Conoscenza, apprendimento, educazione ai tempi della crisi
“Conoscenza, apprendimento, educazione ai tempi della crisi” è la cornice all’interno della quale “Scuola Democratica” iscrive i contributi raccolti in tre “special issues” che, dal secondo numero del 2013 (maggio-agosto), affrontano e affronteranno questo tema drammaticamente attuale. Recensione a cura della redazione di Education 2.0.
Il primo speciale della serie (n. 2/2013, il Mulino), appena uscito, intitolato “Education, occupazione e crescita” (guest editor l’economista dell’istruzione D. Checchi-Università statale di Milano), apre sintetizzando e collocando in questa prospettiva la tematizzazione proposta dalle diverse riflessioni presentate. La struttura del volume è quella ormai consolidata: sezioni che raccolgono saggi e commenti, dibattiti, interviste, punti di vista, approfondimenti e recensioni.
Il primo dei saggi (E. Reyneri e F. Pintaldi) articola la risposta alla domanda “Proseguire gli studi conviene ancora?”, documentandola con un ampio e aggiornato riferimento ai dati statistici. Se è vero che, anche in Italia, il possesso di un titolo di studio universitario ancora oggi – anzi un po’ più oggi che prima della crisi – riduce il rischio di disoccupazione, ciò avviene in misura nettamente inferiore rispetto agli altri paesi europei, benché l’offerta di laureati sia da noi particolarmente bassa.
Questa situazione paradossale avviene a causa della scarsa domanda, da parte del sistema produttivo, di lavoro altamente qualificato. L’Italia è forse l’unico paese europeo in cui le professioni intellettuali e tecniche stanno diminuendo, mentre quelle elementari sono aumentate.
Il tema è ripreso da altri due saggi.
Quello di V. Mariani, P. Montanaro e M. Paccagnella che arricchisce l’analisi e la riflessione sul “declino recente delle immatricolazioni” nell’università italiana, un andamento peculiare nel panorama internazionale e in contrasto con la teoria dell’incremento delle iscrizioni nelle fasi di contrazione delle opportunità occupazionali per i giovani laureati.
Quello di F.E. Caroleo e F. Pastore offre un’accurata descrizione delle caratteristiche dell’“overeducation” e dell’“overskilling” in Italia, letta come effetto non solo della bassa domanda di personale istruito, ma anche del “mismatch” qualitativo tra formazione e lavoro.
I due saggi che chiudono la prima sezione ricostruiscono contesti territoriali e responsabilità politiche di diverso peso: “Istruzione e qualità dell’occupazione in Sicilia: sprechi di capitale umano fra vincoli strutturali e irresponsabilità pubbliche” (M. Avola e A.M. Cortese) presenta un’interpretazione dei fenomeni di spreco del capitale umano opposta a quella caratterizzata da uno “strabismo dell’offerta” che sovrastima il ruolo della flessibilità del lavoro e della formazione professionale.
Il saggio di F. Corradi “Fachhochschulen: lo stato della questione oggi” è l’intervista ad H.P. Blossfeld sul sistema duale, puntando l’obiettivo su due architravi del cosiddetto modello tedesco e sulla loro asserita trasferibilità, giungendo a conclusioni più positive nel primo caso, meno nel secondo. L’intervistato mette in luce, opportunamente, due fatti:
1. le differenze dei contesti la fanno i sistemi produttivi e il mercato del lavoro e non viceversa;
2. il sistema duale tedesco si dimostra molto più selettivo di quanto normalmente si creda, tanto che talora finisce per escludere proprio i destinatari di questa specifica offerta formativa.
Gli “Scenari internazionali” s’interrogano sul domani: “Uno sguardo oltre il 2015: in vista di nuovi obiettivi del millennium per l’istruzione” (P. Cipollone) delinea un bilancio non confortante della lotta alla mancata scolarizzazione (almeno quella primaria) delle generazioni più giovani nei paesi più poveri, ed evidenzia il fatto che, a un incremento quantitativo dell’ingresso a scuola di ragazzi e ragazze, non sempre è corrisposta un’acquisizione qualitativamente significativa di competenze.
Interessante è l’intervista, al Commissario europeo Androulla Vassilliou, sul recente rapporto strategico “Rethinking Education”, in cui si esaminano i risultati delle strategie europee a sostegno degli investimenti in formazione dei propri cittadini nell’attuale contesto di crisi; si constata la riduzione, in alcuni paesi, degli investimenti pubblici sull’istruzione e lo slittamento degli obiettivi – da Lisbona 2010 al 2020 – dato indicativo sul rallentamento nella tensione verso il raggiungimento di alcuni fondamentali traguardi comuni.
La sezione “Education, innovazione e sviluppo locale” problematizza “il rapporto tra economie della conoscenza e logiche manageriali legate a investimenti e profitti” (Ennio Pattarin).
