Interdisciplinarietà nel Modello a Shell
A scuola di “comunità degli apprendimenti”: come la natura interna del Modello apre la relazione tra le discipline alla nuova dimensione dell’apprendimento condiviso.
In un contributo a questa rivista (“Il Modello a Shell e la transizione dal vecchio al nuovo”), io e i miei collaboratori abbiamo mostrato che la “struttura a strati” di un modello atomico rappresenta piuttosto bene la transizione dai vecchi programmi alla nuova programmazione didattica, includendo gli assi culturali e le indicazioni nazionali nello stesso quadro concettuale.
In questa riflessione ci proponiamo di mostrare la natura dell’interdisciplinarietà nel modello a shell.
Intanto, è necessario rammentare che l’interdisciplinarietà ha una sua lunga storia.
Il senso ancestrale di questo approccio alla didattica è sempre stato visto nella possibilità che esso avrebbe avuto nel rompere quei meccanismi di autoreferenzialità onnipresenti nelle attività della scuola. Soprattutto, non si può pensare di ridurre l’autoreferenzialità confidando nel buon docente (e ce ne sono tantissimi) disposto alla co-progettazione. Tanto è vero che l’interdisciplinarietà non è mai diventata una caratteristica di sistema, è sempre stata semplicemente casuale.
L’interdisciplinarietà non ha come scopo quello di mortificare l’identità culturale di una disciplina rispetto a un’altra.
L’interdisciplinarietà consiste nello stabilire relazioni interattive tra più discipline (multidisciplinarietà).
Le identità delle discipline coinvolte (e del loro statuto disciplinare, così come acquisito dalla formazione universitaria, all’origine della cosiddetta “forma mentis” del docente) restano, naturalmente, integre, autonome e pure indipendenti.
L’identità disciplinare in un contesto multidisciplinare, comunque, si rafforza e si arricchisce nel condividere le molte sinergie tipiche di ogni singola disciplina.
Queste sinergie esistono in natura e derivano dal fatto che le discipline sono tali perché l’uomo, per le sue esigenze razionali, le ha rese tali, ma invece nascono da una realtà complessa nella quale non sono sole e separate da quelle di un’altra disciplina, non lo sono mai e non lo sono mai state.
Affinché si possa capire questa innata natura complessa del rapporto disciplina-realtà, occorre introdurre gli organizzatori concettuali.
Prima ancora di introdurre, però, almeno un organizzatore concettuale, vorremmo mostrare un altro effetto della interdisciplinarietà: la chiave di rottura dei sentimenti individualistici dell’apprendimento e la nascita della comunità degli apprendimenti. Un mondo di sensazioni e di sentimenti nasce dall’interdisciplinarietà, che aprendosi alla condivisione di nozioni e concetti, pratiche e apprendimenti si apre alla nascita di nuovi legami, di nuovi rapporti, di nuove esigenze, di nuovi bisogni didattici e di nuovi bisogni di scambio.
Si assiste alla nascita di piccole comunità interdisciplinari il cui scopo è quello di aprire la relazione tra le discipline alla nuova dimensione dell’apprendimento condiviso.
Tutto questo si può realizzare se, e solamente se, la struttura della nostra programmazione e il planning della nostra attività lo permettono e, soprattutto, lo “inducono”.
Il modello a shell consente questo “effetto induzione”.
Infatti la struttura a strati del modello individua per ogni disciplina un “core” rispetto al quale si può elaborare un percorso interdisciplinare come mostrato in Figura 1.
Figura 1
Ma cosa andiamo a mettere nel “core” delle diverse discipline?
Ovviamente, potremmo mettere nel “core” delle singole discipline elementi “essenziali” dotati della caratteristica di non comunicare facilmente fra loro.
Oppure, potremmo individuare “stones” che si parlino fra loro in un’architettura di linguaggi altamente comunicativi.
Scopriremo, allora, una delle ragioni per le quali le “nozioni”, che per definizione non si parlano tra loro, sono state, e sono, il fondamento della “vecchia – e attuale – didattica” e che per essa hanno rappresentato un solido fondamento mai scalfito, alla radice del fallimento della scuola in genere (nazionale e internazionale).
La misura degli apprendimenti Ocse-Pisa è una misura nozionistica e tale resta il “senso comune” del ruolo che si pensa abbia la scuola.
Quindi, prima conclusione: gli “stones” del percorso progettato si devono parlare.
In questo modo introduciamo una sorta di interdisciplinarietà orizzontale.
Per essa si possono definire “obiettivi competenza”, “obiettivi conoscenza mirata”, “obiettivi conoscenza di base minimi”.
