Due lezioni di Alberto Manzi sulla didattica a distanza
Il presente articolo è parte dello studio: La didattica e la distanza, ricordando Alberto Manzi A cura di Tania Convertini e Roberto Farné
Chiamare in gioco le nostre guide intellettuali per aiutarci a risolvere le sfide che incontriamo e rispondere alle domande pressanti del momento è un esercizio che ha una sua utilità. Ci permette di attingere alla loro saggezza e al loro pensiero critico. Alberto Manzi, grazie ai valori umanistici di riferimento che hanno sostenuto la sua pedagogia per tutto il corso della sua carriera, può essere considerato a pieno diritto una di queste guide. Per questo motivo siamo in molti a chiederci cosa avrebbe pensato il Maestro della didattica a distanza e quali delle sue tante lezioni potrebbero esserci utili oggi. Dalla lezione sul dialogo che condivide le linee guida con il suo contemporaneo Paulo Freire a quella sulla responsabilità che affida ai discenti il ruolo di agenti nel costruire il loro percorso di apprendimento, sono molte le lezioni che meriterebbero di essere discusse. Qui di seguito, tuttavia, ne discuterò due che trovo particolarmente rilevanti e che spero potranno ispirarci in questo momento emergenziale di molteplici sfide: le lezioni sull’accesso e sulla curiosità.
Accesso
Ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione, dalla sua provenienza e dai suoi mezzi, ha, secondo Manzi, diritto all’istruzione. Il suo impegno civile, umano e pedagogico nella lotta contro l’analfabetismo in Italia e in Sud America parla chiaramente dei valori che hanno sostenuto la sua linea educativa sempre all’insegna di giustizia e uguaglianza. Non è mai troppo tardi, che molti di noi ricordano, si rivolgeva, infatti, proprio ai più deboli, agli emarginati dalla società, a coloro che, per ragioni diverse, erano sfuggiti alle maglie all’istruzione istituzionale.
Nel pensare oggi all’idea di accesso durante l’emergenza dettata dal COVID-19 non possiamo non considerare che collegarsi in remoto alla scuola da ‘casa’ significa cose diverse per studenti diversi. Talvolta prende la forma della tranquillità di spazi privilegiati in cui lavorare; altre volte significa invece un WIFI insufficiente e tre o quattro fratellini da accudire. È così che il divario digitale mette in evidenza il divario sociale mettendoci di fronte alla sfida dell’ineguaglianza, con tutte le responsabilità etico-educative che ne conseguono. Qual è allora il nostro ruolo di educatori? Quali strategie dobbiamo mettere in atto perché, nei limiti dettati dall’emergenza e dalla ripartenza, l’accesso sia garantito a tutti?
L’intervento del programma Non è mai troppo tardi non si limitava alle sole trasmissioni televisive ma metteva in atto un ben più complesso sistema di risorse, strumenti e materiali atti a raggiungere il più alto numero possibile di persone (punti di ascolto, eserciziari, insegnanti e apparecchi televisivi inviati in loco). Allo stesso modo, oggi dobbiamo pensare a una molteplicità di interventi che usino la tecnologia digitale come punto di contatto e non come punto di arrivo. Possiamo ipotizzare soluzioni e idee che coinvolgano esperienze vive e reali, dalla scrittura di lettere che fisicamente raggiungano i destinatari, al disegno, all’impasto, alla coltivazione di un piccolo orto, alla creazione di oggetti. Una semplice telefonata o la vecchia radio, o persino un megafono, come nella bell’idea di scuola di comunità raccontata dalle voci dei bambini e condotta dalle maestre di Rimini e Alessandra Falconi[1], possono aiutare a riallineare la distanza con l’esperienza. Se il collegamento digitale è un contatto, un punto di accesso da cui si dipanano esperienze e opportunità, il suo ruolo cambia e può essere ripensato attraverso nuove modalità
Le problematiche legate all’accesso devono oggi tenere conto di variabili che includono non solo il traffico dati, la disponibilità di dispositivi, le condizioni ideali di collegamento, ma anche cosa significhi per esempio la didattica a distanza per gli alunni con disabilità visive o uditive, in che modo tutti, ma proprio tutti, possono beneficiare delle risorse. Continuiamo a chiederci dunque che cosa voglia dire oggi accesso per i nostri alunni e che cosa abbiamo il diritto (e il dovere) di chiedere e di offrire come educatori in questo nuovo contesto in costante evoluzione. Forse, per il solo fatto che ci stiamo ponendo la domanda, saremo un po’ più preparati a proporre delle soluzioni adeguate.
