Apprendimento non formale (parte terza)
Criticità, fattibilità e, soprattutto, valutazione.
Istituzionalizzare l’apprendimento non formale è sicuramente complesso. Significa, in qualche modo, trasformare il “non formale” in “formale”. L’aspetto più complicato è introdurre la formazione di una ‘competenza specifica’ in un contesto qualitativamente diverso (in evoluzione e di processo) come quello destinato alla ‘costruzione di conoscenza’. Tempi e spazi completamente diversi: insegnare l’uso del PC o di un foglio di calcolo è cosa molto diversa dall’insegnare la geometria, l’algebra o l’eccellenza del nostro Dante. Fondere questi due processi è un’operazione concettuale, non solo organizzativa. Insegnare una lingua nella sua complessità culturale è cosa ben diversa dall’insegnare i requisiti del linguaggio parlato. I docenti non sono preparati a questa trasformazione, i ragazzi non sono predisposti a questi intrecci e le famiglie non sono pronte a capirne la necessità. E non si tratta di insegnanti giovani o insegnanti vecchi, come spesso si sostiene, perché un docente anziano, da sempre innovativo, fa la differenza rispetto a tanti giovani coraggiosi ma sprovveduti.
Il problema è sostanziale.
Finché sono apprendimenti diversi (quelli connessi alle competenze e, rispettivamente, alle conoscenze), e tenuti ben separati, essi non generano confusione mentale. Quando si cerca la loro fusione, ad ogni costo, non si capisce più qual è l’oggetto dell’insegnamento e, altrettanto, dell’apprendimento. Quindi, per evitare confusione, occorre tenere separate le competenze dalle conoscenze, proprio perché il luogo in cui questa operazione avviene è quello di una scuola destinata, sempre e comunque, all’apprendimento “formale”. Occorre, quindi, non istituzionalizzare le competenze, ma semplicemente introdurle nel contesto scolastico senza metterle in conflitto con ciò che non sono e non saranno mai, e cioè, con le conoscenze. Sarebbe una lotta impari, quella tra conoscenze e competenze, che finirebbe per dare una maggior spinta alla forbice tra cultura classica e tecnica, affossando la prima e impoverendo la seconda.
Introdurre l’acquisizione di competenze nel mondo della conoscenza ‘formale’, senza conflitto, è possibile. Per questo occorre, però, un modello e, a suo tempo, ho introdotto il “modello a shell”. E’ fondamentale introdurre ‘pesi e misure’ per ‘distinguere e valutare’: in sostanza, introdurre un ordine nella progettazione delle attività che consenta una valutazione tanto rigorosa quanto separata. Resterà, poi, sempre un elemento, molto importante, di valutazione discrezionale, quello dovuto all’integrazione degli apprendimenti (fatta in modo congiunto e collegiale), ma dovrà comunque essere residuale, anche se pure sostanziale. Il “core” del modello è determinato da tutto ciò che è apprendimento formale, è costruito dalle trame e dalle tracce necessarie e sufficienti (anche in versione ebook) alla costruzione di quel sapere di base senza il quale non è possibile alcun progresso nella conoscenza degli anni successivi. Il suo peso nella costruzione del curricolo è dominante e la sua misura nella valutazione è determinante. La ‘shell interna’ può essere dedicata a valorizzare l’indole dello studente in modo che se, ad esempio, questi è portato per la manualità o per le lingue, gli fornisca la possibilità di mediare il suo bisogno (di integrazione tecnica, nel primo caso, e culturale nel secondo) con la fatica dell’apprendimento formale, spingendolo però a strutturare il suo ‘interesse’ in una competenza. Questo lavoro deve essere concepito all’interno dello stesso quadro educativo, ma tenuto sempre separato dal “core”, quindi la valutazione della shell deve essere capace di stimolare e sostenere le attività fondanti del core, e non invece, limitarle e irrigidirle. La ‘shell esterna’, poi, è l’area della creatività dove, a prescindere dalle diverse forme di apprendimento (formale, non formale o informale), si lascia esprimere liberamente lo studente (e, ovviamente, vale ancor più per il docente) in attività di ricerca individuale alla scoperta dei suoi ‘interessi’ e delle sue eventuali ‘passioni’. Ma è anche l’area del sostegno trasversale alle insicurezze, alle fragilità, ai recuperi, alle integrazioni, alle aperture, ai possibili rinforzi, alla scoperta di se stessi con l’aiuto vigile e sano del ‘tutor’.
Tutto questo, adesso, può essere avvalorato e semplificato dalla compilazione di griglie, rubriche, format e ogni possibile strumento di raccordo per una valutazione completa, integrata, ma anche altamente professionale.
Per concludere, tutto ciò non rappresenta una novità nella vita delle scuole. Si fa da sempre, in un modo o nell’altro e con contenuti di volta in volta sempre più diversi. Non è mai stato, tutto questo, strutturato e, soprattutto, non ha mai fatto parte di un processo definito di valutazione. Questo articolo va proprio in questa direzione. Ma è pur vero che i consigli di classe sono sempre assenti e si limitano ad accettare il lavoro dei colleghi volenterosi, assumendo, comunque, senza conflitto, un basilare principio di non interferenza con le scelte del collega. Condizione essenziale per ogni docente (nel quale si frammenta la collegialità del consiglio di classe) è che nessuno “tocchi” le “sue” ore, i contenuti, la valutazione del proprio curricolo, della propria programmazione (che collassa sempre nel suo programma). Autoreferenziali? Si, fino a che non si prospetti una proposta di lavoro strutturata che consenta tutti di procedere in modo lineare e trasparente nelle collaborazioni interne ed esterne. Oggi, l’istruzione è strutturata per compartimenti stagni e si lascia all’autonomia la soluzione di ogni alternativa. Occorre capire quali debbano essere i compiti della legislazione esclusiva e concorrente del Titolo V solo dopo aver capito quale modello culturale di istruzione si vuole adottare. Oggi questo modello non c’è e non è implicito in nessun principio di autonomia solo enunciato e non strutturato. Un caso esemplificativo lo vedremo con l’alternanza scuola lavoro in “Apprendimento non formale (parte quarta, ed ultima)”.
Approfondimenti:
– A.M. Allega, Apprendimento non formale. Non tutto quello che non è ‘formale’ è necessariamente ‘non formale’, in Education 2.0
– A.M. Allega, Apprendimento non formale (parte seconda), in Education 2.0
– Il sito di Experimenta
– A.M. Allega, Il Modello a Shell e la transizione dal vecchio al nuovo, in Education 2.0
– A.M. Allega, Interdisciplinarietà nel Modello a Shell , in Education 2.0
– A.M. Allega, Integrazione dei saperi nel Modello a Shell, per la cultura della scelta ragionata, in Education 2.0
– Experimenta, Percorsi Didattici Esemplari
– Il Giovanni XXIII protagonista di Experimenta 3,
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Immagine in testata di Apprendimento Cooperativo Abilidanti blogs
Arturo Marcello Allega