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Italiani senza Italia, nell’inerzia più totale

Pubblicato il: 15/12/2014 12:24:26 - e


Una nuova torre di Babele minaccia l’apprendimento di ogni età: il senso di vuoto latente in ogni limite.
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Quest’articolo è il quarto di una piccola tetralogia. Cominciamo con due casi: uno personale e uno nazionale.
La tesi di Crozza: siamo un popolo di bifolchi.
La nostra tesi: tutto nasce nella famiglia. E la scuola? Isolata, vilipesa e abbandonata.

Primo caso. Samantha Cristoforetti nello spazio e le battute su twitter e facebook.
La cecità nei confronti di una donna unica e di una levatura ineguagliabile contro la bassezza e la troglodita violenza verbale della stupidità imperante (“serviva una donna per pulire, lavare e stirare…”). Crozza non si risparmia nel condannare questo popolo di bifolchi e decanta il superbo senso di appartenenza al genere umano che ci offre una donna speciale come Samantha.

Secondo caso. Ero al cinema e avevo davanti a me quattro ragazzine di 12-13 anni. Erano nella sala più costosa, con uno smartphone da 600€ con uno schermo più grande della mano e un secchio di popcorn enorme accompagnato da un esagerato bicchierone di coca cola. Parlavano dell’assurdità di un compito di storia e stavano ininterrottamente appiccicate allo smartphone. Al termine del film hanno lasciato mezzo secchio di popcorn sulle poltrone e la coca nel bicchierone. Spreco, esagerazione, superficialità, all’ordine del giorno.
C’è una relazione tra i due casi? Tra la massa dei bifolchi e i comportamenti delle ragazzine?
Sì. Le istituzioni e la famiglia non fanno nulla per combattere la stupidità (nella definizione di Cipolla – vedi più sotto). Le istituzioni e la famiglia non sono più in grado di svolgere un ruolo “determinante” nell’educazione del cittadino perché sono state private della loro funzione.
La famiglia è travolta dalla crisi: “godiamoci quel che possiamo ora e subito. Di doman non v’è certezza!
Il debito pubblico illimitato e le numerose schizoidi riforme dell’istruzione hanno completamente svuotato il ruolo del servizio pubblico.
Quello che manca a entrambi è la possibilità di progettare, quindi, di vedere il futuro in termini costruttivi. Manca la dinamica della costruzione. Attenzione, non c’è cattiveria o predeterminazione. Semplicemente ci si lascia andare all’inerzia di tutte le cose.

Quando nessuno sa cosa e come fare, allora, lasciamo fare tutto a tutti. Quando non c’è chiarezza, allora, lasciamo parlare i dati, anche quando appaiono privi di senso. La teoria dei punti di forza acceca la democrazia: uno per tutti e tutti per nessuno. Il caos!
C. M. Cipolla ne “Le cinque leggi fondamentali della stupidità umana” dice che lo stupido è colui che non produce vantaggi né agli altri né a se stesso, ma eventualmente solo danni. Cipolla afferma: “Una creatura stupida vi perseguiterà senza ragione, senza un piano preciso, nei tempi e nei luoghi più improbabili e più impensabili (…). Lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dar maggior forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano self-consciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo, lo stupido comparirà a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita ed il lavoro, … e tutto questo senza malizia, senza rimorso e senza ragione. Stupidamente”.
A.M. Allega, in “Analfabetismo: il punto di non ritorno”, dice che l’analfabeta (funzionale e di ritorno) non sa di esserlo. Anche il grande Socrate sosteneva “io so di non sapere”, ma a differenza di tutti gli altri egli sapeva di non sapere, quindi, sapeva che gli altri “non sanno di non sapere”. Scusate il giro di parole, anche se frutto di un oracolo.

Quindi, l’arroganza dei molti stupidi è pericolosa perché è apparentemente innocente.
Detto diversamente, a tutti piacciono i complimenti e il vanitoso coglie ogni occasione per farsene da solo, ma difficilmente si troverà qualcuno che “seriamente” si vanterebbe di sapere di essere stupido, o di essere analfabeta, o di essere più in generale ignorante. In altri termini, non importa conoscere il proprio limite. Ogni campo di significato si sovrappone e i significati si mescolano generando un campo semantico complesso e intricato nel quale non si distingue più nulla.
E allora, che si fa?
Si cura il particolare! E sì, il “particulare”. Si torna a fare dei singoli casi quei punti di forza a fondamento delle proprie azioni. Ahimè! Tutto questo accade perché non si conosce più il senso delle proprie azioni, meno che mai il loro effetto, e si sconfina dai propri limiti per insidiare ignobilmente quelli altrui nella convinzione di “fare bene”.

Il povero grande D’Azeglio ebbe a dire: “fatta l’Italia, facciamo gli italiani” e non si sarebbe mai aspettato che “gli italiani si sarebbero rimangiati tutta l’Italia”. E sì, mangiata tutta, perché il debito pubblico italiano non è più sanabile, il che significa esattamente che l’Italia pubblica non esiste più e pian piano diventerà sempre più privatizzata. Il popolo di bifolchi – fortunatamente non tutti gli italiani – ha svuotato il pubblico dei suoi finanziamenti, ma il fatto più incredibile e paradossale è che pur sapendolo e avendo assistito a mille scandali, gli attuali signori della politica e dei nostri ministeri “continuano a farlo”, a mangiarsi la nostra bella e povera Italia, esattamente come se non sapessero che non c’è quasi più nulla da mangiare. Non sanno! I più onesti, semplicemente, “non sanno” di essere coloro che mangiano.

Occorre tornare a stimare i propri limiti, a indagarli, a conoscerli e, poi, avere il coraggio di scegliere la propria via, nel rispetto dei propri limiti e di quelli altrui; occorre non seguire l’arroganza e la tracotanza delle proprie ambizioni, senza neppure “vedere” la violenza con la quale si abusa dei limiti dell’altro. Per fare tutto ciò, queste persone dovrebbero potersi vedere, potersi conoscere, sapere di essere quel che sono… “conoscere se stessi”.

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Immagine in testata di Wikipedia (licenza free to share)

Arturo Marcello Allega e Anna Maria Colagiovanni

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