Il popolo dei precari (3)
Partiamo da un’osservazione generale sulla docenza nelle scuole italiane, la cui caratteristica strutturale, in termini di carriera, è che vede iniziare la sua fase di stabilizzazione del rapporto di lavoro, con un contratto a tempo indeterminato, quasi a metà del percorso professionale. Mediamente, infatti, il precariato nella scuola può durare dai quindici ai venti anni con il risultato che l’attesa nomina in ruolo, come si chiamava una volta, arriva in una fascia d’età compresa tra i quaranta e i quarantacinque anni. Tutto questo ha dei risvolti sociali di tutta evidenza per il popolo dei precari e per la società, ma anche dei notevoli risvolti educativi, perché un così importante potenziale di risorse umane non può essere tenuto sulla corda per un tempo tanto lungo.
Spesso si tratta di risorse sempre più qualificate: nelle graduatorie della scuola primaria, negli ultimi due anni, è raddoppiata la quota degli abilitati con laurea specialistica in scienze della formazione primaria. Oltre il 50% degli iscritti nelle graduatorie della scuola secondaria di I e II grado, dopo la laurea d’accesso, possiede il diploma di specializzazione all’insegnamento secondario (SSIS).
E allora è mancata e manca una strategia di reclutamento per il personale della scuola italiana?
Una strategia che, invece, c’è stata fin dagli anni novanta per i presidi, con il risultato che da quasi vent’anni è rimasto in un accettabile equilibrio il numero di scuole che hanno un titolare e quelle che ne sono sprovviste. Certo sono “soltanto” 10.700 le istituzioni scolastiche e, per una tale dimensione, è sufficiente adottare una corretta se non tempestiva strategia concorsuale!
Ma per i docenti? L’ultimo concorso è finito nel 2000 e del penultimo si è persa traccia nella memoria collettiva, ciò fa capire come pur essendo irrinunciabili le procedure concorsuali, da sole non riescono a profilare una efficace strategia di reclutamento del personale docente.
E in effetti a ogni fine di anno scolastico, com’è noto, in ogni provincia e per ogni classe di concorso viene determinato il numero delle cattedre disponibili per i precari che ne hanno titolo per l’anno scolastico che inizia. Questa quota di stabilizzazione negli anni è stata molto altalenante, con l’effetto di un aumento del precariato. Le finanziarie del 2006 e del 2007, nell’intento di realizzare il riassorbimento di gran parte delle risorse professionali, era riuscito a più che raddoppiare le quote (per il solo 2007 sono stati 50.000 i docenti stabilizzati). L’assottigliamento successivo ha toccato, quest’anno, la quota di 10.000, ed era quindi inevitabile un’impennata del processo opposto. A questo si aggiunga che una razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse umane direttamente collegato ai processi innovativi iniziati nella scuola secondaria superiore e all’eccessivo elevamento del rapporto alunni/classe penalizza, in termini di riduzione delle disponibilità di cattedre (il c.d. taglio degli organici), esclusivamente il personale precario.
Ma c’è di più: in presenza di un sensibile calo demografico, strategie di reclutamento che realizzano un mix di procedure concorsuali con il progressivo riassorbimento potevano anche essere considerate sufficienti, ma l’aumento demografico determinato dagli alunni stranieri ma non solo, ha messo immediatamente in luce la loro inadeguatezza.
E soprattutto sarà vincente una strategia di lungo termine, senza una valida di breve e di medio termine?
Prima di abbozzare una risposta, sgombriamo il terreno da un terribile equivoco, nel dibattito politico di questo inizio di anno scolastico le caratteristiche del precariato nella scuola sono state perfino assimilate a quelle degli ammortizzatori sociali (quasi fosse una paradossale preventiva cassa integrazione!). Tali considerazioni non aiutano certo a profilare una strategia di reclutamento nell’attuale fase di deciso incremento della popolazione scolastica, in cui si rischia di tracciare comunque una corrispondenza tra aumento degli alunni e aumento dei docenti precari. Già oggi nella scuola il 20% dei docenti – che corrisponde alla totalità dei supplenti neo-laureati – è costretto a vivere una lunga, lunghissima stagione di precariato senza che siano state valutate a fondo le conseguenze inevitabili della debolezza della spinta innovatrice che il dato generazionale sarebbe in grado di offrire.
Il regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti di ogni ordine e grado struttura percorsi formativi preordinati alle necessarie competenze, anche con lunghe fasi di tirocinio, proprie di una funzione docente in grado di utilizzare i linguaggi multimediali e di avvalersi di ambienti di simulazione e di laboratori virtuali e istituisce la programmazione degli accessi ai percorsi in relazione al fabbisogno delle scuole. Ma questa prospettiva di lungo termine non è accompagnata da nessuna strategia di reclutamento nel breve e anche nel medio termine, interventi invece di assoluta necessità. Vediamo allora di immaginarli.
Per approfondire:
• Il popolo dei precari, di Giuseppe Fiori
• Il popolo dei precari (2), di Gianfranco Argenio
• Il popolo dei precari (4), di Giuseppe Fiori
• VIDEO Valorizzare i precari, intervista a Giuseppe Fiori curata da Carlo Nati
Giuseppe Fiori