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Un babà per l’intercultura a scuola

Pubblicato il: 04/07/2013 12:46:46 -


Un viaggio intorno al mondo attraverso la storia del babà, non solo per scoprire le curiose origini di questo alimento, ma anche per ri-scoprire la valenza interculturale del cibo. E trovarsi infine a gustare insieme una deliziosa merenda.
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L’intercultura non ha bisogno di mezzi complessi per essere concretamente realizzata, a scuola come in ogni altro luogo.

Basta fare caso al comportamento spontaneo dei piccoli tra di loro, per comprendere come lo scambio e l’apertura all’altro siano realizzabili in assoluta semplicità. Solitamente, quando i bambini s’incontrano, la prima cosa a cui prestano attenzione è la similitudine. Cercano subito le cose che hanno in comune, perché lo scopo ultimo è il gioco e per giocare insieme occorre intendersi.

Del resto, le due parti che compongono la parola intercultura svelano proprio questa semplicità, pur racchiudendo significati profondi.
“Inter” sta per interazione, scambio, apertura, arricchimento reciproco.
“Cultura” sta per modi di vita, comprensione del mondo.

Se davvero vogliamo affrontare un percorso d’intercultura, dunque, parliamo a bambini e ragazzi di cose semplici, che appartengono al loro quotidiano, possibilmente scegliendo argomenti piacevoli.

Anche in quest’occasione, può venirci in aiuto il cibo, fonte di vita e di benessere psicofisico per ogni essere umano. Se, poi, il cibo in questione appartiene alla gioiosa categoria dei dolciumi, tutto diventa anche più gioioso!

Quanti sanno, ad esempio, che il babà, delizia tipica partenopea, in realtà racchiude in sé pezzi di culture da ogni continente?

Prima di giungere all’ombra del Vesuvio, ha attraversato buona parte dell’Europa, attingendo qua e là nuovi ingredienti, ma non solo.

La sua storia ebbe inizio tra i fornelli della cucina di un giovane re, appassionato di arte culinaria, nel XVIII secolo. Si trattava di Stanislao Leszczy?ski, sovrano di Polonia dal 1704 al 1735.

Dopo una serie di sconfitte in battaglia, Stanislao fu privato del suo regno e costretto ad abbandonare la Polonia. Grazie all’appoggio del suocero, ovvero il Re Luigi XV, nel 1738 riuscì a ottenere il Ducato di Lorena, e perciò si trasferì a Nancy, in Francia.

Non deve essere stato facile accettare la perdita del titolo di sovrano e dover lasciare per sempre la propria terra.

Alcuni storici raccontano che Stanislao, relegato in Lorena, fosse spesso in preda ai fumi dell’alcol e frequentemente alla ricerca di cibi dolci per consolare il suo palato e alleviare le sofferenze della detronizzazione.
Ma superare le amarezze della vita non era cosa semplice, soprattutto in una terra straniera, dove nemmeno i cuochi del Ducato riuscivano a capire i suoi gusti e a inventarsi qualcosa di appropriato per alleviargli e i dolori dell’anima.

Stanislao, inoltre, era completamente sdentato, pertanto ogni pietanza doveva necessariamente essere morbida e facilmente digeribile, oltre che gradevole.

La specialità della Lorena era un dolce di origine tedesca chiamato kugelhupf, fatto di pasta soffice lievitata naturalmente, ma troppo asciutta.
Fu così che Stanislao, stanco di vedersi servire sempre lo stesso piatto poco mangiabile, decise di mettersi all’opera. Gira e rigira, ecco che trovò la soluzione: il rum.
In Francia si faceva largo uso di questo liquore antichissimo, ottenuto dalla canna da zucchero e derivato da bevande dell’Oriente (forse Cina o India). Uno degli antenati del rum fu il vino della Malesia “brum”, che si produceva migliaia di anni fa e di cui anche Marco Polo parlò definendolo “un ottimo vino di zucchero”.
E la storia ci racconta che anche il Rumbullion, prodotto nelle piantagioni dei Caraibi dagli schiavi provenienti dall’Africa, nel XVII secolo, fu un suo importante antenato.

