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ClanDESTINI (trentunesima puntata)

Pubblicato il: 02/12/2011 19:19:35 - e


“Nasciamo tutti in un recinto, solo che alcuni recinti non sembrano tali, fino a quando non provi a scavalcarli”. Prosegue il giallo a puntate di Education 2.0 ambientato nella scuola in ospedale. La storia di Didier, bambino soldato sfuggito alla guerra e alla morte.
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Il sigaro tra le labbra del professore si andava spegnendo, era troppo assorto nei suoi pensieri per fare una tirata. Natis si era piazzato all’estremo del recinto di filo spinato, quello da cui si vedeva meglio il mare e aspettava, impaziente.

Alle sue spalle si avvicinò Didier, zoppicando.

“E il tuo amico? voglio vederlo. Io sono un amico di Linda”

Anche Didier guardò il mare e un brivido gli percorse la schiena “Vieni, ti ci porto. È rimasto nella baracca, ha incontrato una donna marocchina con il suo bambino appena nato… Ti manda la scuola?”

“Nasciamo tutti in un recinto, solo che alcuni recinti non sembrano tali, fino a quando non provi a scavalcarli. Non mi manda la scuola ma sono un amico di Linda, e della tua maestra che ti rivorrebbe in classe. E sono uno che è stato nel tuo Paese, più di una volta, con un’organizzazione che porta aiuti alimentari anche in Ruanda.”

“Volontario? L’altra notte un volontario ha messo Kamal sotto l’acqua bollente, voleva lavarlo e ora ha una brutta ferita… no, si chiama ustione, alla gamba, zoppica pure lui. Volete ributtarci in mare?” Didier indicò le spiagge in lontananza.

Il prof Natis non rispose, riaccese il sigaro e s’incamminò con Didier lungo il reticolato sfiorando con la mano il filo spinato e le lamiere arroventate delle baracche. “Non è un volontario, è un dipendente assunto per l’emergenza, emergenza che non finisce mai. Nessuno ti ributterà in mare, ma la Guardia di Finanza e i Carabinieri vogliono sapere dove hai preso la tua pistola.”

“E a te, a te non interessa dove l’ho presa?”

“No, non mi importa nulla, a me interessa che voi usciate di qua. Vi siete cacciati in un bel guaio.”

Didier rise, ma allungò il passo e fece cenno all’uomo di raggiungerlo “Ho lasciato la mia terra da tantissimi giorni, non ricordo neanche più quanti… cosa succede in Ruanda?.”

“Si prevede brutto tempo. Ma tu lo sai bene. Non fare il furbo, non ti conviene se non vuoi che il tuo viaggio finisca in questo Centro di detenzione per immigrati e rifugiati.” Natis si fermò e buttò fuori il fumo del sigaro “Tu hai combattuto in Ruanda o ai suoi confini, ma qui bisogna combattere in un altro modo… si muore anche se non ci sono battaglie e guerre in questo lembo sperduto dell’Italia.”

“E allora?” Didier lo guardò spavaldo negli occhi “Ho voltato le spalle al massacro e anche il mio paese gli ha voltato le spalle perché vuole guardare in faccia il futuro. E voi qui che volete fare con i vostri nemici? Ci vuole coraggio, uomo bianco.”

Natis lo guardò girarsi “Tu non gli hai tanto voltato le spalle al passato se ti sei procurato un’arma dalla mafia, che c’è, bambino nero, hai cambiato solo clan e tornerai ad uccidere lo stesso?”

Didier si immobilizzò “Sarò bambino ma ho fatto la guerra e non mi faccio ammazzare senza difendermi, come è successo al padre del mio amico Totuccio, uomo bianco caritatevole!”

“Solo pochi giorni fa a Radio Ruanda a Kigali è scoppiata una bomba… una carneficina, attuata dagli stessi personaggi da cui tu sei sfuggito.”

“Certo. Questo l’ho sentito alla radio. Dagli stessi capi per cui ho ucciso… ora sembrano avere un altro progetto di morte da mettere in campo. Ecco Kamal!”

“Ti chiederanno da chi ti volevi difendere con quella Glock o chi volevi uccidere… e ti chiederanno quale collegamento c’è tra la tua fuga dal Ruanda e il fatto che siete scappati da scuola.”

Kamal era sdraiato con gli occhi semichiusi sopra un mucchio di sacchi di plastica. Fece un cenno con la mano all’amico, scostando una vecchia coperta che era riuscito ad accaparrarsi. Accanto a lui la donna marocchina stava allattando il suo bambino, nato in un recinto.

“Perché dovrei rispondere?”

“Se vuoi diventare un rifugiato, ed è per questo che sei venuto, dovrai risponderci, prima o poi.”

“Amico di Linda, adesso voglio salvare la pelle, Diventare rifugiato, dopo. Ci devi far uscire da questo recinto, qui è troppo facile che ci scappi una coltellata… diranno che i clandestini sono gentaccia e litigano fra loro…”

Natis gettò il sigaro spento fra i rifiuti. Sospirò. Ci pensò un poco in silenzio poi si decise e parlò a bassa voce. “Sareste pronti per venir via?”

“Pronti subito ma non possiamo correre, avremmo bisogno di qualcosa per tagliare il filo spinato.”

Natis fece di no con la testa “Adesso vi descrivo la mia macchina, è al parcheggio interno. Starete stretti nel bagagliaio, ma si tratterà di pochi minuti, ecco le chiavi, fatemele trovare infilate nel cruscotto.”

