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La grande malattia. Dall’inclusione all’isolazione

Pubblicato il: 28/09/2022 04:58:19 -


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Nel 2000 gli studenti  con disabilità erano 124.155, l’ 1.65% . Nel 2020 , vent’anni dopo,  277.427, il 4%  . Oggi  sono quasi 297.000, il 5% . Non solo:  la condizione di gravità   (art. 3 comma 3 della Legge 104/92) raddoppia:  dal 18% del 2.000 al 37% del 2020.  Nel 2000 i docenti di sostegno erano  60.000, oggi sono  185.000. Gli assistenti-educatori gestiti dalle cooperative locali sono passati da 4.000 agli attuali 67.000.  Nel 2.000   i posti di sostegno erano il 7% del docenti,  oggi il 27%. Docenti sostegno e assistenti si distribuiscono tra gli alunni nella misura  di 1 ogni 1,09, nel 2.000 erano 1 ogni 2,3.   Ricordiamo che tutto questo avviene in presenza di  un calo demografico poderoso via via in aumento. E’ in corso una nuova grande malattia?  

Tutto questo avviene nonostante si  cerchi  di contenere le certificazioni con restrizioni  di controllo INPS, fino alla Legge 170 del 2010 sui DSA, che avrebbe dovuto ridurre le  certificazioni.

Le ragioni dell’esplosione iatrogena

Qualcuno sostiene che l’ aumento di certificazioni sia dato da una migliore capacità diagnostica e a una più “accurata” attenzione ai bambini.  Una specie di “progresso” o un’esplosione iatrogena? Questa diagnostica  enfatizza i  singoli sintomi, la cui somma dà un’etichetta clinica. Da qui  il proporre “tecniche riabilitative” centrate solo sui sintomi, perdendo  la persona e il suo contesto. E dunque mettendo in crisi la tradizione pedagogica inclusiva olistica che parte invece dai “potenziali” come strumenti di sviluppo. 

Altri studiosi, cui io appartengo,  sostengono invece che è avvenuto un processo  ambiguo di tendenza all’apologia della salute perfetta. Non solo salute come assenza di malattia, ma la perfezione umana, tra cui l’autostima narcisistica,  paradigma del trionfo dell’individualismo.  

Ma c’è di più: la ricerca dell’eziologia sull’umano soffrire cerca soprattutto nella genetica le ragioni del bene e del male. Un’antropologia che riduce l’io a combinazioni  proteiche. 

Accompagna questo sviluppo della scienza una miriade di tecniche terapeutiche,  di carattere prevalentemente behavioriste, centrate sulla “cura del sintomo” (dimenticando gli eventuali potenziali) con tecniche fortemente direttive, che entrano clamorosamente in conflitto con la pedagogia attivistica inclusiva, che parte dalla persona, dai suoi potenziali e desideri,  e dalla socialità come strumento di sviluppo.

Se ci sono così tanti ragazzi certificati ci sono altrettanti genitori che hanno chiesto una diagnosi. E qui c’è  una  vera mutazione antropologica.  Forse non è un caso che l’aumento delle certificazioni è inversamente proporzionale al calo demografico e direttamente proporzionale all’aumento di età delle primipare. Meno  bambini, nati da madri adulte. Come spiegare questa correlazione?  Se facciamo meno figli, ad età più avanzata, vuol dire che c’è un’ intensa attesa di un figlio che abbia  perfezione anche come orgoglio genitoriale?  Se la perfezione non c’è… allora nasce l’ansia  clinica a trovare un perché. Da qui la rincorsa ansiosa al dottore, alla diagnosi, alle cure. 

La tendenza alla certificazione sembra innalzare l’asticella della perfezione, e giustifica una crescita imperfetta del figlio nella speranza che sia di natura “clinica” e non per la cattiva genitorialità. Sgorgano due desideri con la domanda di cura: il poter dire non è colpa mia come genitore, e l’altra di protezione verso la scuola  dicendosi “meglio un po’ malato che bocciato”. Altrettanto accade agli insegnanti: la diagnosi assolve gli insegnanti dell’errore didattico e abbassa le attese verso l’alunno, la cui zona prossimale di sviluppo  viene abbassata pensando di fargli del bene.

La medicalizzazione della scuola

Nel 1977 la parola “sostegno” descriveva un’attività diffusa tra tutti i docenti della classe.  

L’esperienza fattuale confuta oggi questa idea:  il sostegno è il posto (non un’attività diffusa)  di un insegnante  titolare totale  di un  alunno con disabilità. Poi vengono anche i curricolari (se  hanno sensibilità). Il docente di sostegno è diventato l’architrave dell’inclusione. Assieme all’assistente -educatore sono considerati essenziali per fare quella orrenda cosa chiamata copertura.

Ma c’è di più:  si chiede al docente di sostegno di essere specialista di  tecniche, insomma levarsi il grembiule e mettersi il camice.  L’isolazione spacciata per inclusione.

L’inclusione è diventata, infine,  negli anni  sempre più un guazzabuglio di norme e commi.  Molti sono effetto di una burocratica pedagogia difensiva, a fronte dei tanti ricorsi ai tribunali . Ormai l’inclusione pare cosa da burocrati,  spesso a scuola ci si chiede dove sia la norma che preveda una certa cosa, piuttosto che chiedersi se quella cosa serve davvero. Altro che autonomia pedagogica: c’è sempre un avvocato in agguato. 

 

Raffaele Iosa Maestro, direttore didattico e ispettore scolastico. Ha fatto parte del gruppo che ha scritto il Regolamento dell'autonomia nel 1998 e ha coordinato, dal 1999 al 2001, l'Osservatorio nazionale handicap per il Ministero della pubblica amministrazione. Coordina le iniziative culturali e politiche per i 40 anni di Lettera a una professoressa di Don Milani.

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