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Cronache dall’ultimo esame di maturità (2)

Pubblicato il: 23/05/2012 19:12:24 -


“Non ci intimorivano, il compito diventava un lavoro in équipe. Tutto sta a far passare un po’ di tempo, poi i professori si stancano e si distraggono, allentano. Una slealtà che ne va a riequilibrare un’altra”. Intervista di Lidia Maria Giannini, studentessa del ginnasio, a Luigi Calcerano.
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LIDIA MARIA: Cosa accadeva se venivate scoperti a copiare?

LUIGI: Ecco, ti parlerò di quanto accadde proprio a questo proposito. Il professore esordi: “Ah, è così, lei copiava, non lo credevo La interrogherò più spesso, tanto per aiutarla. Sentiamo Cilento. Venga Cilento. Va sempre peggio eh Cilento!” Non si seppe mai chi era stato, dicevano Matteucci. Ma non l’abbiamo saputo con certezza! La traduzione la accordavano Luigi I e Fallada, con qualche mia ispirazione. Poi tramite Carmine e Marco la passavamo in prima fila dove Rossini controllava, limava e la faceva ricircolare con le versioni alternative suggerite. Un lavoro di una certa difficoltà perché non potevamo mica tutti presentare lo stesso testo… A parte quella volta che il professore disse che avevamo considerato tutti il periodo ipotetico come misto e lui, bontà sua, pur non essendo d’accordo non ce lo segnava come errore! Rossini era meglio del Gabrielli per i sinonimi. Aveva il tocco dell’artista. Per la differenza dei voti bastava che ognuno ci mettesse qualcosa di proprio. E di fatto era necessario, mica ci si poteva consultare per ogni cosa. Non ci intimorivano, il compito diventava un lavoro in équipe. Tutto sta a far passare un po’ di tempo, poi i professori si stancano e si distraggono, allentano. Una slealtà che ne va a riequilibrare un’altra.

LIDIA MARIA: E quale? Non sono d’accordo con questa impostazione…

LUIGI: Quella di chi ti chiede ciò che non ti ha dato, o esige quello che non puoi sapere. Che giudica e non aiuta. Era la nostra piccola rivoluzione. Sempre da che c’è la scuola si è tirato a fregare i professori. Studenti di tutto il mondo unitevi, abbasso la scuola darwiniana che uccide i mediocri per portare avanti la razza dei bravi. E dei Potenti che sarebbero stati la futura classe dirigente. Ci mettemmo un quarto d’ora, una sera a preparare la riforma. Per una scuola che servisse a tutti e che non obbligasse a barare. Tutti nella A c’eravamo dati da fare per trovare il membro interno tra i nostri professori. Luigi I aveva per esclusione contattato personalmente tutti, tutti tranne Beccuto, naturalmente, il vecchio pazzo di Matematica e Fisica che riusciva a far di tutto un casino e dovevamo correggere in classe durante le spiegazioni contraddittorie… Con ammirevole senso del dovere tutti avevano rifiutato. A dispetto della prassi della rotazione il membro interno fu scelto nella C, che insieme alla B, di tutte donne, costituiva il terzetto delle sezioni. Era una femminona corpulenta e atletica che si sarebbe potuta definire troppo grassa senza una qual certa agilità nei movimenti che la salvava. Il lieve ondeggiare e una storta al piede la fecero soprannominare prima Acab, poi Moby Dick e non riesco a ricordar il suo vero nome. Sembrava benigna dapprincipio, ma fece una delle peggiori porcate possibili coi calendari degli orali. Ognuno pensava per se’ e per la sua famiglia, ci insegnavano col comportamento. Sabato finivano gli scritti, lunedì c’era capitato l’orale delle scientifiche. A freddo. Anche la B non aveva respiro, ma almeno cominciava con le letterarie e poteva studiare insieme per gli scritti e gli orali. Anche se non si può studiare insieme per gli scritti e per gli orali. Solo i prediletti della C, olimpici, si sarebbero goduti, dopo gli scritti una bella settimana di respiro. Fu allora che Giovanna mi scaricò. Anzi, a dire la verità fu allora che capii che non avevo mai avuto speranze. Era più grande di me e, scoperto che non ero ripetente si volatilizzò. La prova d’Italiano me la ricordo bene. Avevano fatto una classe del corridoio. La guerra è guerra, del resto. Dove scherzavamo negli intervalli ora c’erano tanti banchi uno dietro l’altro e una cattedra al centro. Avevamo fatto tanti piani di dislocamento, tutti inutili. Certo in italiano non si può “passare”, ci si può consigliare nei temi, discuterli, non certo copiare. Avevamo fatto tanti piani per una specie di prova generale, fallita perché la nuova situazione scompaginò la disciplina e molti cercarono, come al solito, come avevano imparato, la salvezza personale allontanandosi dalla cattedra minacciosa in mezzo al corridoio. In fondo di cattedra ne riuscimmo a scorgere un’altra. Ci avevano ben cucinato. Io mantenni la posizione progettata, Luigi I mi si mise davanti e Mimmo avanti ancora, non aveva troppa scelta, era epilettico e non riusciva a star fermo nel banco. Luigi I era freddo, tutta ostentazione, naturale, ma dava comunque un po’ di calma. Continuava a osservare con interesse tecnico i professori e mi spinse a imitarlo. People’s watching. Nonostante la giornata caldissima sentivo un freddo cane. Con la giacca abbottonata insistevo per fare la prova-voce con l’altro Luigi.

