L’arcivernice: Corpo e anima (ventesima puntata)

Un morto ha la bocca piena di terra, e per questo non gli escono le parole. Il silenzio, eterno, terribile. Gli antichi pensavano a una armonia celestiale, nelle sfere concentriche attorno alla Terra, dove l’armonia era perfetta. Viceversa il vuoto. Qui non si propagano onde sonore, è l’“infinito silenzio”. Cosa ci sarebbe di peggio che dovere ascoltare per sempre l’eterno silenzio? Quale punizione più tremenda, quale inferno peggiore, nelle miriadi dei millenni in cui tutto rimane uguale?

Questo pensiero turbò molto Ramon; ed egli si rese conto che la vera paura, la paura primordiale e inconfessata di ogni essere umano, non era tanto la morte in sé, ma il prosieguo della morte per sempre, la fissità dell’essere come semplice spettatore.

Epicuro in fondo aveva ragione: perché temere la morte, l’unica cosa che non incontrerai mai? Perché finché ci sarai tu non ci sarà la morte, e quando ci sarà la morte non ci sarai più tu.

Oppure no. Oppure, oppure… noi abbiamo un’anima immortale, che travalica l’infinito silenzio e l’infinito nulla.

Questo in fondo è il punto, è la domanda delle domande. La musica di Mozart può essere una combinazione casuale di chimica organica? Non è come pensare che una scimmia e una tavolozza possano “per caso” creare il Cenacolo? E, d’altra parte, perché avremo la bocca piena di terra?

Così pensava Ramon, ed era triste. L’arcivernice sembrava insufficiente. Cosa, e a chi chiedere? Tutta la scienza umana si mostrava allora nella sua pochezza.

E tuttavia, e tuttavia… Qualcosa si poteva pur fare. Siamo fatti di anima e corpo? Qui si proponevano tanti, tantissimi autori. Siamo, noi uomini, un tubo digerente, come dice Feuerbach, o siamo dotati di “intelletto attivo”, come dice Aristotele? E l’intelletto attivo, ammesso che esista, è in effetti eterno? Ed è personale, o è pura funzione averroistica destinata a far cessare il nostro “io”? Ma se è così, come si saldano il “volere”, cui pure il mio corpo obbedisce, e i fasci di nervi e di tendini, o, se si vuole, le cellule del mondo fisico?

Come fare a uscire da questa impostazione tragica? Spinto, e angosciato, da queste ragioni, Ramon fissava l’immagine di Bertrand Russell, la sua distaccata sicurezza, la sua espressione pacata e arguta, sazia d’intelligenza e di sapere. Si poteva provare…

Sir Bertrand Russell, impeccabile come sempre ma mai affettato, lo guardò bonario:

“Tu credi che anima e corpo siano sostanze disgiunte, differenti, irriconducibili l’una all’altra?”

“Be’, sì, Maestro, non è esperienza comune che noi possiamo ascoltare una fuga di Bach, e intanto avere fame?”

“Il punto è, vedi, mio caro, che tu sei vittima del pregiudizio del dualismo, di un dualismo che ti è stato inculcato nelle viscere del cervello”.

“Cosa intendi, Maestro?”

“Che Dio fece l’uomo di creta, e poi gli spirò dentro il soffio vitale. E così Adamo non ebbe più la bocca piena di terra. Così ti hanno insegnato, no? Tutta la tradizione giudaico-cristiana è dualista: ci sono due sostanze, lo spirito e la materia. La sintesi teologica tomista riprende il concetto di ‘sinolo’ aristotelico: la completezza dell’uomo è data dal corpo e dall’anima. Tanto che nella stessa escatologia che ne deriva solo con la resurrezione della carne l’uomo si ricomporrà definitivamente. Uomo che è immagine di Dio, e in questo senso è più di un angelo, che è puro spirito. La teoria è fortemente rafforzata da Cartesio: ‘res cogitans’, con le sue leggi, con il suo ampio grado di libertà, e ‘res extensa’, puramente meccanica come un orologio, deterministica, amorfa. Ma la materia è veramente solo ‘antitipia iletica’, pura passività, resistenza nell’occupare una porzione di spazio? Guarda bene dentro alla materia, e non troverai fissità meccanica, ma molecole in continuo movimento; e guarda dentro alle molecole, e troverai atomi, particelle mobili e veloci, cariche elettriche… Così la separazione tra materia ed energia diventa sempre meno sostenibile: come ci ha insegnato Einstein, di fatto noi non abbiamo di fronte la pura fissa ileticità di un monolite, ma il tensore materia/energia”.

“Ma allora tu non credi nell’anima, Maestro?”

“Non è questo il punto, Ramon. C’è un altro modo di vedere le cose. Mettiamola così, l’uomo è su una scala, all’incirca alla metà. Sotto di sé ha cose con organizzazione povera, sopra di sé con organizzazione ricca e complessa. E allora l’uomo chiama ‘materia’ tutto ciò che sta sotto, e chiama ‘spirito’ tutto ciò che sta sopra di uno stesso continuum: l’armonia della Nona di Beethoven sta sopra, le onde acustiche che la propagano stanno sotto: l’armonia è spirito, l’onda sonora materia. Non ci sono due sostanze, Ramon: questo è il modo antropomorfico in cui abbiamo organizzato la nostra visione del mondo perché si accordasse con la nostra percezione. C’è invece un continuum, secondo la teoria unificante che ha realizzato un secolo fa l’unificazione di materia ed energia, un passaggio analogo a quel che ora si sta tentando di fare fra microcosmo e macrocosmo con la teoria delle stringhe, mettendo assieme le leggi della meccanica quantistica con la relatività generale”.

Ramon non sapeva cosa fosse il tensore materia/energia, né aveva mai sentito nominare la teoria delle stringhe; si rese conto che aveva molto da cercare con Google, almeno per capire di cosa si stesse parlando…

“Maestro, tu credi dunque in un’unica sostanza?”

“Questa a cui ti ho accennato, Ramon, è la mia teoria del ‘monismo neutro’. Vedi, il dualismo è un’ipotesi, non una necessità logica. Prendendo per impredicato, in via provvisoria, il concetto di ‘sostanza’, su cui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, che ci siano esattamente due sostanze è una teoria che ha dilagato nel pensiero occidentale, e per molti versi anche in quello orientale. Ma essa può essere negata, e in due modi: o asserendo che la sostanza è una sola, e allora avremo il monismo, o che ve ne sono più di due, tante, magari infinite, e questo è il pluralismo. Se poi scegliamo la prima via, potremo supporre che l’unica sostanza sia spirito, e allora avremo lo spiritualismo, o che è materia, e allora avremo il materialismo. Come al solito, le cose non sono così semplici”.

“Maestro, mi puoi fare qualche esempio?”

“Ma certo: pensa a Berkeley, per un monismo spiritualista, o ai grandi pensatori dell’idealismo romantico tedesco; pensa a Marx per il materialismo. Sostenere poi che questa unica sostanza coincida con il mondo, e con Dio, si chiama immanentismo, pensa a Spinoza, anche se il discorso qui sarebbe ben più complicato. Se poi vuoi un esempio di pluralismo, al di là dei così detti pluralisti presocratici, pensa a Leibniz e alla teoria delle monadi”.
.
Ramon capì che c’era molto da studiare; e molto, molto da riflettere. Il volto di Russell cominciò a scomparire; ma il suo bonario sorriso sembrò godere di una permanenza maggiore, se ne andò per ultimo. Come per il gatto di Alice, in questo modo, per un attimo si poteva vedere un sorriso senza nulla attorno; almeno, così parve a Ramon.

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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi