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Un po’ di chiarezza sull’obbligo di istruzione e la scuola “media”

Pubblicato il: 01/07/2010 12:46:00 -


Maurizio Tiriticco interviene in risposta all’articolo in Community di Anna Tassinari “Europa, Italia, obbligo scolastico: e la scuola ‘media’?”.
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Anna Tassinari interviene in modo compiuto, intelligente e informato sulla questione del nodo irrisolto della scuola media e sulle prospettive che si aprono per l’obbligo di istruzione. Che non è obbligo scolastico! A mio avviso, occorrono, però, alcune puntualizzazioni. (Si veda l’articolo citato: “Europa, Italia, obbligo scolastico: e la scuola ‘media’?”.

È grave il fatto che, a molti anni di distanza, sia “capitato” ad Anna di leggere due documenti fondamentali – o che tali dovrebbero essere – ai fini di una innovazione importante per il nostro sistema di istruzione, quale l’innalzamento dell’obbligo di istruzione da otto a dieci anni: la Raccomandazione europea del 18 dicembre 2006 e il nostro dm 139/07. So che Anna non ne ha alcuna colpa, impegnata com’è in una scuola media sempre più defatigante sia per gli insegnanti che per gli alunni. Anna nota puntualmente che, “a conclusione del primo ciclo, che in realtà non chiude un percorso di studi, rimane l’esame di licenza, attualmente il primo esame a cui si sottopongono gli alunni, eccessivamente gravoso, con sei prove scritte e una orale”. E aggiungo, io, in una scuola sempre meno significativa ai fini di quell’innalzamento che a tutt’oggi non è entrato a regime. La responsabilità è di una linea politica che, in materia di obbligo di istruzione, ha sempre remato contro. Basti ricordare che l’obbligo ormai “si può assolvere anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale” regionale (si veda la legge 133/08, art. 64, c. 4 bis) e che una recente proposta, ancora non definitiva, consente agli alunni di lasciare gli studi al compimento del 15° anno di età per passare all’apprendistato (si tratta del comma 8 del Disegno di legge N. 1167-B/bis, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica con messaggio motivato in data 31 marzo 2010 per una nuova deliberazione).

Ciò significa che la nostra amministrazione non si è mai fatta carico di comunicare con convinzione ed energia alle scuole l’innovazione, lasciando che questa “capitasse” per caso a qualche insegnante sollecito a navigare sul web. Inoltre, la mia diretta esperienza mi dice che solo una percentuale bassissima degli insegnanti dei bienni è a conoscenza dell’innovazione in atto! Che di fatto sembra essere una innovazione fantasma! Comunque, pare che l’amministrazione si sia data recentemente una mossa, per cui, stando al recente dm 9/10, che Anna dovrebbe acquisire, la certificazione delle competenze conclusive dell’obbligo di istruzione decennale dovranno essere certificate obbligatoriamente – mi si scusi il bisticcio – da parte degli istituti secondari a partire dal giugno 2011.

Anna procede poi a un’analisi comparata tra le competenze chiave per l’apprendimento permanente, di cui alla Raccomandazione del 18 dicembre 2006, e le competenze di cui ai quattro assi culturali, che costituiscono l’allegato 1 del dm 139/07. E qui cade in errore. Le ragioni sono le seguenti.
a) I quattro assi culturali costituiscono un apporto originale italiano, che si riferisce alle materie di studio nei nostri attuali bienni; l’aggregare attorno a quattro assi le competenze relative a più materie intende assicurare “l’equivalenza formativa di tutti i percorsi” (dm 139/07, art. 2, c2). In altre parole, tutti gli studenti, del classico, dello scientifico e del professionale, sono tenuti a raggiungere le medesime competenze culturali che garantiscano loro di avere assolto l’obbligo di istruzione in ordine a contenuti pluridisciplinari comuni.
b) Le “competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria”, di cui all’allegato 2 del dm 139/07, sono un’altra cosa. Riguardano, appunto l’area dell’esercizio della cosiddetta cittadinanza attiva, esercizio che interessa tutti i cittadini dell’Unione europea per quanto riguarda il mondo del lavoro, degli studi ulteriori, della circolazione nei Paesi stessi membri dell’Unione. È ovvio che le discipline ne costituiscono uno dei fondamenti, ma ciò non giustifica affatto la ricerca di un parallelismo tra assi e competenze chiave.

