La riduzione ragionevole: 12 anni per la formazione obbligatoria. Le “ragioni del sì” per la scuola media

Una riduzione, anche se ragionevole, non è mai indolore: l’obbligo di rivisitare il sistema curriculare per un percorso di formazione senza soluzioni di continuità. È il caso della scuola media.

La scuola media “è diventata” l’anello debole del sistema d’istruzione italiano (si veda il mio contributo su questa rivista: “Le medie, anello debole della scuola italiana?”). È esattamente lo spazio-tempo nel quale le responsabilità di tutti i tempi sono confluite: quelle delle riforme e delle “assenze” istituzionali, quelle delle mancate innovazioni e dei ritardi locali nelle prospettive e quelle dovute rispetto ai cambiamenti di contesto; esattamente come farebbe il peggiore dei buchi neri che tutto fagocita e quasi nulla rimette (quel poco che rimette – nella radiazione di Hawking – è la luce che illumina la sua triste esistenza).
Sì, ci è diventata! Perché la colpa non è tutta sua, ci sono molte ragioni che spiegano il tracollo dei risultati nel percorso che si sviluppa nel segmento istituzionale tra l’età di 11 e quella di 14 anni. Ora ne vedremo alcune ben note, comunque, queste ragioni sono legate alle criticità del sistema d’insegnamento, e soprattutto di apprendimento, finora (non) iniziato alle elementari.

La prima ragione è quella dei risultati.
Il crollo dei livelli di apprendimento porta a un 98% di allievi in terza media sotto la media UE e ciò nonostante si registra un 99% di ammessi all’esame conclusivo del primo ciclo (nella quasi totalità, ovviamente, promossi) [1].
Si apre così la difficile transizione alle superiori.
E non si capisce, ancora, perché si continua a chiamare secondaria di primo grado o inferiore!
Curioso anche il fatto che non si sappia ancora come definire la scuola media (almeno nella comunicazione popolare): se “secondaria inferiore o di primo grado”, pensando al fatto che anticipi e introduca alla secondaria superiore ma, allora, non si capisce perché è collocata nel primo ciclo; oppure, “primaria di secondo grado”, quale segmento terminale del primo ciclo, allora, non si capisce come mai il suo curricolo e il suo consiglio di classe – cioè la sua struttura – siano simili a quella delle superiori con tanto di esame finale.
Insomma, scuola primaria di secondo grado o scuola secondaria di primo grado? Esplicito? Non esplicito? L’ambiguità cela ragioni più profonde.

La seconda ragione è legata ai devastanti problemi in ingresso alla scuola media (secondaria inferiore o di primo grado).
Il “bambino” delle elementari subisce un trauma quando passa alle medie (pur avendo eliminato il vecchio esame). Com’è noto, il “consiglio di classe” passa da tre/quattro docenti a otto docenti (simile a quello delle superiori) e il bambino viene “valutato” sulle discipline, le quali compaiono all’improvviso – con il proprio rigidissimo statuto – nel suo processo di crescita.
Prima erano bambini considerati tanto bravi, con valutazioni eccellenti su quelle che altrove abbiamo chiamato ‘discipline fluide’ – direi molto fluide – poi (alle medie) diventano ragazzi che subiscono un crollo nella valutazione ‘disciplinare’ e di conseguenza si innescano relativi problemi di autostima e “coscienza di sé” molto profondi e durevoli.
E non parliamo dell’incomprensione degli adulti-genitori costretti a riconvertire, di conseguenza, l’immagine frustrata del figlio (abituati a valutazioni soft, a rose e fiori per un quinquennio, e ora costretti alla vergogna di non aver capito nulla di quel che stava accadendo). Di due, l’una: o è la scuola media a sbagliare (ipotesi favorita) o è la famiglia che non ha capito nulla del percorso elementare.

Ecco quindi la terza ragione.
La valutazione in ingresso costringe a un abbassamento dei livelli e degli obiettivi formativi della scuola media, tarandoli sulla condizione in uscita dalle elementari. La scuola elementare è bella e buona, mentre quella media è brutta e cattiva. Ovviamente non è sempre così, ma questi sono i dati della media statistica.

