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Riforma dei cicli scolastici: come pensarci dopo i dati OCSE PISA e PIAAC

Pubblicato il: 20/02/2014 10:49:40 -


Dopo la lettura dei dati OCSE PIAAC e PISA relativi all’istruzione in Italia, c’è qualcosa che non torna in alcune tesi sulla riforma dei cicli scolastici. Forse, piuttosto che proporre e mettere toppe ad ogni cambio di governo, sarebbe necessaria una riforma radicale.
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Problemi su tutti i fronti. Siamo lontani dai dati UE (e non solo), lontani dalle tendenze, lontani dall’efficienza delle strutture, laureati a livelli indicibili, e però c’è sempre l’ottimista che dice: il primo ciclo non si tocca, tagliamo alle superiori così i ragazzi scelgono prima, per esempio a tredici anni. Oppure, tagliate dove volete, ma tagliate così i ragazzi scelgono prima, perché in UE “così fan tutti”!
C’è qualcosa che non torna!
A parte il solito rattoppo, tanto veloce quanto apparentemente indolore (nonostante tutte le urla silenziose).

Abbiamo i dati sulla formazione permanente (cioè degli adulti) tra i più poveri dell’UE (gli adulti non ritengono di doversi aggiornare o formare, ad esempio sul digitale); abbiamo una quota NEET (Not Employed, Not in Education or Not in Training) della popolazione sempre crescente e più abbondante di tutti i paesi UE (tocca quasi i 4 milioni di giovani sotto i trent’anni); abbiamo dati OCSE-PISA devastanti sul versante dell’analfabetismo funzionale (cioè quel che un cittadino tra i 15 e i 64 anni capisce di ciò che legge); abbiamo ragazzi al di sotto di ogni possibile livello culturale e abbiamo, contemporaneamente, dati locali del Nord Est o di qualche eccellenza in matematica sbandierati come una rivoluzione culturale di tendenza del pianeta.
Non solo, non si capisce perché, nonostante tutti i fattori “inabilitanti” del PIAAC, si possa pensare che con un contesto alfabetizzato adulto spaventoso e un contesto giovanile (non più ben misurabile) “distratto” dai bisogni “virtuali” di mercato e d’istruzione, a dir poco miracolosamente, un ragazzo con un anno di meno possa scegliere meglio o comunque anticipare la scelta universitaria (tesi combinata di T. De Mauro e di F. Farinelli).

Quello su cui tutti possiamo concordare è che occorre guardare all’istruzione, alla formazione e all’education con occhi completamente nuovi come fece a suo tempo Brocca, nel senso che tutto deve essere rivisto dalla materna alle superiori, dal curriculo alle articolazioni (che oggi sono in diversi casi abbandonate a se stesse senza programma di studio, senza materiali di studio codificati e con associazioni alle opzioni piuttosto aleatorie)!
Basta con “riforme a toppe” per soddisfare questo o quel politico oppure il governo in carica.
Se la scuola è di tutti ed è alla radice di una soluzione possibile per il lavoro e la crisi, occorre guardare a essa con il coraggio di chi la conosce e che ne ha già tanto per lavorarci ogni giorno.

Le nuove generazioni vengono dal primo ciclo, non da Marte o Cerere, e sono in condizioni didattiche disastrose, per non parlare di quelle umane. La loro scolarizzazione avviene in ritardo rispetto alle aspettative, quindi è stato un bene traslare l’obbligo scolastico a 16 anni. Ma questo significa che i ragazzi – di cui sopra – non hanno assolutamente alcuno strumento per fare una scelta ragionevole a 14 anni, così come a 16 anni.
Il fenomeno dei NEET sembra di moda per chi ne parla – è trendy –, ma è un dramma enorme perché significa semplicemente che anche a 30 anni non si è in grado di scegliere.
Allora, perché il “ragazzo” a 14, 16 o 18 anni dovrebbe trarre vantaggio da una scelta anticipata? Come si fa a pensare questo? Se il meccanismo non funziona, non funziona a tutte le età, fino a quella dei NEET.

Quindi, deve essere rivisto tutto, anche il “perfetto sistema elementare” che conduce inevitabilmente alla “disastrosa scuola media”.

Ma no, “il primo ciclo non si tocca, tagliamo alle superiori”. E si ricomincia a “vagare”…

Correlazioni:
allegato con testo completo
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Immagine in testata di wikimedia commons (licenza free to share)

Arturo Marcello Allega

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