L’arcivernice: Antistene, la ricchezza e la crisi economica (decima puntata)
Ecco, Ramon non sapeva proprio chi era. Antistene? Mah. Pensò di andare su Google, e farsi un’idea. Ma perché affidarsi a Google, se lui aveva l’arcivernice? E fu così che si lanciò.
Apparve una figura macilenta, dalla barba incolta, dalle vesti non curate. Prima che Ramon potesse proferire parola, Antistene stesso parlò:
“Grande, immensa è stata la figura di Socrate, ragazzo; ma anche oggetto di altrettanto grandi mistificazioni”.
“Chi ha frainteso Socrate, Maestro?”
“Chi, se non Platone e i suoi ‘accademici’?”
“Mah… Non è stato forse Platone il migliore interprete di Socrate? Socrate non scrisse niente, fu Platone a tramandarci il suo insegnamento”.
“Così credono tutti. Ma questa è la visione dei ricchi. Dimmi, ragazzo, quando mai Socrate ha parlato di un sopramondo, dell’iperuranio?”
“Non saprei, Maestro. Ma nel Fedone… io certo non c’ero.”
“Io sì; e ti sciolgo l’enigma: mai e poi mai. Il Fedone l’ha scritto Platone, non Socrate, ricordatelo. Socrate non parlava di “idee”, ma delle cose reali. E Platone gioca sporco, gli fa dire quello che non ha detto mai. Tanto che quando gli rivolsi la celebre domanda, “Platone, questo è il cavallo, ma indicami ora la cavallinità”, egli non seppe rispondere che in modo confuso. E io verso di lui ho messo a frutto quanto appresi dal grande Gorgia da Leontini, di cui fui allievo, prima che di Socrate.”
“Ma Gorgia si faceva pagare. Dunque anche tu sei un ricco? Perché ti contrapponi a Platone?”
Antistene si accarezzava la barba, pensoso. Ma come mai costui non capiva?
“Ragazzo, ma non capisci che il pagare è il modo per rendere tutti uguali? Perché l’alternativa è essere diversi per nascita. Come nelle cariche pubbliche: se sono gratuite, solo i ricchi possono occuparle.”
“A dir la verità, non l’avevo mai vista da questo punto di vista. Dunque tu, Antistene, ritieni che Socrate sia stato frainteso, come svisato, da Platone?”
“Certamente, caro. Il vero Socrate è quello della sua etica, non quello delle fantasticherie del sopramondo. È quello che rifiuta gli onori, rifugge dall’effimera gloria degli scritti, è quello cui basta l’essere in armonia con la natura, non con le goffaggini degli uomini. È il Socrate che disprezza il valore mercantile delle cose, e a cui basterebbe, per vivere bene, una botte entro cui ripararsi nella notte.”
Ramon pensò che dunque esistevano due linee di lettura dell’insegnamento socratico, l’una aristocratica, l’altra quasi “proletaria”. La seconda, attraverso Diogene, e poi Zenone, confluirà nella Stoà. La linea vincente, Socrate, Platone, Aristotele. Quella perdente, Democrito, prima di tutto, dei cui oltre trecento trattati non rimane nulla, quella di Gorgia, di cui rimangono solo pochi brani riportati in seconda battuta, quella dei Cinici. Molto, molto più complicato di come scrivono i manuali di filosofia…
“Ma, Maestro, dimmi allora, che cos’è, e di chi è, la ricchezza?”
“L’aria e l’acqua, di chi sono? Non son forse di tutti?”
“Ma il frumento che mi dà la focaccia non è forse di chi ha piantato il seme, e l’ha coltivato?”
“Ma la madre terra non è forse di tutti?”
“La terra sì, Maestro, ma il lavoro delle braccia e dei buoi, e lo sforzo d’irrigare, e la raccolta, la trebbiatura… Non è giusto che un uomo possa raccogliere i frutti del proprio lavoro?”
Qui Ramon ebbe un dubbio. Avrebbe dovuto citare Locke, e le lettere sulla tolleranza. Avrebbe dovuto parlare di quali siano i diritti inalienabili per il liberismo. Ma come poteva, con un filosofo di duemila anni prima? Ma fu Antistene a toglierlo d’impaccio:
“Tu mi stai gettando in faccia il diritto a godere del proprio lavoro come fondamento della proprietà privata; cioè il fondamento del liberismo.”
“Ma tu come puoi, Antistene, sapere queste cose?”
“Le so perché sono in me.”
Ramon stava facendo uno nuova scoperta, che lo lasciva allibito. Ma come, Antistene conosceva Locke, Ricardo, Marx? Ma che senso aveva? D’altra parte, che senso aveva l’arcivernice? Le particelle del passato muovono all’infinito, nell’universo in espansione. Le immagini di Bruto e di Cassio che pugnalano Cesare stanno viaggiando da oltre duemila anni, i loro fotoni non vanno mai persi, così come ogni immagine, ogni azione fatta sulla terra. E viaggiano alla velocità della luce, verso lidi lontani. “Non potrò mai cancellare i miei peccati? – pensò disperato Ramon – Per sempre, il passato è scritto nell’universo?”
Aveva urgente bisogno di parlare con Lavoisier, con Maxwell, con Einstein. Pensò che aveva l’arcivernice, e che lo avrebbe fatto.
“Spiegami allora, Antistene. Tu rifiuti il ‘pactum unionis’ di Hobbes? Meglio ‘homo homini lupus’?”
“Il ‘pactum unionis’, Ramon, è legato al ‘pactum sunbiectionis’: io rinuncio a una parte della mia sovranità, a favore di qualcun altro. E costui diventa il monarca, il dominus, che decide fin sulla mia vita. Ti pare l’unico modo civile di andare avanti?”
Ramon avrebbe voluto chiedergli della crisi, dell’equità, della giustizia. Ma Antistene in pochi secondi scomparve…
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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.
Maurizio Matteuzzi