo è tutto da dimostrare: non mi mancherebbero i controesempi. Anzi, proprio la rammemorazione, il potere di trattenere il guscio ora svuotato dal darsi nel tempo, secondo Aristotele, caratterizza l’animale superiore. Ecco dunque il perché di una “Psicologia dal punto di vista empirico”.
– Ma non finiamo così nel far collassare l’esperienza nel delirio fantasmatico, o nell’allucinazione onirica?
– Il rischio c’è. A riprova, basta vedere quanto Cartesio si industria per trovare la linea di demarcazione tra il sogno e la veglia. Per non dire dei pensatori posteriori al criticismo kantiano, che si rendono conto che, riducendo a questo il ruolo del noumeno, se ne potrebbe benissimo fare a meno. E tuttavia essi, come Cartesio, non pongono la dovuta attenzione alla caratteristica precipua del pensiero umano.
– E sarebbe?
– L’ “intentionalität”, l’intenzionalità: il pensiero umano è “direzionale”. È come una freccia, e noi possiamo scagliarla dove vogliamo, far sì che punti al bersaglio scelto. Io posso scegliere, come oggetto del mio atto psichico, proprio Ramon; posso pensarlo, osservarlo, ascoltarlo… Ma posso invece, a mio insindacabile arbitrio, pensare, o guardare, il giardino ormai poco verde. Questo arbitrio è perso nel sogno, così come nel delirio allucinatorio: io non posso decidere cosa sognare, o quale sia l’oggetto del mio delirio. Ma attenzione, io posso dirigere il mio atto psichico, che come tale è “vero”, “dato”, “empirico”; ma non posso determinarne i connotati a piacere. Io posso decidere di pensare a Ramon che è spagnolo, ma non posso decidere io che Ramon è spagnolo. In senso aristotelico, l’intenzionalità fa capo all’intelletto attivo, mentre le determinazioni dell’oggetto fanno capo a quello passivo. Assumere queste ultime come intenzionate genera il delirio allucinatorio. L’afferenza del predicato al soggetto non è posta in essere dall’intenzionalità, ma riposa sul reale. Così, Cartesio avrebbe dovuto smarcare la veglia dal sogno non basandosi sul livello di coerenza, o sulla connessione temporale, ma sulla capacità intenzionante, che nel sogno va persa; o, meglio, è eterodiretta, nel senso che possiamo solo sognare di averne la facoltà, senza di fatto poterla esercitare.
– Dunque, Maestro, secondo te i fatti psichici sarebbero più “reali”, più “oggettivi”, delle cose materiali stesse che noi tocchiamo, con le quali abbiamo continuamente a che fare?
– Solo i fenomeni psichici contengono in sé intenzionalmente un oggetto. Nessun fenomeno fisico mostra qualcosa di simile. Nella rappresentazione è rappresentato qualcosa, nel giudizio qualcosa è riconosciuto o rifiutato, nell’amore amato, nell’odio odiato, nel desiderio desiderato… L’oggetto intenzionale, mentale, è immanente alla coscienza (in-esistente), e cioè sta-dentro. La sedia che tocchi è forse esistente, ma non in-esistente, non sta dentro. Dunque la vera esperienza è del primo, non del secondo tipo, e solo questo è il luogo dell’evidenza, della certezza delle rappresentazioni, dei giudizi, delle emozioni.
– Ma non si ricade con questo nel più assoluto idealismo soggettivo?
– No, Ramon. Così sarebbe se il potere di evocazione fantasmatico potesse agire sull’inerenza dei predicati al soggetto, se la fantasia fosse produttiva. Ma, come ho detto, la capacità intenzionante può scegliere il “telos”, non i suoi attributi. In questo, nel farsi da attivo a passivo, nel subire il mondo, l’intelletto recupera la propria dimensione realista.

Mentre dell’austera figura erano ormai visibili pochi punti evanescenti, la folta barba sola mostrava una qualche lentezza, quasi a non voler scomparire, Ramon pensò che, se fosse riuscito a capire fino in fondo, avrebbe compiuto un passo fondamentale verso la comprensione di Husserl, di Meinong, di Heidegger, e di tutta la filosofia moderna.

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Maurizio Matteuzzi