Il perché di tutto questo è legato alle criticità delle elementari che si sviluppano nel corso del primo ciclo, e non solamente, alle difficoltà della scuola media.
La scuola elementare poggia le basi della sua eccellenza sulle sue reali criticità, le stesse che creano – per i ragazzi, ma anche per i docenti – quella barriera complessa e invalicabile con la scuola media. Fra esse ce ne sono due (una complementare all’altra) che devono essere considerate in un quadro di ristrutturazione verticale del curricolo.
Il peso del ruolo pedagogico è tanto più invasivo nel curricolo elementare quanto la comparsa sempre più tarda, limitata e parziale, dell’azione disciplinare.
Il peso dell’azione pedagogica sembra voler a tutti i costi proteggere la crescita tranquilla e serena dell’alunno rispetto all’impegno cognitivo nello sviluppo di competenze e conoscenze disciplinari.
Il fatto stesso di aver eliminato l’esame dalla conclusione del periodo elementare ha generato un rilassamento nel gioco didattico, producendo flessibilità e creatività senza vincoli di spazio e di tempo.
Invece, alle medie, “l’esame terminale” si è immediatamente posto come un macigno. Il violento vincolo dell’esame finale del primo ciclo ha sferrato un attacco alla creatività delle elementari e l’ha ricondotta al “giogo” (e non gioco) della disciplina (intesa non solamente come contenuti di una materia e la conseguente didattica, ma come vera e propria disciplina dei comportamenti) [2]. Il giogo delle discipline ha distrutto il loro valore costruttivo (e sarà difficile recuperarlo alle superiori).
Questo infernale collasso ha viziato un po’ tutto, traducendo la laboratorialità (anni fa introdotta nella Commissione dei Saggi da Tullio De Mauro come “laborialità”) delle elementari in rigidissimo nozionismo cristallizzato e puntellato sui binari dei programmi ministeriali (a prescindere dalle nuove indicazioni nazionali).

Una conseguenza disastrosa si è avuta nel limitare l’elemento pedagogico che pian piano è sparito dal sistema relazionale delle medie, irrigidendo il rapporto didattico e trasfigurandolo in un rapporto di “valutazione del risultato”, quando ancora, e forse ancor più, il bisogno dell’adolescenza a guardarsi intorno e a conoscere il contesto si fa più forte e più esigente. In questo momento della crescita il corpo e il suo linguaggio si fanno più maturi e si esprimono tanto quanto le necessità cognitive.
L’irruenza dell’età adolescente spinge verso bisogni di altro tipo, marcatamente emozionali, e quindi lontani dalla ragionevolezza dell’adulto. Il bisogno di rapporti affettivi come guida e orientamento alla personalizzazione della crescita. Tutto ciò è inavvertitamente e violentemente ‘strozzato’ dal sistema scuola alle medie: da qui sono dovute molte devianze…

Note:
[1] Dati del Rapporto della Fondazione Agnelli in A. M. Allega, “Le medie, anello debole della scuola italiana?
[2] H. Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Mondadori 2012

Per approfondire:
leggi “La riduzione ragionevole, 12 anni per la formazione obbligatoria ”, il testo completo

Articoli correlati:
Riforma dei cicli scolastici: a 18 anni fuori dalla scuola!, Luigi Berlinguer pone alcune riflessioni sulla “riforma dei cicli scolastici (video)
Scuola superiore: quattro anni vi sembrano pochi?, di Fiorella Farinelli
Se 18 vi sembran pochi…, di Franco De Anna (parte prima)
Se 18 vi sembran pochi…, di Franco De Anna (parte seconda)
Uscire dal sistema d’istruzione a 18 anni di età? Sì! Ma.., di Maurizio Tiriticco
Il riordino dei cicli di istruzione, di Maurizio Tiriticco
Si può uscire a 18 anni dalla scuola. Ma… (parte 1), la video intervista a Maurizio Tiriticco a cura di Carlo Nati
Si può uscire a 18 anni dalla scuola. Ma… (parte 2), la video intervista a Maurizio Tiriticco a cura di Carlo Nati
Il maggior investimento in Italia è sull’ignoranza! La verità dei numeri, di Arturo Marcello Allega
Bancarotta. Il mistero buffo e tragico dell’istruzione, di Arturo Marcello Allega
Chirurgia plastica, a 12 punti. Le “ragioni del no” per il taglio ai cicli scolastici, di Arturo Marcello Allega

***
Immagine in testata di Pixabay (licenza free to share)

Arturo Marcello Allega