La valutazione negli Stati Uniti d’America: storia di un fallimento
Quali sono i risultati della riforma scolastica attuata negli Stati Uniti sotto la presidenza Reagan? Ha funzionato la valutazione competitiva applicata al mondo dell’istruzione? L’intervento di Anna Angelucci al Convegno “Educare alla critica: quale valutazione?” (Liceo Classico Mamiani – Roma, 26 novembre 2013).
La “cultura della valutazione” nasce nella seconda metà del secolo scorso negli Stati Uniti d’America, imposta dal modello economico neoliberista, che applica anche all’istruzione il principio imprenditoriale dell’analisi costi-benefici a breve termine [1].
Per fare questo occorreva individuare un’entità misurabile circoscritta, un’unità di misura e uno strumento di misurazione, che permettesse di valutare “oggettivamente e sistematicamente” il livello degli apprendimenti di uno studente, di una classe, di una scuola e di uno Stato.
Il profitto in “reading” e “mathematic”, inteso nel suo incremento percentuale annuale, è l’entità misurabile; la competenza è l’unità di misura; il test standardizzato a risposta multipla (bubble test) è lo strumento di misurazione.
Nel 1983 la “National Commission on Excellence in Education” insediata da Ronald Reagan pubblicava un rapporto, “A Nation at risk: the imperative for educational reform”, che denunciava l’inadeguatezza del sistema scolastico americano e la scarsa preparazione degli studenti; attribuiva alla scuola e agli insegnanti tutta la responsabilità sul futuro del paese e chiedeva al Congresso provvedimenti immediati per creare nuovi strumenti educativi che valorizzassero il cosiddetto “capitale umano” e rendessero gli Stati Uniti competitivi a livello mondiale.
Il rapporto, a partire dal titolo, era costruito con un’enfasi retorica evidentemente performativa (cito una frase molto esemplificativa: “Se una potenza straniera nemica avesse cercato di imporci risultati scolastici così scadenti avremmo dovuto considerarlo un atto di guerra”) e ha prodotto un’attenzione immediata e capillare. Enti statali e privati, istituzioni, authority, esperti, gruppi di consulenti e politici hanno messo a punto una strategia riformatrice basata sulla valutazione degli apprendimenti e sul conseguimento di standard nazionali. I livelli di performance dovevano essere raggiunti obbligatoriamente, imponendo così agli insegnanti metodologie didattiche omologate.
Questa strategia ha determinato la diffusione generalizzata, ben presto applicata anche a livello internazionale, delle valutazioni comparate longitudinali, nonostante il richiamo alla valutazione sia diventato, soprattutto oggi, un fenomeno planetario grazie alle iniziative di organizzazioni transnazionali, in primis la Banca Mondiale, che tende a subordinare alla valutazione dei risultati scolastici la concessione di prestiti per l’istruzione [2].
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Note:
[1] “Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti”, così ha dichiarato Milton Friedman, nel 1955, in “The role of Government in education”.
[2] Katarina Tomasevski, “Six reason why the World Bank should be debarred from Education”, Bretton Woods Project, 2006 e Norberto Bottani, “La Banca Mondiale cambia strategia nel settore educazione”, gennaio 2010, in Norberto Bottani Website.
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Per approfondire:
leggi l’intervento completo di A. Angelucci al Convegno di Roma
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Anna Angelucci