Accelerare l’uscita dei giovani dalla scuola superiore? Le premesse per un ragionamento
Il vuoto creatosi nella politica scolastica dopo la forte scossa innovativa imposta da Luigi Berlinguer alla fine degli anni ‘90 dovrebbe essere oggi, a quattordici anni di distanza, evidente a tutti.
Stranamente non lo è.
Nella politica scolastica italiana continuano ad alternarsi momenti di “vuoto pneumatico” con ricette improvvisate nell’ultima ora.
Eppure è generale l’ammissione che:
1. la scuola italiana odierna sia un sistema segnato da una profonda crisi d’identità e privo di una prospettiva d’integrazione europea e di un efficace raccordo con il mondo del lavoro;
2. la scuola non riesca a utilizzare il concetto della produttività dei risultati, sia nella previsione istituzionale sia nella realtà quotidiana, dal momento che sempre di più sono presenti – anche se in modo discontinuo e con differenze territoriali – i fenomeni dell’abbandono scolastico, dell’abbassamento di qualità degli studi e della segregazione formativa;
3. la didattica sia in oscillazione tra conservazione e innovazione, soffocata dalla burocratizzazione del sistema, nonostante le buone potenzialità di tante esperienze sul campo;
4. i docenti siano sempre di più demotivati e volti alla ricerca di una diversa identità professionale e di un miglioramento del proprio status.
Se queste premesse sono valide, nessuna riforma efficace del sistema può avvenire senza essere portata avanti in modo organico, senza rendere il curricolo scolastico più moderno e più europeo, senza elevare qualità e serietà degli studi, in coerenza di percorsi già tracciati dall’esperienza della scuola italiana.
La prospettiva deve essere quella di offrire le più ampie opportunità a ciascuno studente, per raggiungere il successo formativo e un inserimento positivo nella società civile e nel mondo del lavoro.
Questo significa ripensare, complessivamente, l’integrazione e la flessibilità curricolare e didattica facendo emergere il senso e il valore formativo della scuola dell’infanzia, della scuola primaria, della scuola media e della scuola superiore che restano ancora, per lo più, segmenti poco comunicanti, disomogenei tra loro, incapaci di contaminarsi reciprocamente e di funzionare organicamente come sistema.
Partendo da questo ragionamento la sperimentazione sulla riduzione di un anno del ciclo secondario superiore, prevista dal DM del novembre 2013 (ripresentata il 12 febbraio u.s. nell’agenda dell’ex governo Letta), non appare – fin dalla premessa – adeguata, perché legata a una visione parcellizzata e non di sistema, perché priva di un protocollo sperimentale che raccordi teoria e significanza statistica, perché istituita in assenza di un quadro di riferimento nazionale e senza il previsto parere obbligatorio del CNPI (Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione), di cui all’art. 11 del DPR 275.
Mancano inoltre gli indispensabili riferimenti al sistema di valutazione e ai protocolli per monitorare e aggiustare il percorso in itinere, attraverso la selezione efficace di ciò che è essenziale in termini di saperi, di competenze e di abilità, stabilendo gerarchie di valori, connessioni e distinzioni, facendo emergere, via via, il senso e il valore ordinativo e formativo delle singole discipline, realizzando il recupero del sapere maturato (i crediti) e recuperando quanto necessario per altre scelte formative.
Semplificare la realtà e tagliare la spesa sembra essere l’assunto principale del decreto che ha istituito il percorso sperimentale abbreviato. Ma, siccome i problemi non sono semplici neppure sul piano dell’applicazione perché non è stata fatta l’analisi logica della programmazione delle risorse professionali, anche quest’assunto è mal posto.
Fin qui il ragionamento, per restare nelle premesse.
Vale la pena, però, di continuare il discorso, riponendo le domande di fondo da ulteriori punti di vista:
– vale la pena di accelerare l’uscita dei giovani di un anno?
– è ragionevole ridurre la formazione di un anno, portando il percorso scolastico complessivo a dodici anni? -è ragionevole sottrarre un anno a un solo segmento scolastico, in particolare l’anno finale della scuola superiore, senza ripensare in modo organico l’intero sistema?
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Daniela Silvestri