Videogame e alunni con BES: un connubio possibile?

È evidente che al giorno d’oggi sono in calo le attività ludiche basate sull’impegno di gruppo e di squadra: la maggior parte dei bambini tra i 6 e i 12 anni dedica molto più tempo ad attività strettamente individuali, come guardare la TV o operare con i videogiochi.
Il boom dell’elettronica ha condotto alla commercializzazione di numerosissimi strumenti, nei confronti dei quali molti psicologi si sono interrogati. In particolare, nei confronti dei videogiochi, è riemersa la diatriba tra “apocalittici” e “integrati” che ha accompagnato la storia dei media.
Dal punto di vista pedagogico oramai si accetta che alcune tipologie di simulazioni presenti nei videogame possano essere utili – ed utilizzate intenzionalmente – per migliorare l’apprendimento, ma rimane ancora molto alto lo scetticismo sull’utilità didattica indiretta che potrebbe provenire anche dai videogame sviluppati senza intenzionalità formativa.

Una larga parte di docenti, pedagogisti e psicologi, come minimo sospende il giudizio su questi temi, altre volte si esprimono senza remore in modo esplicitamente negativo. Secondo alcuni pareri, l’esperienza del videogioco, oltre ad essere didatticamente inutile, potrebbe anche indurre, soprattutto nei più giovani, problemi di attenzione, difficoltà nella socializzazione e nel comportamento.
Le maggiori perplessità sono rivolte ai giochi di azione, nell’esecuzione dei quali apparentemente solo i riflessi e l’attenzione spasmodica sembrano essere sollecitati.

Gli “apocalittici” condannano dunque i videogame attribuendo loro effetti negativi a livello psicofisico, conseguenti all’esposizione a contenuti discutibili e al tipo di performance richieste (movimenti ripetitivi, posture e accomodamento visivo innaturali). In effetti, l’uso smodato di videogiochi, documentato da fatti estremi portati all’attenzione della cronaca, può condurre a catatonia, attacchi epilettici e a conseguenze anche più gravi.

D’altra parte, gli “integrati” evidenziano come siano sempre di più i giochi virtuali utilizzati per scopi formativi o come supporto ai processi di apprendimento. I videogame possono avere effetti positivi sui fruitori essendo l’attività ludica caratterizzata da interazione, caratteristica che favorisce lo sviluppo di metacompetenze e creatività. Per questa ragione possono rappresentare preziosi strumenti d’intervento proprio per potenziare l’apprendimento di alunni con difficoltà e disturbi dell’ apprendimento, carenze motivazionali, problemi di attenzione e di concentrazione, ovvero di quegli alunni che definiamo, con un acronimo omnicomprensivo, BES.

I videogame attivano la sfera percettiva del soggetto (vista, udito, tatto) generando una stimolazione multisensoriale. L’attenzione è parimenti sollecitata, sotto molteplici aspetti:
• Stato di vigilanza (prontezza nel riconoscere una modifica improvvisa nel flusso delle stimolazioni, come quando in un simulatore di guida all’improvviso compare un ostacolo lungo la pista).
• Attenzione selettiva (capacità di distinguere obiettivi rilevanti fra un gruppo di stimolazioni distraenti presentate contemporaneamente). • Attenzione divisa (capacità di elaborare contestualmente numerosi stimoli).

Inoltre i videogame contribuiscono a incrementare l’abilità motoria fine e i riflessi oculo-manuali: i giocatori abituali muovono con estrema velocità e sicurezza le mani su tastiere e joypad.
Tali competenze sono utili non solo nel mondo virtuale, ma anche nella vita di tutti i giorni perché migliorano la capacità di trasformare il pensiero in azione.
Un’ulteriore funzione cognitiva attivata dai videogame è il problem solving: le situazioni presentate richiedono l’elaborazione interna di una difficoltà da superare, l’ipotesi di una strategia di soluzione, la verifica del suo effetto.
Alcuni videogiochi di avventura richiedono una ristrutturazione cognitiva e sollecitano l’insight, ovvero attivano una “mente ipertestuale”, che funzioni non in modo lineare ma piuttosto in parallelo (“multitasking”).

