Europa: considerazioni di un uomo qualunque (seconda parte)
Considerazioni sull'Europa (seconda parte), che finiscono con la proposta di rifondare l'Europa su una scuola ben fatta e veramente europea.
L’Europa fatta dall’alto
Ogni costruzione può essere fatta, diciamolo alla moda, cioè all’inglese: top/down – bottom/up, o diciamolo con le parole della saggezza antica: eis ano to kato, oppure esi kato to ano.
Come va fatta l’Europa? La via scelta è stata finora quella top/down: partiamo dal vertice, dall’alto, e scendiamo. Siamo sicuri che sia il processo giusto, il modo di procedere più adeguato?
L’Europa fatta a tavolino dai governanti, dal trattato di Roma in poi, è riuscita ad assorbire le caratteristiche peggiori degli Europei. Chiunque sia stato a Bruxelles avrà visto quei manifesti, o tovaglie, o chiamateli come volete, che propongono questo sfottò: “com’è un Europeo: modesto come uno Spagnolo, astemio come un Irlandese”, ecc.
Disgraziatamente è proprio così: siamo riusciti a sintetizzare il peggio. E il meglio? Nessuno ci ha pensato. Anche qui c’è una barzelletta famosa, che risponde alla domanda: “com’è l’Inferno, com’è il Paradiso?”.
Il paradiso è un poliziotto inglese, un cuoco francese, un tecnico tedesco, un amante italiano: il tutto organizzato dagli svizzeri. L’inferno è un cuoco inglese, un tecnico francese, un poliziotto tedesco, un amante svizzero, e l’organizzazione affidata agli italiani. Tralascio le (molte) varianti.
Ma qui sta il punto. Prendiamo la questione della lingua, la quale, per molti pensatori, è determinante per la definizione di una qualche identità, vedi l’introduzione al Nizolio di Leibniz. Ha senso un organismo che ha 25 lingue, tutte paritetiche?
Il paragone con l’origine degli Stati Uniti si impone.
Agli inizi dell’800, quando gli Stati Uniti erano circa una metà di oggi, e tutto l’Est era la terra di cui dire “hic sunt leones”, si scelse una lingua, l’Inglese (che tra parentesi prevalse al pelo sul tedesco). Si scelse una via. Giusta o sbagliata, era una via. Noi Europei siamo come quelli che, a Dio spiacenti e ai nemici suoi, come dice il Poeta, corrono dietro una bandiera.
Una identità culturale non andava costruita a un certo punto? La posizione europea è risibile: tutte le lingue hanno uguale dignità, ma c’è una lingua di lavoro, che è l’Inglese. Qualche migliaio di persone (svariate migliaia) passa la giornata a tradurre in 25 lingue le stesse cose, per le gazzette ufficiali.
Per contro, se si presenta un progetto di ricerca in una lingua diversa dall’Inglese, cosa formalmente ammessa, si è sistematicamente “bocciati” a priori. Non li leggono neanche, naturalmente. Citi, chi può, un progetto di ricerca e sviluppo scritto in una lingua diversa dall’Inglese. Però hai diritto di scriverlo in Croato, e in specie se hai del tempo da perdere.
Ma a chi serve tanta ipocrisia?
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Maurizio Matteuzzi (1947) insegna Filosofia del linguaggio (Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale) e Filosofia della Scienza presso l’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: “L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine?” (in “La regola linguistica”, Palermo, 2000), “Why Artificial Intelligence is not a science” (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., “Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs”, M.I.T. Press, 2005), “La teoria della forma”, Roma 2012.
Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia. È tra i promotori del gruppo dei “Docenti Preoccupati”.
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Maurizio Matteuzzi