Esami di Stato: la necessità di una riflessione “di sistema”
La proposta governativa, poi ritirata, di abolire i commissari esterni dalle commissioni degli Esami di Stato conclusivi del ciclo della scuola secondaria superiore, ha suscitato un vivace dibattito sul ruolo e sul significato degli esami rispetto al processo formativo e al sistema educativo nel suo complesso, in quanto la configurazione della verifica finale influisce sui comportamenti degli attori del processo formativo e dunque sulla stessa qualità del sistema.
L’esame di maturità rappresenta uno snodo strategico del governo del sistema educativo di un Paese, perché disegna il momento in cui si tirano le fila dei risultati di un percorso di 13 anni: modificarne assetto e contenuti significa alterare profondamente gli equilibri in tutto il sistema di valutazione del sistema scolastico.
L’importanza e la necessità di un controllo “di parte terza” sui risultati degli studenti per assicurare il rigore dell’esame è stata ampiamente ribadita e non vogliamo tornarci sopra, se non per ricordare che da molti parti è stato osservato che anche l’attuale sistema di esami presenta molti limiti da questo punto di vista, e che dunque necessita di una sostanziale revisione, per aggiornarlo al contesto attuale del sistema educativo nazionale ed europeo e renderlo più rispondente agli obiettivi di imparzialità ed equità.
Un primo interrogativo di fondo è: ha ancora senso un esame olistico, come è attualmente configurato l’esame di Stato?
Oppure andrebbe costruito un sistema modulare, svincolato dal percorso di studi seguito, volto a verificare, sulla base di syllabus disciplinari, le conoscenze e competenze acquisite?
È stato ripetutamente osservato, in sede nazionale ed europea (pensiamo alle Raccomandazioni sul Quadro europeo delle qualifiche e sul riconoscimento delle competenze comunque acquisite), che le conoscenze e le competenze si possono acquisire attraverso una pluralità di percorsi, formali, non formali e informali, e che quello che conta non è tanto il percorso di studi seguito quanto le conoscenze e le competenze effettivamente acquisite (learning outcomes).
Per accertare il possesso di queste competenze occorre organizzare un sistema di verifica che non sia tutto schiacciato sull’accertamento del percorso di studi seguito, ma ne sia completamente indipendente ed in grado di accertare e riconoscere anche conoscenze e competenze molto settoriali, ma di livello paragonabile a quello previsto oggi dai programmi ministeriali per i diversi percorsi di scuola secondaria. Pensiamo ad esempio al sistema inglese, che è organizzato per singole discipline e permette meglio di valorizzare le specifiche capacità e attitudini degli studenti.
Probabilmente è presto per pensare a una riformulazione in senso modulare del nostro esame di maturità, anche perché le controindicazioni non mancano, ma da subito si potrebbe pensare:
a) rendere più trasparente nella certificazione finale il giudizio sulle performance degli studenti nelle diverse discipline;
b) affiancare all’esame di maturità, così come lo conosciamo, sessioni annuali, organizzate per disciplina, di accertamento delle competenze e conoscenze comunque acquisite di livello paragonabile a quello che l’Unione Europea definisce EQF 4.
Certificazioni più trasparenti delle competenze disciplinari effettivamente possedute potrebbero servire anche da credenziale per l’accesso alle diverse facoltà universitarie, eliminando la necessità di organizzare successivi test di ammissione, con tutti i problemi e le polemiche che questi comportano.
Restando invece all’interno della logica del modello attuale, altri interrogativi sono:
• Quale bilanciamento dell’esame tra prove scritte ed esame orale?
La prova scritta (più largamente usata a livello internazionale) si presta meno ad abusi valutativi, ma l’esame orale permette di scavare meglio nello spessore culturale dello studente.
• Quale bilanciamento del giudizio tra esame conclusivo e carriera scolastica precedente?
La prova d’esame, anche se necessaria, presenta profili di aleatorietà ben conosciuti, per cui occorre mettere in conto nel giudizio finale anche le precedenti prestazioni degli studenti.
• Quale bilanciamento tra autonomia dell’insegnamento e controllo dei risultati?
Un syllabus d’esame molto dettagliato potrebbe rendere troppo stretti i margini di autonomia lasciati ai docenti per il loro insegnamento.
• Come superare la completa discrezionalità del giudizio individuale e la varianza territoriale: si può pensare a introdurre strumenti e metodologie quali le prove standardizzate, la correzione centralizzata delle prove, la definizione di criteri omogenei di correzione?
Quali potrebbero essere limiti, le difficoltà e i vantaggi? E quale potrebbe essere il ruolo delle nuove tecnologie per la somministrazione e la correzione delle prove?
• Come valutare le competenze acquisite, come richiesto anche dai decreti di riforma dei percorsi di scuola secondaria?
Le risposte a questi interrogativi, al di là degli aspetti tecnici legati alla loro fattibilità e percorribilità nel contesto attuale, comportano delle scelte e delle soluzioni la cui introduzione è destinata ad impattare sui comportamenti e sulle prestazioni degli alunni (non va dimenticato anche il valore rituale dell’esame nel percorso formativo degli alunni), dei docenti, nonché sulla qualità complessiva del processo formativo, come documentato anche dalle rilevazioni OCSE-PISA.
È dunque necessario che il dibattito sull’esame di Stato non si isoli sulle singole questioni ma le tenga tutte insieme, in una prospettiva “di sistema”.
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Immagine in testata del Corriere della sera/Scuola.
Giorgio Allulli