Il popolo dei precari (4)
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È ovvio che la stabilizzazione dei circa 200.000 attuali precari penalizza soprattutto i giovani laureati. Occorre trovare un giusto compromesso tra l’azzeramento delle attuali graduatorie e la chiusura del sistema scuola ai giovani laureati. Innovativi e diversificati sistemi di accesso al mondo scolastico potrebbero favorire il compromesso.
Il sistema nazionale d’istruzione è perfettamente in grado di operare una programmazione mirata del fabbisogno di personale docente, soprattutto ora che anche il quadro ordinamentale della secondaria superiore è stato innovato, nel pieno e ovvio rispetto delle compatibilità finanziarie. Un rispetto che tenga il fenomeno al riparo dall’accusa di diventare un ammortizzatore sociale destinato solo a incrementare il debito pubblico. Una tale programmazione che si invoca per gli accessi ai percorsi formativi deve anche fornire una risposta in termini di stabilizzazione delle attuali situazioni di precariato consolidato; più semplicemente chiediamoci, che senso abbia, anche dal punto di vista del differenziale finanziario, continuare sulla linea dei contratti annuali, o fino al termine delle attività didattiche, quando siamo in presenza di una continua loro reiterazione. In altri termini il lasso temporale di queste due tipologie di contratti è certamente troppo breve e asmatico, mentre un contratto a tempo determinato di più lungo periodo contribuirebbe a migliorare, certo non a risolvere, il problema della maggiore stabilità e della minore indeterminatezza del rapporto di lavoro.
In presenza di un quadro ordinamentale definito e di una corretta valutazione della programmazione del fabbisogno in crescita non ha più molto senso affidarsi esclusivamente alle tipologie contrattuali finora esistenti non solo per migliorare la situazione attuale, ma anche quella futura.
La proposta di stabilizzare il personale precario attraverso contratti, seppur a tempo determinato ma di più ampia durata, trova ulteriore riscontro sia nel concetto di organico funzionale di istituto, uno dei punti qualificanti dell’autonomia scolastica (purtroppo accantonato anche se previsto normativamente per ben due volte), sia nelle quote di autonomia o di flessibilità e di potenziamento del curriculum nella riforma del II grado. Infatti il dirigente scolastico potrebbe arricchire (ma anche consolidare) l’offerta formativa, sapendo di poter contare su risorse scelte e stabili, addirittura più stabili dei docenti di ruolo i quali, in virtù dell’istituto della mobilità, possono cambiar sede scolastica più frequentemente di un precario a cui sia stato proposto un contratto, per esempio, triennale o quinquennale. Altra considerazione: la riforma del II grado prevede, in quasi tutti gli indirizzi, l’insegnamento in una lingua straniera di una disciplina nell’area degli insegnamenti obbligatori o attivabili nei limiti del contingente di risorse assegnate (si ritorna al concetto di organico funzionale o di quota dell’autonomia). Chi più dei giovani precari sarebbe adatto a questo tipo di insegnamento visto che molti nuovi laureati annoverano nel curriculum esperienze di esami sostenuti all’estero grazie al progetto ERASMUS?
È ovvio che la stabilizzazione dei circa 200.000 attuali precari (l’età media degli uomini è 40 anni e oltre 37 quella delle donne) penalizza soprattutto i giovani laureati. Occorre trovare un giusto compromesso tra l’azzeramento delle attuali graduatorie e la chiusura del sistema scuola ai giovani laureati. Innovativi e diversificati sistemi di accesso al mondo della scuola (e in generale ai servizi scolastici) potrebbero favorire il compromesso.
Certo, in una prospettiva di medio termine, dovrà considerarsi la progressiva crescita della domanda di servizi pubblici, anche in ambito scolastico, proprio mentre le risorse dello Stato e degli Enti locali si fanno inesorabilmente più scarse.
Rimanere immobili, in nome di questa inesorabilità significa lasciare indietro, sul piano educativo, una parte crescente della nostra società, e questa è la china che è stata già imboccata, con la scarsa se non inesistente mobilità sociale del contesto italiano.
Ma azioni di contrasto sono ancora possibili solo che si abbia la consapevolezza che interventi concentrati esclusivamente sul taglio dei costi dei servizi pubblici non possono che essere un approccio parziale alla soluzione dei problemi. Azioni di contrasto mirate a colpire lo squilibrio educativo, ormai gravissimo, che esiste nel paese tra Nord e Sud.
Pubblico, privato e no-profit potrebbero convivere nel settore educativo in maniera nuova e a un più alto livello di qualità e di numero di servizi, proprio in questa fase in cui l’offerta scolastica si è notevolmente ridotta anche sul piano quantitativo, soprattutto al Sud.
Rispetto alle altre categorie di lavoratori il “precario della scuola” è SOLO. La solitudine è indotta (ma forse incoraggiata) anche da una serie di normative, istituti, prassi consolidate, che lo mettono in concorrenza con gli altri e non ne fanno una categoria negoziale forte, in grado di ”contrattare” alla pari con il committente pubblico o privato. Non a caso i termini più usati quando si parla di questa categoria di lavoratori sono: graduatorie, inserimenti in coda, inserimenti a pettine, precedenze, posizione utile… Allora, tra gli interventi innovativi si può anche pensare ad agenzie (o forme di cooperazione) che raggruppino e coordinino queste professionalità della scuola e ne curino l’allocazione alla scuola, pubblica o privata, che abbia con esse un contratto di fornitura di servizi scolastici di vario genere: dalla sostituzione dei docenti assenti, alla copertura di posti extra curricolari, alla copertura dei posti vacanti di qualunque genere, alla realizzazione di progetti particolari, quali il recupero della dispersione scolastica, il supporto anche pomeridiano agli alunni più in difficoltà, alle fasce sociali più deboli.
Dalla fine degli anni ’70 negli USA, per esempio, operano le “Communities in School”, un network di istruttori che aiuta gli studenti in difficoltà e appartenenti a ceti sociali sfavoriti attraverso una sorta di doposcuola per combattere le disuguaglianze educative. La struttura della scuola italiana dotata di ampia autonomia dal 2000, si presta alle esperienze e agli innesti più utili, solo che si riesca a creare le necessarie sinergie per gli interventi innovativi.
Il popolo dei precari è, in buona parte, un popolo giovane, non disperdiamo il loro potenziale educativo!
Per approfondire:
• Il popolo dei precari, di Giuseppe Fiori
• Il popolo dei precari (2), di Gianfranco Argenio
• Il popolo dei precari (3), di Giuseppe Fiori
• VIDEO Valorizzare i precari, intervista a Giuseppe Fiori curata da Carlo Nati
Giuseppe Fiori