Il primato delle elaborazioni a partire da stimoli visivi ben si accorda con gli stili di apprendimento tipici degli alunni con BES. Anche la memoria di lavoro, frequentemente deficitaria negli alunni con BES, viene sollecitata: il giocatore deve continuamente regolare e ritenere le informazioni utili per eseguire operazioni cognitive complesse, come ragionare, prendere decisioni e affrontare problemi.
Il continuo coinvolgimento fisico e mentale nelle azioni proposte dal gioco, il feed-back immediato, la sorpresa, l’azzardo, la possibilità di scelta tra diverse opzioni, eccitano e divertono il giocatore, attivando dinamiche motivazionali che accrescono l’autostima.
In una recentissima pubblicazione scientifica, alcuni ricercatori del dipartimento di psicologia dell’Università di Padova (1), hanno contribuito a stemperare alcune perplessità sui videogiochi, nello specifico in relazione alle problematiche connesse ai disturbi specifici dell’apprendimento (DSA).
I ricercatori di Padova hanno evidenziato che l’esperienza senso-motoria e il livello alto di attenzione impiegata nei videogame di azione possono migliorare la performance di lettura e di comprensione nei ragazzi dislessici. Se in passato si era ritenuto che la condizione neuro-cognitiva alla base dei DSA non potesse trovare risoluzione, tale ricerca apre importanti spiragli verso nuove possibilità di miglioramenti effettivi ed efficaci compensazioni.
Lo studio ha dimostrato che dopo nove sessioni di gioco di circa 80 minuti al giorno, i bambini presentavano un miglioramento sia nella velocità che nell’accuratezza della lettura. Il miglioramento registrato è risultato più rilevante rispetto a molte altre tipologie di recupero più tradizionali, come gli esercizi logopedici per il trattamento della dislessia (2).
I ricercatori ipotizzano che questo risultato sia dovuto al fatto che l’attenzione, in particolare quella visiva e spaziale – maggiormente problematica nella dislessia – viene stimolata o addirittura accresciuta durante le fasi concitate del gioco. Tali condizioni di attivazione psico-cognitiva, positivamente stimolate durante l’attività ludica, permangono e si trasferiscono nella successiva esecuzione della prova di lettura, migliorando notevolmente la performance. Si tratta dunque di associare temporalmente l’attività di videogioco d’azione e quella di lettura, estendendo così alla seconda i benefici di attivazione ottenuti nella prima.

Molte ricerche attualmente in corso nelle università – in particolare proprio in quella di Padova – sono orientate ad approfondire l’ involontarietà educativa insita in molti videogame di azione e intrattenimento, con lo scopo di evidenziarne le potenzialità e le positive influenze indirette a livello cognitivo e di performance fisica. Tali ricerche concordano in molti casi sul fatto che coloro che si espongono con una certa continuità e durata ai giochi d’azione mostrano un accrescimento generale delle abilità visuo-percettive e spaziali, oltre ad un miglioramento delle abilità manipolative fini, che richiedono una alta precisione e velocità nel coordinamento occhio-mano.

Del resto, non sorprende più, in particolare negli USA, vedere dottori specializzandi che giocano alla Nintendo Wii non per rilassarsi, ma per affinare le loro abilità manuali medico-chirurgiche!

(1) La ricerca dimostra che in molte malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson i videogiochi vengono utilmente impiegati a scopo riabilitativo. Alcuni videogiochi in cui il motor learning e il social gaming vengono utilizzati per migliorare la qualità della vita di molti pazienti. L’Unione Europea ha dato avvio al Progetto Sociable in cui circa trecento malati di Alzheimer di diversa nazionalità sperimenteranno tramite TIC alcuni particolari videogiochi, anche di mixed reality (in cui la virtualità si fonde con la realtà) per evidenziarne la validità nel migliorare le condizioni di vita. Nel Parkinson i videogiochi vengono utilizzati come complemento della fisioterapia tradizionale.
(2) Franceschini S., Gori S., Ruffino M., Viola S., Molteni M., Facoetti A., “Action Video Games Make Dyslexic Children Read Better” in Current Biology, Volume 23 (2013), Issue 6, pp. 462-466.

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Un bel carattere aiuta a leggere, di Edizioni Angolo Manzoni
http://www.easyreading.it/
http://www.erickson.it/Riviste/Pagine/Scheda-Numero-Rivista.aspx?ItemId=40414
http://www.angolomanzoni.it/collane/index

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Immagine in testata di Jinx/Flickr (licenza free to share)

Laura Barbirato