Il contributo di C. Gentili, “Integrare filiere formative e filiere produttive per lo sviluppo del paese”, pone la questione del gap, tutto italiano, tra logica ispiratrice del sistema formativo e logica di sviluppo del sistema produttivo; richiama la vocazione manifatturiera del nostro paese e ripropone l’esigenza d’investimenti in formazione tecnica e professionale, offrendo agli ITS di nuova generazione un generoso credito.
Nella stessa logica, di apertura di credito verso esperienze vecchie e nuove che sicuramente meritano di essere valorizzate, si muovono i testi di A. Geuna e F. Rossi (“Le relazioni tra università e imprese in Piemonte: i canali e le motivazioni del trasferimento tecnologico regionale”) e di L. Burroni e A. Gherardini (“Università e sviluppo nella Terza Italia: il caso della Toscana”); conclude la sezione M. Arlotti (“Le iniziative di raccordo scuola – lavoro nelle Marche”) che legge in modo critico la collaborazione tra imprese e sistema scolastico, in riferimento a due esperienze formative relative all’alternanza scuola-lavoro e alla creazione degli IFTS, in un distretto industriale con declinante capacita d’innovazione.
“Scuola, concorrenza, regolazione” sono gli argomenti del dibattitto che vede tre interventi sulla proposta, fatta nel libro di A. Ichino e G. Tabellini, “Liberiamo la scuola” (edizioni Corriere della Sera) che trae ispirazione dall’esperienza americana delle “Charter Schools” e da quella inglese delle “Grant Maintened Schools”.
Ichino, nel riassumere ai lettori la sua proposta, sostiene la necessità di ridurre il ruolo dello Stato come erogatore diretto di servizi. Il miglioramento del sistema sarà dovuto all’esito della concorrenza tra le scuole, al fine di attrarre i migliori studenti e i migliori docenti. Le scuole eccellenti dovrebbero poter ottenere uno status giuridico ed economico speciale, assumere la forma di consorzi di genitori e/o insegnanti, uscire dal sistema pubblico (“opting out”) pur mantenendo un finanziamento statale, acquisire una maggiore autonomia compresa la libertà di assumere e licenziare i docenti.
A. Gavosto (Fondazione Agnelli) accoglie come positiva l’opzione di dare maggiore autonomia gestionale e maggiore responsabilità agli organismi dirigenti a livello locale. Evidenzia, tuttavia, problemi d’applicabilità: gli istituti scolastici sono accorpati sotto dirigenze unificate ed è perciò difficile interpretare gli esiti dei vari segmenti; molto complessa appare la destrutturazione dell’organico docente e il trasferimento della gestione delle strutture scolastiche, con rischi di polarizzazione a livello di sistema.
P. Sestito (INVALSI) apprezza le spinte al cambiamento che possono derivare dal decentramento della responsabilità decisionale e dalla competizione emulativa, focalizzandosi sulla necessità di basarsi su misure, oggettive e comparabili, degli apprendimenti. Solleva però dubbi e perplessità: una sperimentazione diffusa dell’“opting out” potrebbe accrescere la varianza nella qualità dell’offerta formativa a danno delle scuole in difficoltà, a cui verrebbero inevitabilmente sottratte delle risorse per destinarle a quelle coinvolte nella sperimentazione. Si pronuncia a favore di una strategia più prudente e circoscritta di sperimentazioni locali, che agiscano sulla variazione del grado d’autonomia delle scuole, prima di una sua eventuale generalizzazione all’intero sistema scolastico.
D. Checchi esprime, a sua volta, perplessità per gli effetti “disegualizzanti” che l’autoselezione genererebbe sull’insieme del sistema scolastico, questa renderebbe attraente la possibilità di fuoriuscita dal sistema centralistico solo per le scuole migliori, lasciando gli elementi più deboli in carico al sistema pubblico.
Il numero speciale si conclude con la sezione “L’università tra riforma e valutazione”, dove compaiono un saggio di F. Miele, che propone un nuovo modello teorico per l’analisi critica delle recenti riforme universitarie; un intervento (G. Ragone) e la replica (C. Barone) al dibattito sulla riforma del 3+2, avviato nel primo numero di quest’anno della rivista.
Inoltre, è presente una sintesi (M. Vaira) di un dossier sulla valutazione delle università in quattro paesi europei (Francia, Germania, Inghilterra e Spagna) e sulle politiche dell’UE in materia – leggibili in formato open access nell’edizione digitale della rivista – che mette opportunamente in luce due fatti: le differenze dei contesti la fanno i sistemi produttivi e il mercato del lavoro e non viceversa; il sistema duale tedesco si dimostra molto più selettivo di quanto normalmente si creda, tanto che talora finisce per escludere proprio i destinatari di questa specifica offerta formativa (per approfondimenti si veda il sito web di “Scuola democratica”).
Recensione a cura della redazione di Education 2.0
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