Curiosità
Quella sulla curiosità è un’altra lezione importante che possiamo imparare da Alberto Manzi, il quale ben sapeva come stimolarla nei suoi alunni. Tutto l’insegnamento proposto dal maestro, nella classe come in televisione, era fortemente ancorato all’idea di apprendimento collaborativo attraverso la stimolazione dell’interesse, in linea con le lezioni di Jerome Bruner che inserisce la curiosità tra le motivazioni intrinseche all’apprendimento[2]. Che si trattasse di indovinare la forma di un oggetto appena abbozzato dai tratti di un disegno, di porsi domande sul perché, quando e come i fenomeni si manifestano, di procedere nelle proprie esplorazioni come scienziati non fermandosi mai alla prima risposta, o di costruire il filo di una narrazione intessendo luoghi e fatti ancora da venire, gli alunni del maestro Manzi avevano il privilegio di poter giocare con domande, motivazioni e interrogativi profondi e significativi.
Se la lezione sulla curiosità è sempre fondamentale, lo è particolarmente quando la distanza fisica dai nostri alunni ci sottrae l’immediatezza della comunicazione. Attraverso la curiosità e la spinta alla scoperta, la didattica a distanza può rivelarsi strumento fondamentale di sviluppo del senso critico nell’uso dei mezzi digitali che la veicolano. La capacità di porsi domande, non dare per scontato ciò che lo schermo propone, può offrire l’opportunità di promuovere l’auspicata educazione digitale aiutando i nostri alunni, indipendentemente dalla loro età e dal grado d’istruzione, a sviluppare le abilità necessarie nel ventunesimo secolo: pensiero critico, curiosità, iniziativa, ma anche consapevolezza sociale. Essere curiosi davanti a un computer diventa così sinonimo della capacità di non fermarsi alle verità apparenti da cui siamo circondati, imparando così ad andare a caccia dei fatti dovunque essi si trovino.
Le lezioni sull’accesso e sulla curiosità ci riconducono entrambe all’idea di cittadinanza attiva. Se la prima ci fa riflettere sulle responsabilità e le sensibilità che è necessario sviluppare nell’ottica dell’equità e dell’inclusione, la seconda ci offre strumenti e soluzioni che possono aiutarci in questo percorso. Siamo cittadini attivi, ed educhiamo cittadini attivi quando sappiamo innescare nuovi interessi, desiderio di conoscere e di andare oltre, nell’aula scolastica e al di fuori di essa.
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[1] Con Gugù la scuola di comunità a Rimini si fa dal megafono, nel segno di Alberto Manzi. Il Mattino. https://www.ilmattino.it/cultura/periferie/con_gugu_la_scuola_di_comunita_rimini_si_fa_megafono_segno_di_alberto_manzi-5191641.html. 12 Giugno, 2020
[2] “Fin quando sarà possibile fare affidamento su questa importante motivazione umana, che si presenta come la più efficace e più sicura di tutte, sembra ovvio che la nostra istruzione artificiale possa essere resa meno artificiale, dal punto di vista delle motivazioni, impostandola in un primo tempo su forme più superficiali della curiosità e dell’attenzione e, successivamente, portando la curiosità a una espressione più sottile e più attiva”. Bruner, Jerome S, d’Arcais G. B. Flores, and P. Massimi. Verso Una Teoria Dell’istruzione. Roma: Armando Editore, 1999. Print. p. 187
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Tania Convertini, Dartmouth College