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L’arcivernice: Tantum possumus quantum scimus (cinquantatreesima puntata)

Pubblicato il: 22/03/2013 11:59:40 -


“Quale potere ci dà il sapere, Maestro?” “Prima di tutto, prima ancora di quello del dominio sui beni materiali, che pure prima o poi ne consegue, il potere di essere uomini veri”. In questa puntata Ramon parla con Francesco Bacone, Barone di Verulamio.
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“Per prima cosa, per giungere al vero ‘giudizio’, caro Ramon, ci si deve liberare dal “pre-giudizio”; ovvero dai molti pregiudizi, dalla ingenua credenza nelle falsità. Come quando tu vuoi trasformare la tua vecchia casa in una casa bellissima, devi prima di tutto avere il coraggio di abbattere quella brutta. Solo dopo potrai edificare, e la nave del tuo pensiero potrà oltrepassare con il vento in poppa le colonne d’Ercole che ne inibivano il veleggiare nei marosi dell’agitato oceano della conoscenza”.

Il Barone di Verulamio, con i suoi paramenti da alto dignitario, incuteva rispetto, e un certo disagio a Ramon; che tuttavia non esitò a tentare di approfondire:

“Quali pregiudizi, Maestro?”

“I condizionamenti sono numerosissimi, e noi non ce ne rendiamo conto. Li assumiamo senza spirito critico, li diamo per scontati, sono quasi, verrebbe da dire, insiti in noi, nella nostra natura. Ma possiamo catalogarli in categorie:
• i pregiudizi tribali, quelli radicati nella stessa natura umana, e nella sua storia ancestrale; quelli che io chiamo idòla tribus; gli errori della tribù, quelli radicati nella specie umana, che è fatta in modo tale che inevitabilmente commette errori. Il fatto stesso di essere uomini ci porta ad errare;
• quelli personali, della propria insufficienza particolare, che si sommano ai primi, quelli della grotta di Platone, da cui si vedono solo le ombre di ciò che sta fuori: io li chiamo idòla specus, gli errori della spelonca;
• quelli indotti dal contatto sociale, dalle relazioni con gli altri, che normalmente si situano nel linguaggio; perciò io li chiamo idòla fori, o della piazza, del dire, del detto, spesso equivoco, convenzionale e ingiustificato;
• quelli, infine, della finzione scenica, dell’illusione, il mondo favolistico che ci racconta la filosofia stessa, ad esempio il mondo non così com’è, ma come lo concepiscono gli aristotelici, che preferiscono leggere i testi dello stagirita anziché andare a vedere come le cose siano; e questi io li chiamo gli idòla theatri, i pregiudizi della rappresentazione scenica secondo un copione prefissato”.

Per ognuna delle classi Ramon avrebbe avuto tante domande; ma, conscio dell’effetto così effimero dell’arcivernice, preferì procedere rapidamente alla parte costruttiva:

“E dopo, Maestro, dopo la liberazione, dopo avere abbattuto gli idoli, che dobbiam fare?”

“Dopo dobbiamo rivolgerci al reale così com’è. Studiare, osservare, annotare, e cogliere i collegamenti, le concomitanze, andando a discriminare tra la coincidenza e l’essenza. Dobbiamo, cioè, imparare a leggere nel gran libro della natura. Dobbiamo annotare le presenze sistematiche, e le co-presenze. E lo stesso per le assenze, rilevando le cose che sono in relazione tra di loro, quelle che si escludono, quelle semplicemente disgiunte. E dobbiamo anche sforzarci di valutare il grado di coesione delle cose, l’intensità del loro correlarsi; compilare, cioè, quelle che io chiamo le ‘tabule gradus’. Da questo lavoro emerge la regolarità, e dal raggiungimento del possesso intellettuale della stessa, infine, la conoscenza”.

Adesso Ramon capiva bene perché Francesco Bacone era considerato il padre dell’empirismo.

“Ma, Maestro, oggi molti pensano che l’istruzione non debba essere funzionale al conoscere, ma al collocamento sociale, all’inserimento nel mondo, all’applicazione in un qualche lavoro delle nozioni acquisite…”.

“Questo è segno di grande ignoranza, figliolo. È una regressione verso il tribale, di cui ho già detto. In realtà ‘sapere è potere’, e chi non ama l’idea di condividere il sapere lo fa semplicemente per conservare il potere per sé”.

Naturalmente a Ramon vennero in mente i dibattiti attuali tra gli studenti suoi compagni, il problema di valutare gli studi, e le eccellenze degli atenei sui tempi in cui i laureati si inseriscono nel mondo del lavoro, il dramma della battaglia dei nostri governi contro la cultura vera, del ‘sapere’, in nome di un ‘saper fare’ funzionale al dio mercato. Ma si immaginò quale disprezzo avrebbe suscitato in Bacone anche solo la formulazione di una qualche domanda in merito, e si astenne.

“Quale potere ci dà il sapere, Maestro?”

“Prima di tutto, prima ancora di quello del dominio sui beni materiali, che pure prima o poi ne consegue, il potere di essere uomini veri”.

E poi, quasi intuendo il pensiero del ragazzo, Bacone aggiunse:

“Con tutto il rispetto per il genio di Aristotele, commisurato alla sua era, io voglio ragionare con la mia testa, e non con quella di Aristotele; e forse tu vuoi ragionare con la tua, e non con quella del dirigente di un opificio”.

Suonò d’improvviso una campana, cui quasi subito si aggiunse il suono di una seconda, e la sonorità, asincrona, si spargeva per la campagna; Ramon, d’istinto, guardò verso l’alta finestra ormai buia, come se il suono si potesse vedere. Chissà che idòlum era questo?
E quando ritornò con lo sguardo nella sua stanza il suo interlocutore non c’era più.

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