Chirurgia plastica, a 12 punti. Le “ragioni del no” per il taglio ai cicli scolastici
Quali posso essere le “ragioni del no” per il taglio alla secondaria superiore o al secondo ciclo. Una riforma che si potrebbe, metaforicamente, avvicinare a un intervento di chirurgia plastica che toglie qualcosa da una parte per rimodellarne un’altra. Gli effetti, secondo l’autore, sarebbero non felici, e per questo analizza i motivi per i quali il taglio dei cicli scolastici non lo convince.
Taglio alle superiori e cucitura alle inferiori, poi un nuovo sistema di valutazione e infine mescolare bene!
Ebbene, vediamo perché sarebbe assurdo un taglio alle superiori (a prescindere dalle sperimentazioni poco ragionate, attualmente in corso).
L’eliminazione del quinto anno alle superiori sarebbe veramente un taglio di chirurgia plastica con enormi problemi di rigetto (anche se fosse sostenuta da una parziale, locale e guidata sperimentazione).
Il primo grosso problema è dovuto al fatto che lo spostamento a 16 anni dell’obbligo scolastico nel lontano 2000 è stato conseguente all’oggettivo ritardo della scolarizzazione (ormai toccato con mano alle superiori – le cause e la loro origine le vedremo dopo), testimoniano una traslazione verso l’alto della formazione sia dal punto di vista disciplinare sia per la crescita di una cittadinanza e una coscienza civile.
Il secondo biennio della Riforma non sarebbe sufficiente – semplicemente e soprattutto in termini di tempo – a costruire proprio nulla, vuoi per le competenze specifiche al lavoro, vuoi per le competenze culturali necessarie a una qualunque scelta professionale. In questa fase della formazione, cioè in uscita dalle superiori – com’è stato ben messo in evidenza dal lavoro di Experimenta in “Pensare e fare Scienza” (del Comitato Nazionale per lo Sviluppo della Cultura scientifica e tecnologica del MIUR) – sono centrali due gradi di libertà nello sviluppo di ogni competenza: la cultura del lavoro e la cultura della scelta.
Oggi, questi due gradi di libertà sono abortiti dalla difficile situazione dell’alternanza scuola-lavoro (vedi dopo) e dai “tempi collassati” alle superiori (a causa dello spostamento della soglia dell’obbligo e quindi della soglia dell’analfabetismo).
Questo baratro, incolmabile persino per una scuola superiore eroica, produrrebbe comunque un fronte d’onda micidiale per il definitivo fallimento nell’inserimento al lavoro – per il quale stiamo tanto lottando in questo difficile momento – e per il definitivo smantellamento sia dell’istruzione tecnica superiore sia di quella universitaria.
Pensiamo alla dispersione massiccia al primo anno d’ingegneria (oltre il 50% degli iscritti abbandona subito) o alla difficile costruzione di un percorso ITS con “una seria possibilità” d’inserimento al lavoro.
Con grandi difficoltà siamo riusciti a costruire solamente quest’anno un percorso di stage e tirocinio universitario che partisse dal terzo anno delle superiori, con un efficace accompagnamento “continuo” al primo biennio universitario (quindi della durata di cinque anni). Altrettanto si sta facendo per l’ITS (in crisi sin dalla sua istituzione).
In secondo luogo, la ricostruzione del secondo ciclo non si limiterebbe a un’“opportuna” selezione del “core” (del “modello a shell” [1], non riducibile ai contenuti minimi – ad esempio, individuati per gli assi dell’obbligo) nella programmazione e relativa progettazione didattica di un percorso complesso (pensiamo a un Tecnico o un Professionale), con curvature, opzioni, voli pindarici e giravolte disciplinari, ma in un aborto spontaneo di obiettivi e di finalità con incredibili problemi di riscrittura della valutazione in uscita. Sempre che per valutazione si consideri una valutazione di processo prima che una valutazione di risultato (e non entriamo nel merito dell’Esame di Stato che subirebbe un taglio con la fretta di trasformare un mostro inutile in una possibile nuova creatura devastante, magari con lo zampino dell’INVALSI… in attesa che venga nominato un suo super-presidente).