“Ti faranno passare?”

“Voi fate la vostra parte io faccio la mia… al massimo ci scoprono. Anzi vi scoprono, io non c’entro niente, mi avete rubato le chiavi. Quanto ci metterete?”

Didier annuì pensieroso. “Tirati su, Kamal, che dobbiamo fare una passeggiata. Ci devi dare almeno un quarto d’ora di tempo.”

Kamal si alzò con la coperta sulle spalle “Dici che sarà difficile per noi rintanarci in un bagagliaio, accartocciati sotto uno straccio… come nella stiva del barcone che ci ha portati verso la libertà? Perché è qui la libertà, vero?”

***

“Ma che fai ti prendi le sigarette!”

“Pino! Muto devi stare, sennò anche le tessere per telefonare mi prendo!”

“Ma sono per i clandestini del Centro!”

“Bella roba! Meno sigarette e meno tessere telefoniche qui, meno bagni da sogno negli appartamenti di servizio, e poi meno ricevimenti e meno feste ufficiali! L’ho messa io la benzina per venire qui!”

“E io l’ho messa l’altra settimana!”

“Tu dici delle sigarette, ma quante volte prendo la macchina mia per i pedinamenti o gli appostamenti!”

“Certo, prima le cose essenziali e dopo il resto… prima noi e dopo i Centri.”

“E i volontari, ecco Natis che ritorna senza aver combinato niente.”

“Professore se ne va?”

Natis cercò il portasigari e tirò fuori l’ultimo rimasto. “Voi fumate sigarette, vero?”

“Guardi quanti pacchetti ce ne sono!” disse Pino.

“Torno con la volontaria dell’ospedale di Montelusa e la maestra, con loro forse combineremo qualcosa… ma i ragazzi sono tipi duri! Neanche con l’acqua bollente ce la fate a torturarli!”

“Quello è stato un incidente, che tortura! Telefoni prima di venire, forse li spostano.”

Natis accese il sigaro e fumò alcune boccate per sistemare il fuoco. “Vi risaluto ora che esco apritemi la stanga.”

“Veniamo noi fuori, il telecomando non funziona, come tutto il resto.” Pino e Gino lo guardarono allontanarsi velocemente verso il parcheggio incustodito.

“Abbiamo fatto un buco nell’acqua a chiamarlo.”

“Non ci mettono in condizione di lavorare, ecco cos’è, te lo dico io!”

“È importante che ora il Governo non ci abbandoni ai criminali e ai tifosi ultrà che sono criminali anche loro!”

“Non devi chiamarli tifosi”, lo rimproverò Gino. “I tifosi sono persone per bene, quei delinquenti che sfasciano e mettono a ferro e fuoco gli stadi e le città sono un’altra cosa. Sono criminali davvero, non meritano spazio e vanno trattati come loro”

“Né più, né meno che come mafiosi ed evasori fiscali, ma anche black bloc o terroristi allora, massima determinazione e ristabilire la legalità, questo dico io come finanziere! Sennò i poliziotti che ci stanno a fare, ad accompagnare le escort?”

“Sta zitto che ti sentono!”

“Sono stufo, non ne posso più… ci mancavano solo i clandestini da smistare. A proposito dimmi esattamente che cosa ti ha detto quel maggiore al telefono poco fa.”

“Hansen, così si chiama, ha saputo che qui abbiamo quello della Glock con l’amichetto e se li viene a prendere, prima possibile ha detto.”

“A proposito, come l’avrà saputo che sono qui da noi?”

“Ho mandato l’informativa di routine a tutti gli uffici, non ti ricordi?”

“Ecco Natis, andiamo ad alzargli la stanga del passaggio.”

La Panda verde penicillina era arrivata davanti alla stanga.

“Professore, il bagagliaio si è aperto, aspetti che glielo chiudo.”

Gino si chinò con le due mani sul bagagliaio e spinse con forza, ma il clic della serratura non lo convinse.

(continua)

(La storia di ClanDESTINI è frutto della fantasia degli autori: qualsiasi riferimento con la realtà, fatti, luoghi e persone vive o scomparse, è puramente casuale).

Calcerano e Fiori: il viaggio di Didier, un video riassunto che svela scenari inediti sulla storia di Clandestini

È in libreria “Teoria e pratica del giallo“, la nuova fatica di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori per le stampe di Edizioni Conoscenza.

Qui le modalità per l’acquisto del libro.

Le puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Sesta puntata

Settima puntata

Ottava puntata

Nona puntata

Decima puntata

Undicesima puntata

Dodicesima puntata

Tredicesima puntata

Quattordicesima puntata

Quindicesima puntata

Sedicesima puntata

Diciassettesima puntata

Diciottesima puntata

Diciannovesima puntata

Ventesima puntata

Ventunesima puntata

Ventiduesima puntata

Ventitreesima puntata

Ventiquattresima puntata

Venticinquesima puntata

Ventiseiesima puntata

Ventisettesima puntata

Ventottesima puntata

Ventinovesima puntata

Trentesima puntata

L’intervista agli autori, Il giallo d’appendice


La video presentazione di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Un giallo prezioso: ClanDESTINI


Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, narratori e saggisti, vivono e lavorano a Roma. Hanno scritto insieme numerosi romanzi polizieschi. Per ulteriori informazioni si possono consultare:
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fiori_(narratore)

http://www.luigicalcerano.com

http://www.giuseppefiori.com

Calcerano e Fiori

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