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Scuola e nuova temporalità

Pubblicato il: 20/11/2009 17:06:12 -


Ilo estrae dal suo zaino un sasso. È un pezzo di Gaza che ha portato con sé: capisco in quel momento che il nostro lavoro è appena cominciato.
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“Minacciare Israele di distruzione – o ripetere vili stereotipi sugli ebrei – è profondamente sbagliato e serve soltanto a evocare nella mente degli israeliani il ricordo più doloroso della loro Storia, precludendo la pace che il popolo di quella regione merita. D’altra parte è innegabile che il popolo palestinese, formato da cristiani e musulmani, abbia sofferto anch’esso nel tentativo di avere una propria patria… Giorno dopo giorno i palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si accompagnano all’occupazione di un territorio. Sia dunque chiara una cosa: la situazione per il popolo palestinese è insostenibile. L’America non volterà le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla dignità, alle pari opportunità, a uno Stato proprio… È ora che loro – e noi tutti con loro – facciamo finalmente fronte alle rispettive responsabilità”.

Con questo messaggio Barack Obama, al Cairo, nella “città eterna”, pone con urgenza la necessità di rilanciare il dialogo in una terra dove il fiume lento degli odi e dei rancori ha eroso le speranze, dove è stato mutilato il senso profondo della parola “pace”, lasciando il posto alla vertigine abissale dell’angoscia e dello smarrimento, dove troppo, troppo alto è il costo in nome dell’identità, dove le risposte, sul piano del diritto, sembrano essere ancora molto lontane, dove, infine, la causa della pace non può essere separata dalla giustizia. In un altro storico discorso del Presidente degli Stati Uniti all’Assemblea generale dell’Onu, cancellando gli otto anni dell’era Bush e l’avvelenato raccolto dell’infinity war, si afferma che viviamo una nuova era d’impegno in tutto il mondo, che ci impone di dare risposte globali a sfide globali in cui ciascuno deve assumersi dirette responsabilità.

La missione di pace in Medio Oriente, svoltasi tra il 10 e il 17 ottobre 2009, una delle più importanti missioni di pace di cui l’Italia si sia resa protagonista, sembra essere stata la più tempestiva risposta al coraggioso e accorato appello di Obama. Quattrocento italiani, nel nome di San Francesco, Giorgio La Pira e Aldo Capitini, si sono recati in Israele, in Palestina, nei territori occupati, consapevoli di appartenere a un tempo nuovo, il tempo delle nostre responsabilità, il tempo in cui siamo tutti chiamati a farci carico degli atti e delle scelte di chi ci ha preceduto poiché apparteniamo a un presente che porta il peso del suo passato: “questa forma di responsabilità per cose che non abbiamo fatto, questo assumerci le conseguenze di atti che non abbiamo compiuto, è il prezzo che dobbiamo pagare per il fatto di vivere sempre le nostre vite, non per conto nostro, ma accanto ad altri, ed è dovuta in fondo al fatto che la facoltà dell’azione – la facoltà politica per eccellenza – può trovare un campo di attuazione solo nelle molte e variegate forme di comunità umana” (Arendt). Il tempo delle responsabilità ha chiamato all’appello semplici cittadini, associazioni, artisti, musicisti, sportivi, amministratori: una mobilitazione imponente che ha voluto contrapporre la forza del dialogo alla forza dell’odio e della violenza. La storica marcia per la pace Perugia-Assisi si è così trasferita in Medio oriente, toccando Haifa, Hebron, Tel Aviv, Jenin, Sderot, Gaza, Miseav-Sachnin, Nazareth, Birzeit, Jaffa, Nablus , Gerusalemme, Gerico “per fare noi, cittadini europei, quello che deve fare oggi l’Europa: assumersi le proprie responsabilità”. Con queste parole Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace, ha inaugurato la Missione di Pace “Times for Responsabilities”, affermando che “stiamo consumando, forse, l’ultima possibilità di fare la pace in Medio Oriente e chiudere subito questo conflitto è un interesse nazionale dell’Italia e dell’Europa: se Obama fallirà, si aprirà un baratro sotto i nostri piedi, ma se l’iniziativa di Obama avrà invece successo senza la nostra effettiva collaborazione, l’Europa avrà perso l’opportunità di raccogliere i copiosi frutti della pace mediorientale”. La missione è stata pregnante esperienza di conoscenza che ha consentito alla delegazione di ascoltare i diversi punti di vista di cittadini, coloni, profughi, superstiti della guerra di Gaza, amministratori, refusnik, pacifisti. Racconti e testimonianze carichi di commozione hanno restituito con efficacia l’aria asfissiante che si respira in questa terra e il bisogno, quasi urlato e, a volte, invece, annegato nella rassegnazione, di poter sperare in un qualsiasi possibile futuro di pace. Nella delegazione nazionale c’era la nostra scuola, il Liceo “Maffei” di Verona, l’unica scuola italiana, partner del progetto “Fiori di Pace”.

