Le criticità della curva di apprendimento e il caso italiano (seconda parte)
Quali indicatori per una scuola che funziona? Nel nostro paese all'origine del fallimento "accertato" si pone la questione morale: l’istruzione deve riaffermarsi come base per una società civile, per la democrazia, per l’equità.
Nel precedente articolo “La curva di apprendimento e la questione morale” (per la Learning Curve, si veda la definizione della voce su Wikipedia) abbiamo mostrato i dati dello studio della EIU (Economist Intelligence Unit) pubblicato dalla Pearson.
Uno dei risultati più impressionanti dello studio è che per molti paesi considerati (45 paesi esclusi la Finlandia, il Sud Corea, la Cina, il Giappone e Singapore) il sistema dell’istruzione è una scatola nera rispetto al quale tutti gli indicatori considerati sono fra loro del tutto privi di correlazione.
Il che è stupefacente.
Ad esempio, non c’è correlazione alcuna tra il rapporto dello stipendio massimo percepito dagli insegnanti rispetto al loro salario medio lordo nelle scuole secondarie di secondo grado e il tasso relativo di crescita dell’istruzione presso lo stesso ordine di scuole.
Incredibile sì, ma purtroppo non poi più di tanto, per noi che viviamo nella scuola (vedi dell’autore “La scuola Gentile e la scuola di massa nei dati OCSE” , “Chi ha il pane non ha i denti”).
Fra gli indicatori considerati e le correlazioni calcolate, ad esempio, vi sono i seguenti risultati: nella tabella mostriamo alcune “forti correlazioni” riscontrate in coppie di variabili, nei cinque paesi “eccellenti” appena ricordati.
Tra gli altri indicatori ci sono i seguenti:
1. dati di ingresso (input) dell’istruzione – la spesa per l’istruzione, l’età in ingresso a scuola, il rapporto studenti/insegnati, il tempo di vita medio nella scuola, lo stipendio dell’insegnate, (…);
2. risultati (outcomes/output) dell’istruzione – le competenze cognitive misurate da test internazionali come PISA – TIMSS – PIRLS, la crescita dell’alfabetizzazione, i livelli di istruzione, il tasso di crescita dei titoli di studio, i disoccupati in rapporto al titolo di studio, la produttività del mercato del lavoro, (…);
3. indicatori socio-economici di contesto – la disuguaglianza sociale, la statistica dei reati, il PIL pro-capite, il tasso di crescita della disoccupazione, (…).
Un esempio, invece, di correlazione “negativa” si ha confrontando i livelli PISA dei paesi considerati con il loro PIL, nella seguente tabella.
Uno sguardo al Regno Unito e alla Polonia la dice molto lunga sulla assenza “totale” di correlazioni.
L’Italia si trova al limite della soglia di una “performance nulla”.
Tutti questi indicatori sono fra essi privi di correlazione e, pertanto, “non fanno sistema” per il buon funzionamento della scuola e la qualità del suo successo formativo.
All’origine del fallimento “accertato” c’è la questione morale.
In Italia la scuola non è sentita né considerata essenziale, necessaria alla crescita, fondamentale alla società civile, alla democrazia, all’equità: si pensi alla superficialità con la quale si trattano, politicamente, scuola, università e ricerca; al cieco tagliare sull’istruzione per ragioni di cassa a fronte di una Finlandia che offre una scuola “gratuita e per tutti” (dichiarazione del ministro finlandese dell’educazione e la cultura J. Gustafsson a “il Fatto Quotidiano” del 11/02/2013); a una politica scellerata che fa innovazione sulle spalle e le finanze delle famiglie (dai tablet all’iscrizione online passando attraverso gli e-book ).
Per inciso, si noti che all’estero sembra scontato un ministero dell’educazione e della cultura unificato, quando in Italia ci si batte per avere un ministero per la Cultura “diverso” dal MIUR. Oserei dire, tipicamente italiano…un altro ministero!