Le competenze di cittadinanza, di cui al citato allegato 2, sono otto, come otto sono le competenze di cittadinanza indicate dalla Raccomandazione europea. Va però sottolineato che le competenze di cittadinanza italiane costituiscono una curvatura operata sulla nostra realtà culturale e civile rispetto alle competenze indicate dalla Raccomandazione europea, redatte come un “quadro di riferimento” proprio perché ciascun Paese faccia quegli aggiustamenti che ritiene opportuni in ordine alle proprie peculiarità culturali e sociali. Quindi, semmai, l’analisi comparata andrebbe effettuata tra le competenze di cittadinanza europee e quelle di cittadinanza italiana. Anna, quindi, conduce un’analisi che ha un vizio di origine.

Occorre ricordare ad Anna che la curvatura effettuata delle otto competenze di cittadinanza in chiave italiana assume un preciso significato nell’epigrafe che le introduce. Testualmente leggiamo che “l’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella ?costruzione del sé?, di corrette e significative ?relazioni con gli altri? e di una ?positiva interazione con la realtà naturale e sociale?” (indicazioni mie). Di fatto vengono individuati i tre vettori che caratterizzano una persona in quanto ?essere?, quindi identità personale, l’?essere con gli altri?, quindi interazione a livello interpersonale, sociale, sul lavoro, il ?saper fare?, quindi sapersi commisurare con la realtà naturale e sociale, di fatto con il lavoro che si esercita. Per essere più precisi, i tre vettori rimandano alla persona in quanto tale al Sé (io sono), alla persona nei confronti dell’altro (io comunico, io coopero), e infine alla persona nei confronti degli oggetti e degli eventi (io faccio).

I tre vettori possono anche essere ricondotti a un assunto del Regolamento delle istituzioni scolastiche, laddove, all’articolo 1, c. 2, si dice tra l’altro che “l’autonomia delle istituzioni scolastiche… si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, istruzione e formazione, mirati allo sviluppo della persona umana… al fine di garantire ai soggetti coinvolti il successo formativo”. Il nostro compito di docenti, quindi, non è solo quello di istruire (insegnare quelle discipline di base e poi specialistiche che garantiscano l’accesso al mondo della cultura e del lavoro), ma anche quello di educare (promuovere quella crescita civile che permetta al soggetto di diventare un “buon cittadino”) e di formare (favorire lo sviluppo della persona in quanto Sé stesso, con le sue peculiarità, le sue caratteristiche, i suoi tratti specifici).

Alla luce di tutte queste considerazioni, la lettura corretta che deve farsi delle competenze di cittadinanza, versione italiana, è la seguente:
• il Sé, imparare ad imparare, progettare;
• il Sé e l’Altro, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile;
• il Sé e le Cose, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare l’informazione.

Tutto quanto ho scritto finora è in parte reperibile nel documento tecnico che accompagna il dm 139/07, in parte nella relazione prodotta dal Gruppo di lavoro sull’obbligo istituto dal Ministro Fioroni, di cui ho fatto parte.

Anna poi dovrà accedere al citato dm 9/10 con cui si vara il modello di certificazione che le scuole dovranno adottare a partire dal giugno 2011. In tale modello, le competenze chiave di cittadinanza, che avrebbero dovuto costituire la parte più significativa dell’intera operazione innalzamento dell’obbligo di istruzione, in quanto allineano i nostri studenti con i giovani europei, di fatto scompaiono (sono citate solo in una nota che nessuno leggerà!) e vengono certificate solo le competenze relative agli assi culturali: un rovesciamento che non era nelle intenzioni né nelle scelte adottate dal citato Gruppo di lavoro! Forse il Miur teme che le nostre scuole e i nostri insegnanti non siano in grado di certificare competenze di cittadinanza, ma solo quelle che rinvino a contenuti disciplinari, pur aggregati in quattro assi? Di questa scelta il Miur non dà alcuna giustificazione! Ne consegue: perché si dovrebbe insegnare/apprendere in vista dell’acquisizione di competenze di cittadinanza, quando queste non verranno né accertate né certificate? E a che serve avere introdotto la nuova disciplina Cittadinanza e Costituzione, quando dei suoi effetti educativi non si deve rendere alcun conto? A questi interrogativi verrà mai data una risposta?

Maurizio Tiriticco

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