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Quali competenze

Pubblicato il: 13/09/2010 12:36:57 -


L’insegnante di una classe, il consiglio di classe, il collegio docenti, un istituto intero sono davvero capaci di leggere il mondo partendo dalla propria esperienza didattica e professionale? Se sì non è comprensibile come il sistema scolastico venga accusato di non funzionare, visto che tutti i soggetti che ho citato si autorappresentano sempre come positivi.
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In Italia esiste un problema di competenze linguistiche della popolazione, che è diventato una vera emergenza nazionale, perché tra i giovani l’assenza di competenze linguistiche taglia inevitabilmente fuori dai settori lavorativi più interessanti e remunerativi. Una parte consistente della classe docente italiana respinge il concetto di “competitività” del “Sistema Italia” nel momento in cui lo si rapporta alla scuola. Secondo questa parte, fortemente maggioritaria, la scuola italiana non deve essere “competitiva”. Già da sola questa distinzione dimostra come la competenza linguistica in Italia si sia fermata a un certo punto, perché si può essere anche d’accordo che le scuole non devono essere “competitive tra loro”, ma non si può concedere a nessuno che la competizione globale non ci riguardi e che dunque dalle nostre scuole non debbano uscire alunni competenti e competitivi. La domanda che ho posto anche qualche tempo fa su Education 2.0 è se questo avviene e se questo avviene nell’istruzione tecnica e professionale (Ricerca e sviluppo. L’Europa e la scuola italiana, 21 luglio e Sono nato pronto, 29 luglio). Ho ricevuto molte risposte, anche su Facebook, ma ritorno sull’argomento perché esiste una discriminante di base da cui partire e cioè se la scuola italiana stia funzionando oppure no.

Vivo e lavoro in Friuli Venezia Giulia e dunque potrei anche dire: “Ma perché non fate come noi?”, visti gli esiti delle rilevazioni Ocse-Pisa e Invalsi degli ultimi tempi. Non lo faccio in primo luogo perché credo che anche il Friuli Venezia Giulia possa migliorarsi e molto, ma soprattutto perché per citare le rilevazioni nazionali e internazionali bisogna perlomeno avere davanti interlocutori che le prendono sul serio. Le scuole italiane prendono sul serio le rilevazioni nazionali o internazionali? Le scuole italiane pensano di essere uno dei punti più deboli del “Sistema Italia” o pensano che l’Italia non funziona e invece la scuola sì? L’elusione di queste domande rende fragile il dibattito, anche perché la competenza linguistica serve a leggere la letteratura, ma anche la realtà e non è detto che la stessa competenza allenata a scuola possa essere utilizzata per tutto.

L’insegnante di una classe, il consiglio di classe, il collegio docenti, un istituto intero sono davvero capaci di leggere il mondo partendo dalla propria esperienza didattica e professionale? Se sì non è comprensibile come il sistema scolastico venga accusato di non funzionare, visto che tutti i soggetti che ho citato si autorappresentano sempre come positivi. Se la risposta è invece “no” allora bisogna modificare in fretta il meccanismo di certificazione e sviluppo delle nostre competenze per far sì che queste portino a una maggiore competitività dei nostri ragazzi. Credo che in questo momento in Italia sia difficilissimo ragionare sulla scuola perché si scambia la quantità con la qualità. La logica dell’attuale Governo è quella dei tagli e si dà per scontato che dietro ai tagli non ci sia una politica scolastica ben precisa. Chi si lamenta dei tagli e del loro esito negativo sulla scuola non accetta però di soffermarsi a spiegare perché la scuola senza tagli abbia dato esiti così disastrosi. Anche se credo che una fetta fortemente maggioritaria di docenti ancora oggi direbbe che la scuola funziona, basterebbe lasciarla fare da sola. D’altronde non si sente sempre parlare di “riforme necessarie, ma non queste”, di “decisioni prese sulla pelle dei lavoratori, che non sono stati nemmeno ascoltati”? In realtà i docenti hanno sempre e solo detto “no” a qualsiasi cambiamento non estensivo, col risultato che le scuole più deboli e con maggiore dispersione (Istituti tecnici e professionali) erano anche quelle col tempo scuola più lungo, soluzione sconsigliata da tutti i pedagogisti e da tutti gli analisti internazionali. Anche qui però bisogna fare un’altra domanda: i pedagogisti e gli analisti internazionali ci capiscono qualcosa o nessuno può sapere più di quanto sanno i nostri docenti?

All’estero analizzano e c’è dibattito sulle rilevazioni Ocse-Pisa, noi le contestiamo. Dunque forse ho torto io a dire che la Riforma Gelmini non mi piace, ma è meglio del nulla che la circonda. Forse è meglio non toccare nulla, andare in bancarotta e non occuparci della competitività dei nostri figli. Però tutto questo sarà importante farlo senza di me.

Stefano Stefanel

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