Certamente non discutiamo sulla rilevanza del patrimonio culturale italiano (art.9 della Costituzione) ma non crediamo che questa sia un problema diverso da quello dell’educazione.
Gli autori della ricerca sono molto prudenti e autocritici sui criteri scelti nella classificazione degli indicatori, nel modello scelto per il calcolo delle correlazioni, nella comparazione dei diversi paesi.
In particolare, ad esempio, rilevano che sulla qualità della docenza (anche semplicemente per quel che si intende “docente competente”) non è stato possibile trovare una definizione che potesse soddisfare le fattispecie di ogni paese.
Allo stesso modo vorrei ricordare altre importanti criticità del sistema di calcolo e di raccolta dati della Learning Curve:
1. in assenza di dati si è interpolato o estrapolato e proceduto al riempimento, quindi molti dati sono stati raccolti e altri “calcolati”;
2. i tempi di produzione dei dati per molti paesi non sono stati sincroni, la presenza di correlazioni tra coorti su dati disponibili è molto debole mentre quella di correlazioni forti in alcuni casi è parziale perché su piccoli cluster di dati;
3. l’Indice Globale è stato calcolato introducendo dei pesi nello studio delle correlazioni. I punteggi per ogni gruppo di indicatori sono stati calcolati con medie pesate come ad esempio per la coppia seguente: 2/3 per le competenze cognitive e 1/3 per i livelli di istruzione;
4. per la categoria delle sole competenze cognitive, l’ottavo grado del livello PISA pesa il 60% rispetto al quarto livello PISA, che invece pesa solo il 40% e, per tutti loro, la lettura, la matematica e le scienze pesano allo stesso modo;
5. per la categoria dei risultati dell’apprendimento l’alfabetizzazione è pesata in egual misura con la crescita dei titoli di studio;
6. la EIU sottolinea che una forte correlazione non implica una relazione causale tra le due variabili, a causa del modello lineare assunto per il calcolo. Insomma, è evidente la “personalizzazione” della strategia scelta dalla EIU (una fra tutte, quella del punto 3 per l’Indice Globale).
Siccome la “scelta” degli indici di categoria aggrega dati diversi, il calcolo della Learning Curve è soggetto a una serie di “decisioni soggettive”.
Il gruppo di lavoro raccomanda la partecipazione di tutti anche nel suggerire e proporre aggiustamenti e miglioramenti del modello e del sistema complessivo di calcolo.
I risultati dell’indagine devono essere considerati come “buone indicazioni” per uno studio più evoluto.
Concludo la presente riflessione sottolineando un’altra intrigante conseguenza per il caso italiano. Nei lavori dell’autore sui dati OCSE si è mostrata l’opportunità dello studio dei dati con un tipico modello gaussiano (“Chi ha il pane non ha i denti” e “Come leggerebbero i dati OCSE sull’istruzione Bohr, Boltzmann e Einstein?” ).
Nella rappresentazione ideale del modello si è potuto verificare quali fossero le aspettative di un modello nel caso di una crescita positiva dell’istruzione di una società civile nel suo complesso.
Si è anche verificato che introducendo un parametro frenante, come quello della dealfabetizzazione – che palesemente ostacola la crescita reale dell’istruzione di un paese – si avrebbe una sorta si “saturazione dell’istruzione” collassando il modello di Gauss in un modello di Pareto (“Darwin, Pareto e l’istruzione”).
Sarebbe decisamente interessante, per il potere euristico che ne deriverebbe, valutare se anche per la Learning Curve sia utile, o per lo meno significativo, un simile risultato; ad esempio, quali indici considerare per avere un comportamento dei dati di tipo gaussiano.
Si potrebbero così studiare le divergenze di alcuni paesi da altri, relative cause e aspettative, in funzione del loro “scostamento” dal comportamento ideale.
In tal senso ci sono lavori in progress del nostro gruppo di ricerca.
Arturo Marcello Allega