Prove positive, il muro cui erano attaccati i banchi, trasmetteva con una certa chiarezza anche i sussurri. Aspettammo più di un’ora. Mimmo era già stanco e anche noi cominciavamo a sentirci elettrizzati. Arrivarono i temi. Tolto di mezzo quello storico, che comportava la sempre problematica correzione di due professori anziché uno. Poi c’era il Berchet, che era un minore ma appunto per questo disegnava un’epoca e permetteva di rimpolpare il discorso con concetti presi un po’ da tutte le parti. Leopardi ed il suo dannatissimo brano era il più tosto, il più bello forse. Mimmo fece Berchet, Luigi Leopardi e io, dopo matura riflessione optai per il Berchet, meglio andare sul sicuro, come facevo di solito. Abitudini difficili da abbandonare. Avevo dietro una privatista che in altri tempi era stata una bella ragazza, allora, le unghie mangiate, gli occhi spiritati e la faccia cadaverica sembrava un personaggio degli Addams. Ci piacevano quei telefilm che avevano, allora un bassissimo gradimento. – Berchet è un romantico?- mi chiese e trasecolai. Potevo parlare circa un quarto d’ora sul Berchet e quella non sapeva se era o no romantico. Le diedi qualche notizia, qualche orientamento ma mi pareva di vuotare il mare con un guscio di noce. Ricordo che avevo troppe idee e che mi solleticava quella di concentrarmi sulla frase senza sputtanarmi troppo librescamente sul romanticismo. Ci misi tempo per ordinare la scaletta. Luigi I mi chiese qualche precisazione su alcuni concetti del Sapegno e sul Petronio che costituiva il mio asso nella manica. Riuscimmo a comunicare ma se davanti uno poteva controllare di dietro potevano arrivarti sotto all’improvviso e non ci si poteva voltare ad ogni rumore… La privatista voleva mettere che c’era un rapporto particolare tra Romanticismo e Ottocento, perché il Romanticismo fu un fatto essenzialmente borghese ed era la letteratura e la cultura della borghesia che dopo la vittoria sociale aspirava ad un assetto politico stabile. Certo la borghesia aspirava ad un assetto politico stabile, capace di darle una struttura statale unitaria, ne aveva bisogno, ma la frase era troppo spiccatamente marxista, pericolosa, dunque, e poi la ragazza non pareva in grado di sostenerla, ammesso che ciò fosse consigliabile. Tra l’altro portava al baratro possibile del fuori tema. Le passai l’inizio che avevo scartato perché mi sembrava troppo pedestre. “Natura con un pugno lo sgobbò e poi gli disse: canta e lui cantò.” scherzò il mio compagno avanti. Mi ricordo anche il tema di Luigi. Vedeva in Leopardi un Orazio insoddisfatto. Orazio ci aveva fatto discutere. Discutere su Orazio, altri tempi, altra gioventù. Gli consigliai di annacquare. Annacquò e molto e non ne restarono che allusioni vaghe suggestive e ambigue. E in più una splendida esegesi del brano da commentare. L’angelica prof di Greco e Latino passò a chiedere ordinazioni per il bar. Era l’una e ci fu un cumulo di richieste confusionarie tanto che il presidente della commissione sospese tutto. Quando si scusò con noi non trovò che sorrisi comprensivi e sguardi di benevola approvazione. Ricaricò la pipa spenta e sorrise. Era completamente a suo agio lui, una persona felice e in pace con se stessa. Anche la seconda stesura non mi parve soddisfacente e decisi di cambiare direttamente in bella, cominciando subito a copiare per evitare ansie eccessive. Periodi più brevi e concisi e un po’ di legante, era di quello che avevo bisogno. Dovevo mantenermi calmo, dovevo esser freddo per riuscire. Un nanerottolo, era il professore di scienze ma ancora non lo sapevamo, non faceva altro che andare avanti e dietro per il corridoio, alternando passi lenti a piccole corse, nell’intento malvagio di sorprendere qualcuno che copiava o più semplicemente di romperci i coglioni. Non si poteva tenerlo d’occhio era una mina vagante. Una sola cosa pensavo. A casa avrei trovato l’acqua fredda nel frigorifero e l’anice per battezzarla, come a Palermo.. Il tema cominciava a prendere una piega accettabile, non era quello che avrei voluto scrivere ma sarebbe piaciuto a quelle anime candide e banali degli esaminatori. Riuscii a leggere il tema di Luigi. Frase per frase uno pratico avrebbe potuto ritrovare gli ispiratori e io li individuai senza fatica. Strutture di Sapegno, tocchi di De Roberto, Momigliano, Croce, Vossler, Thovez. E il coordinamento elegante di Luigi I. Avevamo imparato quello che si aspettavano da noi, che riuscissimo ad appropriarci con intelligenza e classe delle idee altrui. Avevo la bocca piena di una strana pasta vischiosa e amarissima. Non ero ancora uscito da italiano e già pensavo alla traduzione di Latino del giorno dopo. Rilessi attentamente, aggiustai qualche parola poco leggibile e cercai di ascoltare la musica della sintassi. Suonava. Luigi I si alzò per primo per consegnare, dopo di lui mi alzai anch’io. Mimmo continuò a leggere e a rileggere ancora, più per il nervoso che per vera prudenza. Fuori l’aria era soffocante ma ritrovarla lontano dai banchi ci fece piacere.

Pomeriggio. Parlammo poco e andammo a casa. Alle cinque ci saremmo dovuti rivedere per ripassare Fisica. Focault, Kelvin, Carnot, non c’è niente di meglio per riposarsi da Italiano e prepararsi a Latino… Uscimmo ancora quella sera, incontrammo Ines, Mariagrazia, Alda, tutte truccatissime, pronte per andare chissà dove. Fu allora che mi venne in mente che le donne sono diverse e da allora niente ha più potuto farmi cambiare idea. Una razza aliena, se capisci cosa intendo.

(continua)

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