Nuovi asili nido, qual è la domanda sociale? Uno studio a Torino
Con il PNRR si fa un importante investimento sulla moltiplicazione dell’offerta di asili nido. Il gap italiano in Europa è vistoso, non si misura solo con il divario tra uno scarso 35% di bambini accolti nei nostri servizi educativi per la prima infanzia e il 37,5% della media UE. A colpire è piuttosto il confronto con paesi come Spagna e Francia che sono sopra il 50%, o con Olanda e Danimarca che viaggiano oltre il 70%. Non è solo un ritardo, il nostro, ma l’effetto di un mix di persistenti arretratezze educative, culturali, sociali. Nonostante le eccellenze ( mai dimenticare Reggio Emilia e la brillante scuola pedagogica cui ha dato vita ), abbiamo avuto finora politiche educative per la prima infanzia inadeguate, spesso avare e miopi, e soprattutto molto diseguali sia tra Centro-Nord e Sud-Isole che tra centri urbani, periferie, aree interne. Tanta povertà educativa si è generata qui, nella sottovalutazione dell’importanza di questo comparto dell’educazione pre-scolastica. Ma non si può ignorare il peso negativo di una domanda sociale molto articolata, segnata in diverse realtà da visioni e condizioni antiche del ruolo delle donne nel lavoro, nella famiglia, nello spazio pubblico. E’ per questo, perché il bisogno non si traduce sempre in voce capace di farsi ascoltare, che la giusta strategia di sviluppo dell’offerta di asili nido dovrebbe essere accompagnata da azioni di promozione, esplicitazione, evoluzione della domanda. E’ questo che si sta facendo nei luoghi dove si stanno allestendo nuove strutture, in particolare in quelli dove finora non ce ne sono state? Come si informa, si argomenta, si dialoga con le famiglie e nelle comunità sul significato e sul valore dell’educazione prescolastica ? Gli asili nido sono interpretati come servizi per le mamme che lavorano fuori casa o come un’opportunità di crescita migliore per tutti i bambini, indipendentemente dalle possibilità di accudimento H24 in ambito domestico?
I risultati dello studio
Sul rapporto tra offerta e domanda educativa, un tema classico in tutti i casi – come sono appunto i nidi e le scuole dell’infanzia – in cui il diritto non si presenta avvolto nel rassicurante involucro universalistico dell’obbligo, è tornata recentemente una ricerca condotta a Torino[1], una realtà già ben fornita di servizi educativi pubblici per la prima infanzia, che dovrebbero essere noti alla popolazione potenzialmente interessata. A svolgerla è stato il Collegio Carlo Alberto in collaborazione con la Città di Torino che, analizzando i dati contenuti nelle quasi 7.000 domande di iscrizione alle scuole per l’infanzia, tra cui la frequenza o non frequenza pregressa dell’asilo nido, hanno individuato le caratteristiche delle famiglie associate a una maggiore o minore probabilità di utilizzarlo. A questa prima analisi si è aggiunta la somministrazione di un questionario a un campione rappresentativo delle famiglie “del No al nido” – il 60% di quelle che nel 2020 hanno iscritto i bambini alle scuole dell’infanzia – per approfondirne i motivi. I risultati restituiscono un quadro screziato da numerose differenze oggettive e soggettive, materiali e culturali, che determinano nelle famiglie diverse propensioni all’utilizzo degli asili nido.
Tra i fattori più problematici e più noti, perché già rilevati da studi nazionali come quelli dell’ISTAT a proposito della partecipazione alle scuole dell’infanzia dei bambini con background migratorio ( il loro tasso di partecipazione è inferiore del 25% a quello degli italiani-doc ), c’è la nazionalità’. Attenzione, non il solo essere “stranieri”, ma la provenienza da aree del mondo in cui ci sono sistemi e culture educative diverse da quelle europee, e diverse idee di cosa sono e devono fare le donne. Ma anche lì non è tutto eguale. La propensione ad usufruire dell’asilo nido è più bassa di ben 26,5 punti percentuali quando entrambi i genitori sono di provenienza asiatica, di 7,5 punti quando sono di provenienza africana, ma sono viceversa superiori di più di 5 punti quando provengono dall’Europa dell’Est, mentre non ci sono specificità significative in altri casi. In altre indagini, come quelle di ISMU, si è andati più a fondo, analizzando altre specifiche importanti come i tempi dell’insediamento familiare in Italia, la religione, l’essere nati o no in Italia dei bambini, la presenza di fratelli o sorelle già scolarizzati, l’occupazione o no delle madri, il livello di conoscenza della lingua italiana dei genitori.