Come sempre, tutto si intreccia prodigiosamente.

Stanislao, dunque, inzuppò il kugelhupf nel rum e, quasi magicamente, nacque un dolce nuovo, con un sapore e un colore differenti.

Quando si trattò di dare un nome alla nuova invenzione culinaria, il giovane re ovviamente usò la sua lingua madre e scelse l’appellativo di “babka” che in polacco significa “vecchina/nonna”, forse per la forma del dolce che ricordava la gonna a campana indossata dalle donne anziane.

Da quel momento, i cuochi francesi utilizzarono frequentemente il “babka” come dessert che, pronunciato da loro, divenne “baba” con l’accento sulla sillaba finale.

Dalla Lorena arrivò presto a Parigi, presso il celebre pasticciere Nicolas Stohrer, che modificò leggermente la ricetta eliminando l’uva sultanina e dandogli la forma a fungo.

Ma il babà era destinato a viaggiare ancora: da Parigi arrivò direttamente a Napoli, grazie ai monsù, i famosi chef che prestavano servizio presso le famiglie nobili.
Fu proprio nel regno di Napoli che il babà divenne quello che oggi conosciamo, ovvero il dolce poroso e morbido inzuppato con uno sciroppo di zucchero, acqua e rum, dal sapore unico e inconfondibile.

Storia, destino, accenti e profumi si sono intrecciati tra loro nei secoli, per dare vita a una prelibatezza pasticcera che ancora è presente sulle nostre tavole.

Che percorso affascinante!
Tutto il nostro pianeta, con i suoi sapori e le sue culture, si ritrova racchiuso in un dolce semplice e buonissimo.

Forse è questo il segreto per stare bene insieme tutti, offrire il meglio che abbiamo e unirlo nella dolcezza.

Dopo il racconto dell’affascinante storia del babà, sarebbe un’ottima idea provare a prepararlo, grandi e piccini assieme, a scuola o in una fattoria didattica.

Se i bambini e i ragazzi provengono da diverse realtà geografiche, potranno con orgoglio e gioia riconoscere un pezzettino della loro cultura durante l’esecuzione della ricetta.
La lavorazione del dolce è semplice, e i più piccoli potranno prepararlo anche senza rum, perché è ugualmente buono!

Cucinare insieme, magari chiacchierando di storia e geografia mentre si aspetta che la pasta lieviti, è una fantastica occasione di convivialità che alleggerisce il quotidiano scolastico, oltre che un importante momento di apprendimento per scoprire che il nostro cibo spesso viene da lontano e che la gustosità deriva dalla fusione di tanti ingredienti diversi.

Ecco la ricetta per preparare insieme l’autentico babà interculturale.

Ingredienti
per l’impasto:
• 250 gr di farina 0
• 25 gr di zucchero
• 75 gr di burro ammorbidito
• un pizzico di sale
• 5 uova
• 1 cubetto di lievito di birra

per lo sciroppo:
• 1 l di acqua
• 400 gr di zucchero
• 1 buccia di limone
• rum

Mettere in una ciotola la farina, lo zucchero, il burro a pezzettini, il sale e il lievito sbriciolato e miscelare il tutto. Aggiungere le uova. Impastare ancora fino a che la pasta non aumenta di volume e non risulta compatta.
Far riposare la pasta nella ciotola fino a che non cresce e raggiunge il bordo. Quindi trasferire in uno stampo imburrato e far crescere di nuovo fino a che la pasta raggiunge i bordi.
Infornare in forno caldo a 180°C per circa 20 minuti.
Poi scaldare l’acqua, lo zucchero, la buccia di limone e il rum per fare lo sciroppo. Mettere il babà su una grata e poggiarla su un recipiente grande. Praticare dei fori con uno stuzzicadenti sulla superficie e bagnare con lo sciroppo. Girare il babà e bagnare diverse volte. Lasciare gocciolare il babà sulla grata per qualche ora, prima di gustarlo insieme.
L’intercultura è servita.

Buona merenda interculturale a tutti!

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Immagine in testata di Maritè Toledo / Flickr (licenza free to share)

Rosa Tiziana Bruno

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