Questo tipo di interdisciplinarietà si può avere solamente con l’avvento di organizzatori concettuali in grado di far comunicare le discipline e che “obblighino” a lasciare la propria identità quel tanto che basta per sviluppare un livello superiore di linguaggio con princìpi regolatori e prospettive che traghettino una identità nell’altra.
Una cultura “sintetica” e non una cultura a compartimenti stagni (vedi il bel libro di Gardner su “Le cinque chiavi per il futuro”).
La nuova identità multidisciplinare – dove ogni identità conserva il suo statuto disciplinare – si arricchisce sviluppando “curvature”, emozioni di scoperta e quindi una possibile “scelta motivata”.
Ora, introduciamo una forma d’interdisciplinarietà verticale: una sua rappresentazione è data in Figura 2. Si tratta di un modello di crescita dove alla “interdisciplinarietà fluida” crescente si associa uno sviluppo della parte emozionale di una esperienza interdisciplinare fluida.
Figura 2
È un modello di crescita. In esso si scopre che a ogni livello del modello corrisponde una crescita delle emozioni nel percorso di apprendimento.
Due elementi caratterizzano questo modello verticale: la scoperta dell’irriducibilità e il bisogno dell’integrazione (dove si perdono le vecchie identità disciplinari per costituirne delle nuove).
Si avvia un processo irreversibile perché un processo di crescita, uno sviluppo verso la maturità dell’apprendimento (per approfondimenti si veda “Modelli e architettura dei percorsi esemplari” e le “Linee guida” allegate).
Ogni percorso costruito in questo modello nasce dal “core” (conoscenze e competenze di base) e si sviluppa lungo coordinate che alimentano il piacere dell’indagine fino a far scoprire quelle passioni più recondite.
Il fulcro di questo modello di interdisciplinarietà è costituito dalla categoria logica “superiore” degli organizzatori concettuali.
Un possibile organizzatore concettuale che ben rappresenta, secondo l’autore, la categoria è il concetto di “linearità”. Sarebbe bene non confondere, com’è purtroppo prassi comune, l’organizzatore concettuale con il “concetto organizzatore”.
Un organizzatore (sostantivo) è anch’esso un concetto, ma un concetto di livello superiore.
Possiamo definire tre livelli di astrazione di un concetto: il più basso, quello di nozione, poi, più in alto, quello di concetto organizzatore, ed infine quello più astratto di tutti, l’organizzatore concettuale. Quest’ultimo, pur essendo il più astratto, è certamente quello più utile alla corretta impostazione del nostro modello di apprendimento.
La nozione la conosciamo troppo bene. Essa è la definizione di un concetto (energia, massa,… sostantivo, predicato,…) che nasce dall’idea riduzionista che tutte le conoscenze si costruiscono da e con piccoli mattoncini elementari e che per conoscere si ha bisogno sempre e comunque dei “mattoni elementari’”.
La didattica formulata in questo modo si è frammentata nella miriade di nozioni che tali sono rimaste, asettiche, sole, ignorate dalla sempre più debole capacità di memorizzazione. Non meraviglia il rapido ritorno all’analfabetismo.
Il concetto organizzatore è quel concetto ritenuto “concetto-nozione guida”: quest’ultimo consente di organizzare i contenuti didattici in modo tale da poterne dare una struttura.
Ad esempio, si è pensato in più contesti scientifici di scegliere il concetto di energia e con esso organizzare i contenuti di più discipline. Eppure, chiunque abbia familiarità con il mondo delle scienze sa bene quanto sia complesso il concetto di energia passando da un ambito scientifico all’altro.
La frammentazione negli apprendimenti prodotta dalla “nozione”, estremamente diversa da un ambito all’altro, per l’appunto, resta inalterata con il “concetto organizzatore”. Il “concetto organizzatore” introduce semplicemente una nozione astratta per denominare allo stesso modo concetti molto diversi e quindi difficili all’apprendimento, se non altro per il disordine generato legittimamente dalla loro diversità.
L’organizzatore concettuale è invece quel concetto di ordine superiore trasversale a ogni disciplina che si può facilmente riconoscere “uguale a se stesso” ovunque lo si trasli.
Un esempio molto lungimirante è, quindi, il concetto di linearità. Questo concetto manifesta una struttura logica che spesso (per non dire quasi sempre ed in modo spontaneo) ci orienta nell’analisi di qualsiasi fenomeno. Esso sarà oggetto di un più attento approfondimento.
Si pensi, comunque, solamente al fatto che il concetto di linearità insorge ovunque dal bisogno analitico di un’aggressiva semplificazione verso l’“essenziale” per poi ricomporsi, a piccoli passi, in una realistica e complicata sintesi della complessità.
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Immagine in testata di play4smee / Flickr (licenza free to share)
Arturo Marcello Allega