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Fiori di pace

Pubblicato il: 28/12/2009 17:50:35 -


Dal 22 novembre al 1 dicembre 2009 si è svolta a Verona la sesta edizione in quattro anni del progetto “Fiori di Pace”, promosso dall’associazione “Il Germoglio”, liceo Maffei, la rivista “Confronti”, ed Enti locali per la pace, sotto la supervisione scientifico-professionale dello psicologo dott. Mustafa Qossoqsi.
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Attraverso il progetto “Fiori di Pace” vengono portati in Italia gruppi di ragazzi palestinesi e israeliani per affrontare insieme un percorso di conoscenza ed elaborazione reciproca sia sul piano interpersonale che su quello delle confliggenti identità nazionali. I partecipanti a questa edizione sono arrivati dalla scuola bilingue arabo-ebraica “Galilea” in Israele e dalla città vecchia di Gerusalemme. Da sottolineare la partecipazione particolare dei palestinesi d’Israele, i quali esperiscono il conflitto da una posizione complessa e spesso insostenibile, in quanto palestinesi e cittadini dello Stato d’Israele. Il dialogo ha avuto luogo, come sempre, in un contesto neutro, non gravato dalle incessanti tensioni che caratterizzano la vita di tutti i giorni dei ragazzi mediorientali. Ed è stato facilitato dalla presenza accogliente ed empatica dei ragazzi italiani del liceo Maffei già coinvolti nello scorso ottobre in un viaggio in Palestina e in Israele nell’ambito dell’iniziativa: “Tempo delle responsabilità” a cui aderiva il progetto “Fiori di Pace”.

Di seguito vengono riportate le esperienze narrate da alcuni ragazzi partecipanti. Si dà voce sia alle motivazioni, alle difficoltà e alle scoperte sorprendenti nonché disorientanti dell’incontro con l’altro. Tale incontro viene giudicato da tutti come necessario e indispensabile anche per le sue qualità di vicinanza umana e personale che non va a sostituire comunque la necessità di una soluzione politica del conflitto, ma forse la rende più immaginabile e a portata di relazione. Il processo di riumanizzazione dell’altro che si avvia nel corso del progetto si inscrive in un contesto di sofferenza che pur nella sua asimmetria nella realtà condanna i bambini e i ragazzi dei due popoli a ininterrotti cicli di traumatizzazione di varia intensità.

Rotem, 15 anni, ebrea israeliana
Partecipo a questo progetto per far vedere che c’è speranza per la pace e che la pace è anche possibile. Penso che questo progetto sia molto significativo e che generi cambiamento nelle persone e nella situazione. Io non sento gli effetti diretti del conflitto sulla mia vita quotidiana, però ho alcuni parenti che vivono al confine con Gaza e ho paura per loro. Anche tre anni fa durante la guerra con il Libano ho vissuto per più di mese nel bunker di casa. All’inizio ero molto sorpresa perfino scioccata a sentire nel primo giorno che una delle ragazze di Gerusalemme est non voleva parlare con ebrei e tantomeno dormire nella stessa stanza, ridere insieme oppure discutere. Nella sera dello stesso giorno avevamo già discusso sul conflitto, nella notte già ridevamo insieme, due giorni dopo mi ha chiamata “amica” e dopo tre giorni già chiedeva il mio contatto su facebook per mantenere la relazione. È questo secondo me il vero obiettivo del progetto: cioè conoscere e capire l’altra parte. Questa è stata un’esperienza rafforzante anche se a volte ha creato confusione, tutte le opinioni vengono rimesse in esame, i sentimenti cambiano. Tu devi saper difendere la tua posizione e le tue opinioni. Ma devi anche essere aperto per capire e rispettare l’altra parte. Insomma è stato bello e interessante.

Hanadi, 16 anni, palestinese di Gerusalemme est
Vivendo come palestinese musulmana di Gerusalemme ho molto paura a causa del conflitto. Uscendo di casa lungo le vie Gerusalemme ci sono molti soldati e coloni che ci minacciano e ci aggrediscono. Mi hanno parlato molto bene di questo viaggio e volevo partecipare e sviluppare me stessa a contatto con altre culture e altri popoli, compresi i ragazzi israeliani. Prima di partecipare avevo sentimenti e pensieri strani e negativi sulla possibilità di dialogo. Questa esperienza è servita a rimettere in discussione alcuni miei pensieri e a sospendere il giudizio sugli altri finché non li ho conosciuti e ho interagito con loro. Rimango pessimista riguardo la volontà israeliana per una soluzione politica giusta per i palestinesi. Questo incontro che ci ha riuniti sotto un unico tetto, noi e il nostro nemico, è stata un’esperienza molto bella e molto difficile, abbiamo conosciuto la parte israeliana e abbiamo cercato di comprenderla. Ma è stato molto difficile perché nel cercare di mettermi nei panni degli israeliani mi son sentita come se giustificassi l’occupazione. Al mio ritorno racconterò tutto di questo viaggio, dirò che è stato un viaggio bello e divertente, ma anche educativo e incoraggiante, parlerò dell’accoglienza in generale e nelle case e nelle famiglie ospitanti in particolare. Noi vogliamo la pace e dobbiamo farla tutti insieme.

Nardeen, 14 anni, araba-palestinese cittadina israeliana
Noi parliamo sempre del conflitto grande tra israeliani e palestinesi, e non parliamo mai del conflitto tra arabi ed ebrei in Israele. Se parlo del conflitto interno a Israele potrei sentirmi come le ragazze palestinesi di Gerusalemme Est. Mentre in altri casi mi sento molto israeliana ma anche molto palestinese. Quando abbiamo iniziato la scuola quell’anno c’è stata una guerra dolorosa per le due parti, la guerra di Israele e Gaza. Quando ci siamo incontrati a scuola dopo le vacanze d’estate sapevamo che era arrivato il tempo di aprire il tema del conflitto dove ognuno parlava di se stesso e ascoltava l’altro. Abbiamo parlato, abbiamo ascoltato e abbiamo visto, alcuni di noi hanno pianto e una parte di noi ha espresso rabbia e così via… e alla fine c’è stato un clima di tristezza e rabbia. È stato un problema in quanto per la prima volta mi sono sentita così triste e avevo paura che non saremo rimasti amici e che saremo diventati due parti separate dopo quello che avevamo passato insieme come una parte particolare e diversa, una parte con la speranza della pace e della comprensione dell’altro e così via… Però per la mia gioia ogni gruppo ha capito l’altra parte, ci siamo scusati e abbiamo continuato nel nostro percorso come i ragazzi della “Galilea” e non arabi contro ebrei. Vivo e ho vissuto in passato esperienze simili di dialogo con miei compagni di classe ebrei, però in questa occasione mi interessava soprattutto la vita dei miei fratelli palestinesi e le loro posizioni rispetto al conflitto arabo-ebraico. In più sapevo che sarebbe stata un’esperienza speciale, di conoscenza e divertimento. A volte ho provato sentimenti difficili e dolorosi, mentre in altri momenti ho provato meno difficoltà in quanto ho visto me stessa come un punto di congiunzione e di comunicazione tra le due parti, oppure mi sono vista come una terza parte diversa e allo stesso tempo simile alle altre due parti. L’esperienza è stata ricca da tutti i punti di vista, in quanto il suo titolo è stato l’umanità, e ho capito la mia importante e diversa funzione in questo conflitto.

Mustafa Qossoqsi

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