Ti racconto una fiaba
Il ritorno della fiaba e il potere di trasmettere le emozioni, permette di comunicare efficacemente ai giovani e... non solo a loro.
Forse è un segno vero dei tempi (1): dal grande al piccolo schermo ai videogiochi, dai quotidiani alle riviste, dai libri ai fumetti, dalle filastrocche alle canzoni, persino nella produzione pubblicitaria, il fantastico e il fiabesco vivono una nuova “occasione”, mescolando tradizione e modernità. Qui magicamente sembrano stemperarsi i conflitti più duri di questi anni di crisi e sbandamenti; sono certo ben visibili taluni effetti: la riduzione delle possibilità di consumo e di spesa, il deterioramento delle forme del lavoro e la drammatica riduzione delle opportunità di lavoro, la devastazione dell’ambiente e le conseguenti sciagure che “naturali” non sono.
Ma nel mondo del fantastico (dalla favola, alla fiaba, alla leggenda), i più deboli, l’umanità dolente, l’infanzia di ogni tipo e colore si riscatta: sono i protagonisti vincenti in una storia che li vede contro le forze del male.
E l’ambiente – potentemente piegato da un modello produttivistico ad oltranza, tragicamente dissipato dall’attuale modello di sviluppo – è posto sotto “i riflettori” per sollecitare e riproporre una condizione di equilibrio e interdipendenza positiva tra uomo e natura: entrambi trovano il proprio riscatto.
La realtà si riscrive, si reinventa fino a superarla.
La narrazione, la potenza evocativa di parole e immagini – anche sostenute dalle “novità” espressive/comunicative – sembrano voler cancellare, anche sul piano dei segni, il predominio a lungo posseduto dall’arido linguaggio economicistico.
Insomma, verrebbe da dire, il modello sociale che ha prodotto questa crisi profonda, sta ora producendo anche la sua negazione o almeno, il suo superamento. Ma il fatto che immediatamente il mondo produttivo (pubblicitario in particolare) abbia colto nel “fantastico” una nuova opportunità di mercato (e relativi consumi), dovrebbe rendere tutti più cauti nel formulare ipotesi forse venate d’ideologia.
D’altra parte il senso di spaesamento, incertezza, insicurezza che stiamo vivendo è di tale complessità che molte sue dimensioni appaiono ancora ignote, inesplorate; di conseguenza la narrazione di questa crisi non riesce ancora a essere “convincente”: ne abbiamo una percezione forte ma non riusciamo ancora a capire bene quale debba essere la direzione giusta per uscirne.
In quale direzione occorre muoversi per superare questa difficile condizione e aprire ad un futuro diverso?
È in questo contesto che è esplosa la riscoperta del mondo del fantastico.
E le fiabe primeggiano, sì perché le fiabe (popolari o d’autore), per tempo accantonate e poi “riscoperte” (pur con ri-aggiustamenti, modifiche, integrazioni in ragione del contesto storico e culturale) acquistano un nuovo valore: coniugando il soprannaturale-portentoso con il razionale-terreno, con le svariate occasioni/combinazioni di prove, desideri, trasformazioni, trasgressioni e in virtù del lieto fine, continuano – in un sottile gioco d’immaginazione, fantasia e magia – a destare meraviglia e divertimento, aiutano a elaborare esperienze, attese, sentimenti, passioni; ballano leggiadre con le nostre più ancestrali paure o gli istinti primitivi, contribuiscono ancora oggi a fissare caratteri e destini e a definire mappe di orientamento nella società. E quel “c’era una volta” è comunque rassicurante: sia che ci si riferisca ad un evento drammatico, tragico o spaventevole (può fare pensare che esso sia accaduto tempo fa, in un tempo indeterminato e lontano tale da non destare preoccupazioni o ansie di sorta), sia – invece – che ci si riferisca a un evento meraviglioso, stupefacente e portatore di sogni e speranze (insomma è accaduto e può accadere ancora).
Non ricordo quando e dove – non sarei quindi in grado di citare la fonte (d’altra parte la citazione è approssimata) – ho letto che “l’uomo, ascoltando le fiabe, impara se stesso proprio perché entra nella verità del suo essere”.
Per estensione potremmo affermare che le fiabe, senza averne la pretesa o senza alcuna insita intenzionalità, hanno funzioni educative, terapeutiche, di regolazione emotiva, morale ed etica. Possiamo attingere a un immenso “patrimonio” di fiabe.
In tempi diversi vari autori hanno raccolto le fiabe dei propri paesi e le stesse sono diventate oggetto di studi e ricerche a vari livelli; molti sono i “trascrittori” e/o traduttori o scrittori di fiabe: citarli semplicemente comporta il rischio di un’arida elencazione (2).
D’altra parte molte fiabe sono anonime e polifoniche: prima di diventare narrazioni scritte sono, per millenni, racconti orali tramandati “di bocca in bocca” nel corso di diverse generazioni viaggiando nel tempo e nello spazio, attraverso secoli e continenti.
Le fiabe, dunque, sono moltissime e differenti e (sebbene – come sostiene Propp – si articolano in “31 funzioni fondamentali”, identificate in ragione del significato che un personaggio assume nell’intero svolgimento della vicenda) ciascuna non solo ha significato diverso per ciascuna persona, ma – afferma Bettelheim – il significato profondo di una fiaba è “diverso per la stessa persona in momenti differenti”.
Studiosi ed esperti accreditati sottolineano una prospettiva inter/multisciplinare per “leggere” una fiaba; non è riduttivamente un ambito artistico/letterario: vi si riflettono politica, economia, filosofia, antropologia, psicologia…
Mi sentirei allora di dire che oggi il ritorno alla fiaba non solo è un segno dei tempi, ma la voglia di un sogno, di una fiaba continua, o meglio di mille fiabe che iniziano e si concludono… a lieto fine.
(1) Prendo a prestito l’incipit della poesia “Ride la gazza, nera sugli aranci” di Salvatore Quasimodo, tratta dalla raccolta “Ed è subito sera”, assegnata quest’anno come analisi del testo per l’esame di Stato.
(2) Dalle “Le piacevoli notti” di Francesco Straparola (XVI secolo), a “Lo cunto de li cunti” di G.Battista Basile (prima metà del XVII secolo), a le “Contes de ma mère l’Oye” di C. Perrault (XVII secolo) che, nel 1875, Collodi traduce dal francese e a queste ne aggiunge alcune di M.me d’Aulnoy (fine Seicento) e alcune tra quelle del “Magasin des enfants” di M.me J.M. de Beaumont (in pieno Settecento). Ricordo ancora “Le mille e una notte” della raccolta di A. Galland (primo Settecento), “Kinder und Hausmärchen” dei fratelli Grimm (prima metà dell’Ottocento) di cui Gramsci – durante la detenzione in carcere nei primi anni Trenta del XX secolo – ne tradurrà ventiquattro, pubblicate poi con il titolo “Fiabe in libertà”; la raccolta di vari racconti fiabeschi provenienti da più parti d’Italia a cura di D. Comparetti e la più esigua raccolta di fiabe a cura di F. Corazzini nonché la registrazione “stenografica” di fiabe in più regioni a cura di V. Imbriani (seconda metà dell’Ottocento)… fino all’antologia di “Fiabe italiane” (duecento) di I. Calvino, pubblicate nel 1956 dalla casa editrice Einaudi.
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Patrizia Costanzo