Relativamente indipendenti dalla nazionalità, ci sono i fattori associati alla composizione e alla dimensione del nucleo familiare. La propensione ad utilizzare i nidi è molto minore ( – 26% ), infatti, se del nucleo familiare fanno parte altri adulti oltre i genitori, il che vale anche se ci sono più minori tra i 10 e i 18 anni, mentre sembra non avere peso la presenza di più minori sotto i 10 anni. E’ interessante che la propensione sia invece maggiore nei nuclei familiari composti dalla sola madre, mentre non succede se il nucleo familiare è composto dal solo padre.
Un fattore di assoluta centralità resta l’occupazione delle madri. Con madri disoccupate o inattive la propensione ad utilizzare il nido risulta essere più bassa rispettivamente di 27 e di 11 punti. Diminuisce anche con padri disoccupati e inattivi, ma con un peso molto minore. Su questo punto è evidente la grande differenza tra la domanda di asilo nido e quella della scuola per l’infanzia che, sebbene anch’essa non appartenente al ciclo educativo obbligatorio, si è via via affermata come un’opportunità educativa pressoché irrinunciabile per i bambini tra i 3 ai 5 anni, anche se le madri non sono occupate. Ma è stato un processo lungo, favorito da una diffusione dell’offerta molto più rapida ed omogenea di quella dei nidi, dalla gratuità delle scuole pubbliche statali e comunali, da un’età dei bambini che richiede un accudimento di tipo diverso da quello richiesto dai più piccoli. Ancora oggi, però, non siamo arrivati a una partecipazione del 100% rispetto alla popolazione in età. E’ significativo, comunque, il ruolo giocato da un’offerta educativa che sia presente in modo capillare. L’indagine di Torino, che tiene conto dell’articolazione territoriale dell’offerta di nidi pubblici, conferma che la propensione ad utilizzarli è molto più alta nelle zone che ne sono meglio dotate.
L’asilo nido questo sconosciuto
Interessanti approfondimenti vengono dalla parte qualitativa dell’indagine, cioè dalle risposte al questionario somministrato a un campione di famiglie che non hanno usufruito del nido. Non sono state rilevate contrarietà derivanti da valutazioni negative dei servizi che vengono anzi nel 60% dei casi genericamente apprezzati, Ma risulta evidente che la maggior parte delle “famiglie del No” , soprattutto se straniere, ne ha una scarsissima conoscenza. Solo una quota ristrettissima ha cercato informazioni o ne ha visitato qualcuno, solo il 31% conosce l’ubicazione o la denominazione di nidi presenti nella zona di abitazione, l’82% delle famiglie italiane e il 44% di quelle straniere dichiara di non essersene occupato perché sapeva già cosa sono i nidi, il 4% delle prime e il 26% delle seconde dice di non averlo fatto perché non ne aveva bisogno. Ma il 19% delle straniere allude a difficoltà linguistiche e il 7% di tutte riferisce non essere riuscite a prendere un qualche contatto. La scarsa conoscenza riguarda anche i costi delle tariffe. Sebbene molti dicano che i costi sono un impedimento, solo 1 su 5 degli intervistati ha un’idea precisa di quanto avrebbe dovuto pagare, mentre il 52% degli italiani e il 90% degli stranieri non sa niente né delle riduzioni previste per i redditi bassi né dei bonus asilo. C’è però una negatività piuttosto diffusa, cioè il timore che i bambini che vanno al nido si ammalino molto di più. Si aggiunge (Il 30% degli italiani e il 22% degli stranieri) che il nido è stato sconsigliato dai pediatri.
Alla domanda “da chi sono stati accuditi i bambini che non sono andati al nido”, due terzi degli intervistati rispondono dalla madre, un quinto da entrambi i genitori, il 12% dai nonni. Anche qui si conferma che la grande maggioranza delle mamme che hanno accudito i bambini sono non occupate (77% ), delle altre solo il 7% ha avuto una riduzione di orario. Le rinunce al lavoro sono state il 2%. Il tema dell’occupazione o della non occupazione femminile pesa come un macigno. Ma pesa anche l’idea che le due scelte – mandare il bambino al nido o tenerlo a casa – si equivalgano, la pensa così il 47% dei genitori italiani e il 64% degli stranieri. Non basta, si direbbe, allestire nuove strutture.
[1] La non frequenza dell’asilo nido : caratteristiche e motivazioni delle famiglie torinesi (2024), in www.ufficiopio.it
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l'Integrazione degli alunni stranieri