Così, traducendo la valutazione esclusiva di risultato attuale in una “valutazione di processo articolata”, si avrebbero a disposizione “solamente due anni” per passare dall’obbligo formativo appena acquisito alla certificazione di competenze necessarie e sufficienti per l’avviamento al lavoro. Un miracolo possibile solo per chi nella scuola non ha mai messo piede e non si è mai cimentato sul campo del mondo degli apprendimenti, ma semplicemente vive di statistiche o di tecnicismi top-down.
Una terza ragione sarebbe quella connessa al centralissimo problema dell’alternanza scuola-lavoro (con tutte le sue implicazioni come l’impresa simulata, gli incubatori d’impresa, le start up, gli spin off, ecc.), di cui tanti parlano così orgogliosamente al ministero e a INDIRE .
Come spesso accade nel nostro dilaniato paese fatto di santi, poeti e navigatori (magari anche geni), non si riesce mai a fare sistema su nulla, fino a quando una lobby di qualche tipo non propone dall’alto una riforma forzosa e sempre urgente perché frutto di un’emergenza.
L’ultima riforma ha messo al centro della sua innovazione del secondo ciclo il rapporto della scuola con il lavoro. Ogni tipologia d’indirizzo dovrebbe stipulare accordi e definire comitati tecnico-scientifici con le aziende e gli stakeholder del territorio. La contrazione delle risorse si è tradotta in un colossale collasso delle relazioni scuola-lavoro (sopravvive il volontariato, quindi l’improvvisazione). Nella regione Lazio, ad esempio, sono stati finanziati 71 progetti, tra licei, tecnici e professionali, su 271 scuole statali superiori(e 558 punti di erogazione), cioè il 26%, solamente un quarto.
Per ovvie ragioni, l’alternanza non sarà mai un punto di forza del sistema, anche se l’esperienza del settore ha mostrato l’efficacia delle sue ricadute sul territorio e sulle vite degli studenti. Inoltre, una cattiva pratica diffusa dai nostri sistemi di valutazione non favorisce mai il merito e cioè chi ha già operato producendo risultati di qualità (la valutazione è manipolata e gestita da logiche politiche).
Quindi, l’Italia non fa tesoro delle sue esperienze. Mai! Restano isole, sempre più distanti fra loro! Restano i geni, gli inventori, i santi…
Un sistema di alternanza scuola-lavoro trasformerebbe la scuola delle competenze in scuola delle competenze acquisite ed efficaci per la domanda di mercato.
E di qui, anche un taglio dell’ultimo anno ai Licei sarebbe assurdo in virtù della spendibilità del suo triennio in un processo d’integrazione dei saperi finalizzato all’alternanza (incluse esperienze di preavviamento alla ricerca universitaria, come noi ci cimentiamo già all’istituto tecnico).
In seguito, l’eliminazione degli Esami di Stato, e il capitale recuperato, comporterebbe un capitale da investire in una strutturazione a sistema dell’alternanza scuola-lavoro e in una valutazione di processo in termini di certificazione di competenze (chi ha quelle minimali accreditate sul “core” passa all’anno successivo). Così lo studente personalizza il suo percorso per poterlo spendere nel mondo del lavoro in modo “differenziato” e finalizzato alla domanda di competenze richieste dal mercato.
Insomma, tutti gli esami e i loro relativi costi potrebbero essere depennati dal nostro sistema sostituendoli con un sistema di valutazione sano e concreto costituito da certificazioni di competenze acquisite lungo il percorso di formazione. Gli attuali scrutini diventerebbero quei momenti nei quali fare un monitoraggio delle competenze acquisite necessarie al passaggio da un anno scolastico all’altro.
Note:
[1] Arturo Marcello Allega, Il modello a shell
[2] Arturo Marcello Allega, Alternanza scuola lavoro: non solo periti!
Per approfondire:
leggi “Chirurgia plastica, a 12 punti“, il testo completo
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Arturo Marcello Allega