L’applicazione della legge 107 ed il rinnovamento della scuola: alcune considerazioni (1 parte)
Inutile negarlo, la legge 107/2015 ha aperto una fase nuova nel mondo della scuola. Nel bene o nel male. Ha toccato nervi scoperti e, pur senza modificare i percorsi di studio, è intervenuta su meccanismi determinanti.
La 107 è ormai una legge dello Stato. Bisognerà ora concentrarsi sulla sua applicazione, cercando le forme più giuste e condivise per favorire il rinnovamento che tutti auspicano e creare il consenso che è mancato durante la sua approvazione. Occorre anche rinnovare il contratto, lo strumento più giusto per risolvere alcune delle questioni ancora aperte. Per fare ciò serve un cambio di passo ed un clima diverso nelle relazioni tra Governo e parti sociali. Bisognerebbe sedersi al tavolo con spirito e idee nuovi, che prevedano tutela dei diritti ed equità, spinta al cambiamento, allentamento dei vincoli burocratici, maggiore autonomia e responsabilità per chi fa le scelte, riconoscimenti significativi a chi dimostra di contribuire al miglioramento della scuola. Per il bene degli studenti e di chi lavora nella scuola. E per il futuro della nostra società.
Provo a svolgere alcune considerazioni sui punti che ritengo più urgenti per cercare di dare un contributo alla discussione in atto.
– A
lunni per classe. È uno dei temi più sentiti nel mondo della scuola perché incide in modo determinante sulla qualità dell’insegnamento e sul benessere di insegnanti e studenti. Penso che si potrebbe arrivare a definire un numero medio di 21-22 alunni per classe e stabilire un numero massimo di 27/28. Con la possibilità di consentire un certo livello di flessibilità a seconda delle zone. Sarebbe importante poi aprire una riflessione sugli studenti disabili. Non dovrebbero essere più di uno per classe e andrebbero riorientati per evitare l’eccessiva concentrazione in alcune scuole che si registra attualmente.
– Stipendi e orario di servizio. Non c’è dubbio che gli stipendi dei docenti italiani siano inadeguati. Si potrebbe percorrere la strada di un aumento delle retribuzioni e, in cambio, “portare in chiaro” e rendere strutturali le ore previste nell’orario funzionale all’insegnamento per progettazione, formazione, attività aggiuntive, sostituzioni docenti assenti. Così gli insegnanti potrebbero avere un orario di 24+4 nell’infanzia, 22+6 nella primaria, 18+6 nella secondaria. La logica dovrebbe essere quella di agire sullo status del docente per elevarne la professionalità e il contratto è senz’altro lo strumento più idoneo per farlo, affiancato magari da un codice etico.
– Formazione. Finalmente la riforma della scuola prevede la formazione obbligatoria per i docenti e destina risorse per questo. È stato deciso di lasciare ai singoli la scelta su come utilizzare quella cifra. È un atto di fiducia nei confronti dei docenti che però rischia di alimentare una spirale individualistica. Credo che il prossimo contratto potrebbe prevedere una somma aggiuntiva per la formazione da decidere invece collegialmente, a livello di scuola. Se si destinassero 200 euro a docente, una scuola con 100 docenti disporrebbe di 20 mila euro. Una cifra importante con la quale si potrebbero migliorare in modo significativo le competenze professionali dei docenti. E si rafforzerebbero l’autonomia scolastica e il senso di appartenenza a una comunità.
– Personale Ata. Si è detto spesso in questi mesi che la riforma ha dimenticato il personale Ata, che è parte fondamentale della scuola perché non ci può essere efficienza se non ci sono segreterie, collaboratori e tecnici adeguatamente preparati e in numero sufficiente. Le novità sulla formazione, sulle retribuzione, sulla valutazione, sull’organico potenziato devono necessariamente estendersi anche al personale Ata. Occorre investire su queste professionalità e riportare all’interno i servizi che in alcune scuole sono stati esternalizzati con risultati generalmente negativi. Occorre avere chiaro che tutto il personale della scuola è coinvolto nel processo educativo ed è per questo che dovrebbe essere statale e soggetto all’obbligo di formazione. Pensiamo ad esempio al ruolo del personale Ata nella gestione delle relazioni con gli studenti.
– Valutazione e valorizzazione del lavoro dei docenti. È un tema complesso e delicato. L’idea di fondo della riforma di coinvolgere tutte le componenti della scuola nella definizione dei criteri e lasciare poi al dirigente scolastico l’assegnazione delle risorse mi sembra legittima. La valutazione dei docenti dovrebbe avere però tre possibili sbocchi: la valorizzazione di quelli ritenuti più bravi, il licenziamento (o il trasferimento ad altro incarico) di quelli inadatti ad insegnare, ma anche il “sostegno” a chi presenta delle carenze (sulla preparazione, sulle relazioni interpersonali, sulla valutazione, ecc.). Su questi ultimi, il DS, al termine di un percorso di valutazione, potrebbe indicare al docente di lavorare su quelle carenze attraverso progetti o percorsi di formazione per poi essere rivalutato. È importante però che il percorso di valutazione si inserisca all’interno di un confronto continuo con i docenti della scuola.
– C
hiamata “diretta” del preside ed albi territoriali. Sulla chiamata diretta del preside ci sono state molte contestazioni. Io la trovo una strada praticabile a due condizioni: che le scelte del preside si basino su criteri condivisi e che poi il preside risponda delle sue scelte e dei risultati della sua scuola. C’è però un punto che merita di essere approfondito. Una delle obiezioni è stata che i presidi delle scuole più prestigiose sceglieranno gli insegnanti migliori e che gli insegnanti meno bravi finiranno nelle scuole di periferia o in comuni disagiati. Il rischio esiste. Occorre evitarlo prevedendo degli incentivi (come si è fatto quando si è riconosciuto un punteggio doppio a chi prestava servizio nelle isole o nei comuni di montagna). Naturalmente non va aperto un mercato dei docenti. Va creato innanzitutto un meccanismo in cui insegnanti e scuole si scelgono sulla base delle competenze e della condivisione di un progetto scuola. Poi, per incentivare la scelta di scuole scomode e “difficili”, si potrebbe prevedere che quelle scuole abbiano maggiori risorse per la valorizzazione del merito o che il bonus per la formazione sia incrementato di una percentuale significativa o, ancora, che alla fine di un periodo (un triennio) i docenti che vi hanno prestato servizio possano avere la precedenza nella mobilità.
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Ludovico Arte