L’arcivernice: Approva – e sarai sano – Obietta – e subito pericoloso (settantaseiesima e ultima puntata)
Assent – and you are sane
Demur – you’re straightway dangerous
(Emily Dickinson)
Risveglio precoce di Ramon, la testa piena di cose, la prova inconfutabile di aver sognato. Riprendere, nella veglia, quasi un discorso interrotto, riannodare un esile filo. La questione dei diritti inalienabili. Così si smarca Locke da Hobbes: il pactum subjectionis non può riguardare tutto. C’è qualcosa che deve rimanere comunque alla persona. E questo è il senso del liberalismo. Strano modo di svegliarsi che, tuttavia, a volte succede. Ramon si ritrovò a costatare che pensava in italiano, e non in spagnolo; per la prima volta. Un po’ la cosa gli fece piacere, un po’ lo spaventò. Gettò a Giulia un’occhiata carezzevole che scivolò su di lei mentre dormiva. L’Io come fascio di percezioni?
Che cosa è inalienabile? A cosa, neanche volendo, ho il diritto di rinunciare, per pagare l’obolo dell’omologazione sociale? Ramon continuava a rimuginare in silenzio. La libertà di opinione, di culto, di espressione… l’esser io; questo non è negoziabile, non esiste una plausibile contropartita.
Mentre la moka borbottava il primo caffè della giornata, Ramon non riusciva a staccarsi da questo pensiero, il diritto all’espressione, la facultas dicendi, come costituente essenziale del darsi come essere umano. Quanti gli esempi in contrario, quanti gli attentati nella storia… E gli divenne chiara una distinzione fondamentale: c’è un divieto fattuale, fisico, materiale, grezzo in definitiva; e ce n’è un altro ben più pericoloso, subdolo, inafferrabile da parte della vittima, quello che inibisce a monte l’ideazione stessa dell’opinione, quello che distorce e altera i presupposti, in modo che le alternative neanche affiorino al livello di coscienza: il “lavaggio del cervello”. E la tragedia è che non se ne ha contezza, ci si crede immuni, si pensa, ingenuamente, che valga solo per gli altri, che non ci riguardi.
“Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu potessi esprimerla”; frase divenuta il manifesto della tolleranza, e della libertà d’espressione. Attribuita comunemente a Voltaire; in realtà dovuta a E. Hall, nella biografia del filosofo “The friends of Voltaire”.
Voltaire; che uragano. Che vita intensa, dal tripudio delle corti più importanti d’Europa alla Bastiglia, di nuovo allo sfarzo, e di nuovo agli arresti, e sempre in virtù, o a causa, delle proprie idee. La sottile ironia, o il pesante sarcasmo, il sapiente sberleffo; la derisione di ogni forma di superstizione; lo sfottò verso la tirannia; l’arguzia dialettica del disincanto. Ramon temette Voltaire. Quali caustiche battute avrebbe saputo contrapporre alla sua ingenua curiosità? Indugiava pertanto sull’icona, dubbioso. Mentre non aveva esitato a evocare i più grandi pensatori, qui la volontà vacillava. Gli venne da raccontare a Giulia i suoi pensieri, i suoi dubbi, quindi si mise a declamare ad alta voce: “Come avrebbe reagito un Voltaire ai vincoli editoriali? Tante battute o niente? Meglio la Bastiglia…, e che le battute siano millanta, tutto quello che è in me!”
“La legge che interdice. Il Super-Io…”. Giulia sorride lentamente, svegliandosi “L’esperienza del limite”.
Per seguire Ramon nel suo pensiero Giulia avrebbe voluto accarezzare, con il pennello dell’Arcivernice, la libertà, l’ansia di vita, l’opposizione negli occhi di Allen Ginsberg: quegli occhi si sarebbero messi a luccicare in mezzo a tutti i capelli.
Quindi, dato che il suono del mondo è ancora povero, anche lei, Giulia, avrebbe voluto sperimentare altri suoni. I vecchi suoni, le intensità sonore, possono trasformarsi. Si sa, ad esempio con i chiodi piegati, i tappi, le viti, pallottole di carta e altri oggetti messi sopra e fra le corde del pianoforte, come faceva John Cage. Oggetti messi lì, ma con finezza di gesti. E se è povero il suono del mondo, così, nella libertà dell’armonia, così cambierà il ruolo di ogni nota. E così ogni suono può inarcarsi, può torcersi, spaziare fuori dal limite e dal segno, e rimanere inciso per sempre nelle strutture uditive, con la sua nuova forza emulsionata. Ma poi non si dovrà chiedere chi ha sparato al pianista…
“La preparazione del pianoforte è già storia, anche se ancora adesso sembra a molti un azzardo imperdonabile, un disturbo, perfino una forma di follia”. Già, Allen Ginsberg avrebbe letto nel pensiero di Giulia, come hanno sempre fatto tutti i personaggi dell’Arcivernice. E avrebbe poi proseguito: “Beat vuol dire appunto ‘diverso’, ma per scelta. Storto, rispetto alla ‘dirittura morale’ degli obiettori di coscienza di ogni tempo. Scelta di estraneità rispetto al mondo. Sì, Giulia, l’operazione è già storica, basta essere capaci di gestire l’autonomia, prendersi le responsabilità”.
“Beat vuol dire anche ritmo”, avrebbe aggiunto Giulia timidamente, “suonare la vita con una forza forse incontrollata. Anche per te la libertà di espressione urge alle spalle”.
“Per me sono stati chiamati stuoli di esperti di letteratura! E poi un giudice. Già, le mie parole erano storte, andavano giù di traverso, difficili da digerire!”
Qui nella stanza di Ramon le finestre oggi sono ben chiuse, e le tende tirate. E Giulia si ritrova a dire sottovoce, come in una visione tossicomanica: “Spesso anche uno solo, un solo giudice spesso è anche di troppo…”. Ramon alza la testa dal suo caffè fumante.
“A Giordano Bruno misero un morso” borbotta, come le avesse letto anche lui tutto il pensiero: “perché non potesse urlare al suo tempo e ai posteri la sua verità; Voltaire invera il contrapposto antitetico, seppure virtuale, dell’accadimento, non certo del pensatore. E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù, dice il poeta. Quando a Lord Russell, già novantaduenne, capitò che una candela desse fuoco ai bordi del suo letto, egli, nel chiamare aiuto, ebbe lo spirito di citare Voltaire: “vedo già le fiamme dell’inferno che mi attende”…
Bel capitolo questo, che accomuna Giulia e Ramon nella richiesta di potersi affidare alla vita uscendo dal bozzolo verbale dell’obbedienza a certi codici.
“Per l’uguaglianza, la tolleranza, la pace, la difesa dei deboli, degli animali, il rifiuto di ogni integralismo superstizioso, della pena di morte, forse vale davvero la pena di andare all’inferno…” riprende infatti con foga Ramon.
Forse la libertà ha un sapore di angoscia, Giulia si sta dicendo nella mente. Per tanti è meglio restarsene nella stessa location. Best-selleracci, come dice Roversi. Tutto succede in un tempo preciso, in un luogo questo e non altro. Come una quieta scena casalinga, come gli interni borghesi di un fondalino TV qui non si addensano le nubi della Storia.
È stato uno degli inverni più miti che Giulia si ricordi, metà febbraio sembra l’inizio di primavera.
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Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi