Situazione sociale del Paese: il rapporto Censis 2013
Connettività, reti orizzontali di comunicazione e d’integrazione relative a settori sociali emergenti: queste sono le possibili vie d’uscita da una pericolosa e soporifera difesa di stabilità.
Le sintesi, cui il Censis ha ormai abituato il pubblico di lettori esperti e/o interessati, sono in genere molto dense e richiedono attenzione ai lessici usati per veicolare le analisi proposte.
Quest’anno la parola chiave è “connettività”.
I dizionari recitano: la capacità che sistemi diversi hanno di collegarsi e comunicare fra loro al fine di scambiarsi informazioni.
Se ci si addentra in gerghi più specifici, la “connettività fisica” (l,infrastruttura che permette il collegamento effettivo tra i sistemi) è cosa diversa dalla “connettività logica” (le applicazioni che permettono e ottimizzano lo scambio di informazioni).
Si possono poi introdurre altre particolarità, ma il senso è quello che indica la capacità di rendere inter-operabili diversi sistemi. Bene, ma come?
Il come evoca gran parte degli aspetti che caratterizzano le società dell’informazione e della comunicazione (dagli oggetti che rendono possibile scambi e comunicazioni a dimensioni immateriali e quindi norme, accordi, protocolli, linguaggi, processi di standardizzazione, controlli, dati ecc.).
Viene allora da chiedersi: ma cosa c’entrano queste cose con la società italiana che, sempre più segmentata e conflittuale, intra e inter-conflittuale, sembra avviarsi al declino?
Una società “sciapa”, qui il giudizio è pesante, al di là del termine che, in tono dimesso, evoca mancanza di gusto, di quel sale capace di stimolare comportamenti e sostenere soggetti che, inesorabilmente, scendono nella scala sociale e che, anche se il crollo non c’è stato, denunciano il loro disagio e la loro stanchezza; e con insofferenze, più o meno scomposte, evidenziano gli spazi lasciati vuoti dalla politica e dalle istituzioni, spazi che pure ci sarebbero per una revisione seria del sistema di welfare e delle nuove forme dell’economia.
La politica e le scelte istituzionali continuano a esprimere una raggelata e immobile ricerca di stabilità che, sempre più priva di capacità di leadership e di rappresentazioni unificanti e di prospettive, rischia di spegnere quei sistemi o pezzi di questi, che esprimono energie e responsabilità nuove, capaci, forse, di rimettere in moto pezzi importanti del paese.
Sono questi sistemi che, se devono resistere all’individualismo, all’egoismo, al gusto per la contrapposizione e al disinteresse per ciò che è collettivo, devono essere i soggetti di questa connettività che la politica e le istituzioni non sono in grado di produrre perché “sono autoreferenziali, avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle categorie, avulse dalle dinamiche che dovrebbero regolare, pericolosamente politicizzate, con il conseguente declino della terzietà necessaria per gestire la dimensione intermedia fra potere e popolo”.
Connettività, quindi, come prospettiva possibile per soggetti sociali e aspirazioni nuove, che il Rapporto 2013 nomina, identificandoli nelle capacità imprenditoriali delle donne (nel secondo trimestre del 2013 sono il 23,6% le imprese con titolare donna iscritte alla camera di commercio e aumentano le donne iscritte agli ordini professionali tradizionalmente maschili), degli immigrati (11,7% in totale l’imprenditoria straniera (ma 21,2% nelle costruzioni e 20% nel commercio al dettaglio) e i giovani, i veri cittadini nuovi, capaci di navigare nel modo globale, proprio perché padroneggiano le opportunità della comunicazione digitale, delle varie forme di network, che già rappresentano modelli di quella connettività orizzontale, che dovrebbe rappresentare la via di uscita positiva dall’incerta e pericolosissima stabilità attuale.
Sui giovani il ragionamento è interessante.
La lettura dei dati riguardanti la mobilità verso l’estero sfugge alla rappresentazione dei “cervelli in fuga” e documenta, con dati (forse assemblati con un ottimismo un po’ eccessivo), una vitale volontà di cercarsi chances e prospettive nuove.
La lista delle ragioni, che hanno sostenuto la scelta verso il trasferimento all’estero, colloca solo al terzo posto il problema del lavoro, dopo la voglia di miglioramento della propria carriera e la ricerca di una migliore qualità complessiva della vita.
Una società, quella italiana, obbligata a ricercare senso e cultura, termini che forse meglio di altri suggeriscono la necessità d’impegno e di creatività finalizzata a costruire occasioni nuove e generose, per una collettività che rischia di perdere in modo definitivo le ragioni dello stare insieme, se tutti non riescono più a guardare in direzioni convergenti.
Questo il filo conduttore che sottostà alle analisi sviluppate nelle diverse sezioni in cui il Rapporto si articola, e che caratterizza il capitolo dedicato ai processi formativi, che mette in evidenza tutto quello che in Italia non funziona nel sistema dell’educazione, dell’istruzione, della formazione al lavoro e alle professioni.
Prima di tutto l’assenza di una visione comune, che sostenga la coerenza di un progetto culturale complessivo, segue poi la mancanza di consapevolezza del ruolo strategico dell’educazione degli adulti, la lentezza nella riduzione – che pure c’è stata – della dispersione scolastica, le difficoltà legate all’integrazione dei disabili, per l’endemica scarsezza di personale e la debolezza di supporti nei territori.
A fronte di quanto di positivo, anche se parziale, sembra muoversi nei settori dove istruzione e formazione professionale devono trovare coerenza e raccordo, il sistema universitario continua ad apparire squilibrato e poco capace di aprirsi alle sollecitazioni del mondo globale.
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Vittoria Gallina