L’arcivernice: Husserl, al di sotto della visione ingenua – parte seconda (settantesima puntata)
Il gatto, nel frattempo, aveva smesso la manovra di avvicinamento, era saltato su una calda sedia di paglia, e si era appallottolato nella tipica modalità fetale. Forse aveva intuito che si parlava di lui, e voleva tenersi a distanza da simili complicazioni...
“Allora, Maestro, quel che passa, il “significato”, è una specie di mediazione, un’astrazione da quanto di diverso hanno i singoli gatti, in modo che si crei una nozione “negoziabile” con altri?”.
“Di nuovo non bisogna semplificare. L’aspetto che hai individuato è corretto, ma parziale: è uno dei modi di oggettivazione. Ma non è il solo. O quanto meno, si può dare in molti modi. Intanto, dopo l’atto d’intenzionamento, io posso passare attraverso il piano dell’indicalità, o quello della descrizione, o attraverso entrambi. Dipende se ricorro a degli indici o a dei segni: vi può essere un processo ‘individuante’ ma non descrittivo, o, in un certo senso, denotativo. Si dà quando faccio ricorso agli indici, anziché ai segni. Se io ti dico ‘Dammi quella lì’, indicando la penna sul tuo tavolo, ho individuato benissimo l’oggetto, attraverso la ostensio ad oculos, e tu mi capisci. Ma non ho detto niente della penna, anzi, non ho neanche detto che è una penna. Ma posso anche dire: ‘Dammi la penna blu che è sul tavolo alla tua destra’; e qui l’ho ‘espressa’ descrittivamente. Ma posso anche fare ricorso a entrambi gli indicatori: ‘Dammi quella penna blu lì che è sul tavolo’. Per questo io ho introdotto la distinzione tra segno espressivo e indice.
Che cos’è un indice, se non un marcatore di diversità? Prendi una formula matematica: in ai + aj che funzione hanno gli indici i e j? Come vedi, j non denota: ti dice soltanto ‘prendi l’a che ti pare, purché non sia quello di prima, ai’. Vedi bene che non è banale, il triangolo semantico, sia quello aristotelico che quello stoico, non basta più. I momenti del comunicare, il determinarsi dell’espressione, della ‘lexis’, per la quale andrà trovato un soddisfacente ‘lektòn’, dictum, espresso, ma che sarà quello dell’ascoltatore, non del parlante, sarà il suo ‘contenuto riempiente’, è processo articolato e complesso. Per questo va distinto l’Anzeichen, indice, dall’Ausdruck, segno espressivo. Non basta più il triangolo, che tra l’altro non rende conto delle asimmetrie: i piani coinvolti sono almeno cinque”.
“Maestro, ammetto di essere confuso; ci devo pensare”.
“Questo è tipico della filosofia, Ramon. Io lo dicevo ai miei allievi: non solo leggere e scrivere, ma ‘pensare’ è il luogo del conoscere. Lo studio è necessario, ma la riflessione lo è altrettanto, se non di più. Per questo i tempi incalzanti e contingentati di tanti corsi accademici, così detti ‘intensivi’, che finiscono nell’arco di un mese, sono inadeguati per certe discipline: se anche le ore di lezione sono le stesse di quelle di un corso annuale, essi non danno ai discenti modo di pensare, cioè di capire e assimilare pienamente”.
“Ma quando avrò ripensato a tutto questo, Maestro, sarò padrone del mistero del ‘significato’ ?”.
“Ramon, la strada è lunga, ed è in salita. Prendi la parola ‘io’; qual è il suo ‘significato’? e cosa ‘denota’? È del tutto chiaro che se tu dici ‘io’ il denotatum è Ramon, mentre se lo dico io il denotatum è ‘Husserl’. Allora come la mettiamo? Il denotatum è ‘fluttuante’. E tuttavia, per un altro verso, potremmo dire che il significato di ‘io’ è sempre: ‘colui che parla’; dunque c’è un’invarianza di significazione, altrimenti il processo di oggettivazione si perderebbe nel caos. Io chiamo queste ‘espressioni essenzialmente occasionali’. Se io dico ‘oggi piove’ e ‘il 27 novembre piove’, c’è un momento nel tempo, il 27 novembre appunto, in cui i due enunciati sono equivalenti. Ma la magia della corrispondenza dura lo spazio di un giorno, il giorno dopo l’una potrà essere vera e l’altra falsa. E questo vale per una vasta classe di espressioni, ogni volta che c’è un rimando a uno dei fattori dell’atto linguistico: ‘io, tu, oggi, ieri, qui, ora ecc.’; vedi come il significato si complica…”.
“Maestro, ma, aggiunta quest’ulteriore complicazione, quando avrò interiorizzato tutto questo, potrò dire di avere compreso il significato di ‘significato’?”
“Non ancora, Ramon, ma ti sarai messo sulla giusta strada; perché l’indagine non muore mai. Ora ti devo lasciare, Ramon; spero di averti trasmesso più della rappresentazione di un gatto. Ora ti lascio il tempo per pensare…”.
Il gatto, nel frattempo, aveva smesso la manovra di avvicinamento, era saltato su una calda sedia di paglia, e si era appallottolato nella tipica modalità fetale. Forse aveva intuito che si parlava di lui, e voleva tenersi a distanza da simili complicazioni: ribanalizzando, il mettere a disposizione la sua rappresentazione gli pareva contributo più che sufficiente.
Si era alzato un po’ di vento, e dal giardino si sentiva che gli alberi avevano preso a sussurrare. Ramon pensò: come avrebbe catalogato Husserl quel discontinuo, coinvolgente sussurro? Meglio non complicare ulteriormente le cose…
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Maurizio Matteuzzi