Il progetto “kidsINNscience” nella Scuola Montessori
La sperimentazione di una pratica innovativa in un contesto metodologico diverso dalla comune realtà scolastica.
Il progetto KIS offriva l’opportunità di sperimentare una pratica innovativa in un contesto “culturale” differente da quello originario. La scuola Montessori permetteva di creare una doppia differenza: culturale e metodologica.
L’impostazione del lavoro è stata quindi molto diversa da quelle realizzate nelle altre scuole elementari romane (S.E. Leopardi e I.C. Maccarese) proprio per la diversa metodologia.
IL PROBLEMA DI PARTENZA
La classe terza ha aderito al progetto europeo KidsINNscience accettando di adattare la pratica educativa “Posing the question why”. Il progetto proveniva dall’Austria e offriva ai bambini della scuola primaria una concreta sperimentazione.
Definito il progetto, occorreva concordare con le altre scuole le linee guida e calarlo nella realtà della scuola Montessori.
Definisco la mia scuola Montessori in due parole: è una scuola storica, dove le insegnanti conoscono il materiale e cercano di applicare il metodo rispettandone le caratteristiche principali:
• ambiente preparato;
• autonomia del bambino;
• possibilità di scegliere autonomamente il proprio lavoro e di ripetere l’esercizio quanto si vuole;
• autocorrezione, dove è possibile;
• responsabilità delle proprie azioni.
Come adeguare la proposta di sperimentazione tenendo conto delle caratteristiche della scuola?
Come inserire all’interno del metodo questa nuova proposta scientifica?
Quali risultati mi aspettavo?
Veramente ci sarebbe stata una differenza di approccio per bambini con difficoltà e tra i bambini e le bambine?
L’ESPERIENZA
Per tenere conto sia degli stimoli che il progetto voleva dare per aiutare gli alunni a porsi delle domande e sia la metodologia montessoriana ho immaginato un possibile percorso per la mia classe terza.
Attraverso la possibilità di eseguire esperimenti con la candela i bambini si ponevano delle domande, volendo rispettare l’opportunità di sperimentare in modo autonomo si creava la necessità di porre in sicurezza sia l’artefice dell’esperimento che la classe.
Prima di tutto è stato trovato un luogo apposito per realizzare gli esperimenti: un tavolo isolato con il materiale preparato e ricontrollato quasi giornalmente.
In secondo luogo ho creato una “PATENTE” (descritta nell’Allegato 1) per dare consapevolezza, non solo delle “norme” relative al fare scienza, ma anche delle norme di sicurezza, della pericolosità potenziale degli esperimenti: come per guidare occorre conoscere le norme di sicurezza e la segnaletica così per fare gli esperimenti.
Nella scuola abbiamo patenti di diverso genere: da quella del cameriere a quella per la gita. Prendere la PATENTE non è obbligatorio, ma il bambino che la esegue si assume la responsabilità di rispettarla.
Insieme al materiale vi erano le indicazioni sugli esperimenti da fare (descritti nell’Allegato 2 e Allegato 3) e che potevano essere realizzate,da soli o in coppia, solo se muniti di “PATENTE”.
L’attività ha stimolato molte osservazioni e interesse generale.
Alla fine del progetto più della metà della classe aveva la patente, più femmine che maschi.
La postazione era quasi sempre occupata e le candele dovevano essere continuamente rinnovate, come gli accendini.
LE RIFLESSIONI
L’esperienza era stata positiva: tutti i bambini avevano partecipato con impegno e responsabilità, anche i bambini con difficoltà. Io avevo scoperto e osservato elementi interessanti dei bambini e del gruppo classe.
Eppure avevo l’impressione che mancasse un confronto tra le diverse esperienze.
Pur avendo lavorato, la maggior parte di loro, in coppia, le osservazioni riportavano l’esperienza ma non riuscivano a formulare ipotesi.
Ho quindi riproposto con tutti i bambini “patentati” un esperimento fatto da tutti e raccolto le loro osservazioni: era necessario effettuare dei momenti collettivi per condividere con gli altri le proprie impressioni.
Per trovare “una domanda” e cercare la risposta occorre farlo in modo collettivo, perché questo dare voce a tutti i ragionamenti e concordare una risposta “scientifica” rinforza l’idea che tutte le osservazioni debbano essere prese in considerazione.
Altro elemento che mi ha stupito è stato la differenza di modalità di approccio tra maschi e femmine: nelle risposte, nei tempi, nell’esposizione. Più irruenti i primi, più ponderate le seconde.
Non me lo aspettavo in una scuola dove tutti spazzano, cuciono, sperimentano, costruiscono.
Questa esperienza mi ha fatto impostare in modo diverso il lavoro dell’anno successivo: forte dell’esperienza individuale con le candele, ho proposto un lavoro che, partendo sempre dall’esperienza personale, diventasse patrimonio di tutti.
Per controbilanciare le tendenze abituali ho stabilito che i segretari dei gruppi erano maschi e i portavoce dell’esperienza erano femmine.
L’ANNO SUCCESSIVO
L’osservazione mi aveva indicato la necessità di effettuare dei cambiamenti.
Ho realizzato le attività con un incontro settimanale, molto atteso forse perché era uno dei pochi, creando con loro l’ambiente. Ossia, ogni volta riorganizzavamo la classe, ognuno aveva il proprio materiale di cui era responsabile e poteva ripetere la propria esperienza più volte.
Certamente non poteva scegliere liberamente ma la possibilità di sperimentare senza avere un obiettivo chiaro (per loro) portava osservazioni e domande molto più interessanti dell’anno precedente. Dall’esperienza individuale si passava a uno scambio in coppia sulle osservazioni e poi nel gruppo.
Infine si mischiavano tutti i gruppi per poter fare, ad esempio nel paragone con altre farine, un’osservazione più ricca.
Nel complesso mi sembra di essere riuscita a coniugare il progetto e la metodologia.
L’esperienza del primo anno, anche per chi non ha preso la patente, è stata determinante per creare una modalità di lavoro, prestare attenzione all’attività, interessarsi e quindi arrivare a chiedersi: perché accade questo? Non solo sul tavolo degli esperimenti. Le differenze che avevo notato, soprattutto tra maschi e femmine, con le piccole strategie adottate si sono smussate.
Interessante e divertente è stato sia il lavoro finale di discussione tra le differenze tra solido, liquido e gassoso, sia il tentativo di rappresentare con i propri corpi gli stati della materia.
L’incontro con gli esperti ci ha fatto chiudere in bellezza e con soddisfazione.
ENGLISH ABSTRACT:
The European Project KIS, offered us the possibility to experiment an ‘innovative practice’ in a context, our classroom, different from the original one (an Austrian classroom). To propose the practice in a Montessori school allowed us to create a double difference, both cultural and methodological. Our approach to the innovation in fact has been different from the ones proposed by the other primary schools involved in the project.
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Laura Mayer