L’arcivernice: Ramon incontra il suo professore (cinquantaseiesima puntata)
In questa puntata Ramon decide di rivolgere alcune domande al suo professore di Filosofia del Linguaggio. “Allora la competizione tra teorie non è un fatto darwiniano...”. “Caro Ramon, il discorso è complesso. […] Accontentati di questo: che una scienza è una catena di teorie omogenee, alle quali il vero e il falso sono intimamente correlati…”.
“Prof, posso chiederle cosa ne pensa di Popper e del falsificazionismo?”.
Ramon era rimasto sconcertato da quell’ultimo incontro. Era rimasto con uno strano disagio dentro, come se nella sua mente si fosse istillata una qualche forma di scetticismo strutturale. Non quello scetticismo totalizzante alla Pirrone, quello che pensava di potere sconfiggere con i classici mezzi messi a disposizione nella Metafisica di Aristotele (“se lo scettico non ammette neanche questo [l’esistenza del significato], allora egli non parla, è come una pianta”); e dall’argomento del Teeteto platonico: di rimando al grande Protagora, comparso a dirti che la conoscenza non esiste, Socrate ha buon gioco semplicemente ribattendo: “e tu coma fai a saperlo?”. La consequentia mirabilis: se un enunciato è implicato dalla sua negazione, allora esso è necessariamente vero.
Ma un accento sostanzialmente scettico era implicito nella tesi popperiana, uno scetticismo ben più sottile e pericoloso di quello totale e totalizzante delle correnti antiche: un darwinismo delle teorie può forse soddisfare la prassi, ma non certo la teoresi, di chi cerca la verità: nessun aggancio si intravede tra la teoria che finisce con il dominare, rispetto a quelle dominate, quanto alla garanzia del vero. Così aveva deciso di rivolgere qualche domanda al suo professore di Filosofia del Linguaggio, che di solito si mostrava ben disponibile a questo genere di chiacchierate.
“Caro Ramon, mi chiedi una lezione privata o ti interessa come la penso io?”.
“La seconda, prof”.
“Allora ecco. Il cuore della tesi centrale del falsificazionismo non è una grande novità. Diciamo pure che lo schema di ragionamento è ben noto, e usato da sempre, in sede formale: per smentire una proposizione universale è sufficiente provare un controesempio; la negazione diametrale di una universale affermativa, “tutti gli A sono B”, è la particolare negativa, “esiste almeno un B che non è A”. Questo sta già scritto nel celebre quadrato di opposizione che Aristotele così precisamente delinea nel “Dell’espressione”.
Lo stesso per la versione al negativo, ossia per l’altra diagonale del quadrato.
Attenzione però: le due particolari, affermativa e negativa, hanno portata esistenziale, mentre le universali no. Ma di questo parleremo un’altra volta, se ti interessano le “logiche libere”. Venendo a Popper, mi affascina e mi convince il suo assumere le teorie come un tutt’uno, come elemento molecolare costitutivo del sapere scientifico. Ma io mi spingerei oltre”.
“Cioè…”.
“Il concetto di ‘teoria’ è in questo contesto piuttosto vago. E non aiuta l’accezione volgare, secondo la quale una ‘teoria’ è una spiegazione organica ma possibile, non provata, in un certo senso pre-scientifica. Io credo che la nozione di ‘teoria’ si possa, anzi, si debba, matematizzare. Una teoria non è un semplice insieme di enunciati, come spesso si assume in matematica. Non è, in definitiva, un insieme, ma una vera e propria struttura in senso matematico, ossia un insieme strutturato. Essa è la tripla ordinata di tre componenti fondamentali: un universo di riferimento, o base ontologica, un linguaggio, entro cui si possa parlare degli elementi di quell’universo, e un apparato deduttivo, ossia una logica.
Vista la cosa in questi termini, la lotta darwiniana concepita da Popper può essere notevolmente arricchita, e meglio articolata. Una teoria può soppiantarne un’altra secondo vari aspetti. O perché si dà un allargamento dell’universo, con l’aggiunta di evidenze fattuali prima assenti, o con l’assunzione di un linguaggio più raffinato, in grado di cogliere distinzioni ulteriori, o con il potenziamento dell’apparato deduttivo”.
Ramon aveva il cervello in subbuglio, come quasi sempre gli accadeva quando parlava con il suo professore, e i suoi neuroni erano un vortice in ebollizione, in una grande tensione intellettuale.
“E quindi la comparazione tra teorie va vista in modo complesso, attraverso la comparazione dei rispettivi componenti…” azzardò.
“Sì. Meglio: una teoria può soppiantarne un’altra in quanto ne ristruttura un componente. E lo può fare in due modi canonici: per ampliamento o per invalidazione. Per ampliamento, in quanto spiega più fatti, allarga l’universo di riferimento, ad esempio. Prendi la fisica einsteiniana: non smentisce la meccanica razionale newtoniana, ma la generalizza a coprire nuove lande dell’universo, quelle delle velocità prossime a quelle della luce; ma le formule newtoniane rimangono valide. All’opposto, la teoria copernicana invalida quella tolemaica.
Poi tu devi pensare a una teoria non come a un dato in sé conchiuso: una teoria è una vera e propria macchina per pensare: viene scoperto un oggetto dell’universo, e allora ecco che nel linguaggio gli si dà un nome, e la logica della teoria ne deduce nuove verità, che andranno reinterpretate sull’universo, e così via. La teoria pulsa, in un certo senso agisce, fino a che non è satura”.
“Una teoria si satura, prof?”.
“Certo. Prendi il calcolo delle proposizioni. Abbiamo un metodo decisionale per calcolare il valore di verità di qualsiasi formula, e in modo algoritmico-meccanico. Nessuno scienziato si porrebbe ora la questione se una certa formula è sempre vera: basta verificare, con la tavola di verità, o con il metodo di Quine, o con quello delle forme normali, ecc. Insomma, la teoria, pur inducendo infiniti teoremi, che mai potremo enumerare tutti, tuttavia non ci può dare altro: è satura. Il che vuol dire che “è in loop” su se stessa. Per dirla con Tarski, Cn (Cn (T)) = Cn (T): l’insieme delle conseguenze delle conseguenze di T è uguale a quello delle conseguenze di T. Non c’è più nulla da scoprire”.
“Allora la competizione tra teorie non è un fatto darwiniano…”.
“Caro Ramon, il discorso è complesso. I rapporti tra teorie, così intese, si dispiegano nelle distinzioni tra teorie e sovra-teorie, teorie e metateorie, meta-meta-teorie, e, infine, teorie miste. Io sono, e lavoro, per un”algebra delle teorie’. E su questi presupposti si può, si deve costruire un percorso fondativo della conoscenza; ma ora ti devo lasciare, ho esami, e un’orda barbarica spinge alle porte.
Accontentati di questo: che una scienza è una catena di teorie omogenee, alle quali il vero e il falso sono intimamente correlati; ne riparliamo quando vuoi, e andremo avanti nel ragionamento, c’è molto altro da dire; ma ora togliti dalle scatole, torna quando vuoi”.
Ramon, un po’ confuso, obbedì.
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Maurizio Matteuzzi