10 ottobre, ore cinque, piove: io e i miei otto studenti siamo ansiosi di partire per abbracciare, e con noi la nostra scuola, il senso profondo della nuova temporalità: una partenza carica di commozione, ma anche di brivido poiché siamo consapevoli di andare incontro a qualcosa che comunque appare imponderabile a noi che ci sentiamo forti, semplicemente, perché imbarcati nella dimensione dell’agire. Poi, una volta arrivati, l’impatto violento: il muro dell’apartheid, i percorsi ad ostacoli dei check point, i cumuli d’immondizia dei campi profughi, la “fisicità” dell’ ebraicizzazione forzata di Gerusalemme, magico crocevia dei tre monoteismi, della politica della colonizzazione e dei”fatti compiuti”. Grande è stata l’angoscia. Bisogna passare da un check point per capire cosa significhi atrofizzare un popolo, rubandogli la vita. Il 15 ottobre un gruppo di venti persone entra a Gaza. Ci siamo anche noi: Ilo, studente di sedici anni ed io. Non si entra a Gaza da nove mesi e, se fossimo entrati pochi giorni dopo l’operazione “piombo fuso”, penso che lo scenario non sarebbe stato molto diverso. A Gaza, da allora, non è entrato neanche un chilo di cemento. L’impatto con quel campo di concentramento a cielo aperto è spaventoso. Mi domando dove sia finita l’umanità e in silenzio recito:

Nessuno c’impasta di nuovo, da terra e fango, nessuno insuffla la vita alla nostra polvere. Nessuno (Celan).

Esco dall’afasia che mi ha assalito, soltanto la sera, a Betlemme. Ilo estrae dal suo zaino un sasso. È un pezzo di Gaza che ha portato con sé: capisco in quel momento che il nostro lavoro è appena cominciato. Siamo chiamati più di prima per stare al fianco di quelle popolazioni, per rafforzare la rete di solidarietà che già esiste tra molti palestinesi e israeliani, per rompere il circolo vizioso della violenza. A novembre, nella nostra scuola arriverà un gruppo di ragazzi israeliani e palestinesi. È un’iniziativa che rientra nelle attività promosse dal progetto “Fiori di Pace”. Gli obiettivi che s’intendono perseguire con la realizzazione di questo progetto nascono, infatti, dall’esigenza di creare occasioni d’incontro e relazione tra i giovani israeliani e palestinesi, superando preconcetti, stereotipi e ostilità. I minori coinvolti nel progetto, attraverso le attività loro proposte con l’assistenza di uno psicoterapeuta, realizzano un percorso che li aiuta a superare i loro traumi psicologici legati al conflitto.

Il tempo delle nostre responsabilità è, dunque, il nostro presente e il nostro presente sta nel coraggio di scegliere l’UMANITÀ.

Patrizia Buffa

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