L’arcivernice: Il Natale di Ramon (sesta puntata)
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“Ma ecco, Maestro, qual è il Natale buono, quello vero?”. Uno studente di filosofia riporta in vita i grandi pensatori del passato.
Natale, il nascere, il suo contrapposto, morire. Tutto il mondo, tutte le religioni, tutte le teorie celebrano “la nascita”, magari anche solo l’anodino “big bang”.
La nascita è una necessità logica. Lo spiega bene Aristotele nei “Primi Analitici”: pena, il regresso all’infinito, o il circolo vizioso.
Il mondo, piatto, con tutt’intorno il fiume Oceano. Ma perché sta su? “Perché è appoggiato sulla corazza di una grande tartaruga”, rispose il saggio indiano.
Già. Ma perché la tartaruga sta su?
“Perché è appoggiata sulle spalle di un gigante”, rispose il saggio.
“D’accordo, ma perché il gigante sta su?”.
“Perché è seduto su un enorme elefante”.
“Sì, ma come fa l’elefante a stare su?”.
E qui il saggio indiano disse: “Ma non potremmo cambiare discorso?”.
Ecco la necessità del natale.
Così pensava Ramon, sdraiato sul suo alto lettino, ancora facendo resistenza al risveglio che lo assediava con la luce opaca del mite sole autunnale.
“Ma ecco, Maestro, qual è il Natale buono, quello vero?”.
E qui, svegliandosi ancora un po’, Ramon dovette rendersi conto che il Maestro non c’era. C’era solo la sua cameretta. Ma con chi stava parlando?
Siamo tutti più buoni? Ma la bontà è un valore? Verso questo è tesa l’escatologia umana? O non muoiono forse anche oggi migliaia di bimbi per fame? S’è fermata la guerra? Ramon, girati e dormi, qui al mondo è il solito casino.
Ma in fondo Aristotele ha ragione: senza primi principi, che cosa sapremmo, che cosa potremmo dedurre? E i primi principi, dove li prenderemmo?
“In effetti, tutti gli animali hanno un’innata capacità discriminante, che viene chiamata sensazione. Ma ecco che mentre in alcuni animali essa non lascia traccia, altri animali possono invece, una volta che la sensazione è passata, conservare ancora qualcosa nell’anima.”
Fino a che, facendo tesoro dell’esperienza, gli animali superiori possono “cogliere l’uno nella molteplicità”. E questo è un passaggio “noetico”, che passa attraverso il nous, l’intelligenza. Non è un passaggio empirico: tu puoi ripetere la stessa esperienza mille volte, senza capire. Oppure puoi esperire un fatto una sola volta, ed ecco che cogli l’universale, il primo principio. Ma un cominciamento ci vuole.
Buon Natale, da tutta Education 2.0, homo sapiens.
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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.
Maurizio Matteuzzi