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Robotica Creativa in ospedale

Pubblicato il: 13/12/2010 18:58:54 -


Contributi della Scuola dell’Infanzia in Ospedale “G.Gaslini” al Seminario “Insegnare e apprendere con la robotica” - ABCD di Genova.
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Nel corso della consueta fiera dell’educazione genovese, l’ABCD (17-19 novembre 2010), la Scuola in Ospedale ha avuto modo di presentare le sue esperienze relative alla robotica all’interno del seminario “Insegnare ed apprendere con la robotica”, indetto da Scuola di Robotica di Genova. Si è parlato degli aspetti creativi della robotica (Robotica Creativa), sistematizzati teoricamente, dopo una biennale esperienza in merito, presso il Day Hospital onco-ematologico dell’ospedale pediatrico genovese (anche altre esperienze, in merito, sono state effettuate dalla Scuola dell’Infanzia “Don Milani” di Latina dalla collega Linda Giannini).

Pur derivando dalla Robotica Educativa, mutuandone principi e impostazione teorica, la Robotica Creativa persegue degli obiettivi del tutto propri, relativi all’equilibrio ambientale, allo sviluppo della creatività e della “persona”, a livello trasversale, dimostrandosi idonea, non soltanto a promuovere gli apprendimenti a livello curricolare, ma, altresì, a favorire il perseguimento di obiettivi relazionali e metacomunicativi, di primaria importanza in un ambiente ospedaliero.

L’oggetto di costruzione della conoscenza (artefatto), nella Robotica Creativa, non viene realizzato con materiale “strutturato”, come nel caso dei kit di microrobotica, propri della Robotica Educativa, ma viene costruito con materiale di recupero (interamente riciclato, e quasi esclusivamente, tecnologico), non strutturato, potenziando egualmente la conoscenza individuale e la sua modellizzazione a livello autonomo.

Le consonanze tra la Robotica Educativa e la Robotica Creativa si sono colte, con maggior evidenza, negli artefatti creativi meccanizzati, che rappresentano il punto di raccordo tra le due discipline.

Il materiale non strutturato risulta incrementare il problem solving a livello esponenziale: le proprietà dei vari materiali, spesso, possono non combinarsi insieme; nuove strategie devono essere approntate al fine di assemblarli. Gli spunti per gli apprendimenti logico-matematico-scientifici sono risultati innumerevoli anche con gli artefatti creativi, pari a quelli offerti dalla microrobotica, ma con maggiori varianti individuali. Nell’intervento seminariale, si è cercato, inoltre, di fornire delle indicazioni educativo-didattiche circa il modo di attuare un percorso di Robotica Creativa.

Tale disciplina, comunque, non è risultata soltanto foriera di spunti didattici, ma, altresì, ha dimostrato di naturalizzarsi perfettamente con quelle che sono le esigenze psicologiche del bambino-ragazzo malato (ricordiamo che, nella Scuola in Ospedale, la fascia di età dell’utenza va dai 2 ai 16 anni e oltre. D’ora in avanti, sotto la denominazione “bambino malato”, per generalizzazione, si includerà anche l’adolescente).

Si è notato come, al bambino, tanto più se ospedalizzato, piaccia operare su oggetti concreti, in 3D, che lo alleviano dal mettere in primo piano le proprie competenze, come, per esempio, la “motricità fine”, spesso messa a dura prova dall’assunzione di farmaci chemioterapici e cortisonici, nonché dagli interventi chirurgici stessi; anche la possibilità di vedere in rete i propri lavori, grazie al blog di Robotica Educativa “Rob&Ide”, e la “messa in mostra” degli stessi (Scuola di Robotica organizza mostre periodicamente), hanno sortito degli effetti psicologici non trascurabili.

Il bambino malato, oltre ad aver riscoperto la sua parte “sana”, si è sentito parte di una realtà più ampia, che va oltre l’ospedale stesso, una realtà di condivisione; ha anche accettato il fatto di non “portare a casa” i propri lavori, che, invece, diventeranno, successivamente, oggetto di mostre e saranno visibili in rete. Tutto questo è risultato di notevole importanza, se si considera che il bambino emato-oncologico, proprio per il suo stato di precarietà, tende a collegare il “fare”, il “creare”, il “produrre” all’esigenza di lasciare un “segno” del suo “passaggio”.

Si è riservata, inoltre, una particolare attenzione al tipo di comunicazione che si instaura tra insegnante che “assiste”, “accompagna” e “sostiene” il bambino nel suo “atto creativo”: relazione mediata dall’”oggetto”, incentrata sul “fare creativo”, che diviene fonte di un legame denso di significato… di un “far essere insieme”. La centralizzazione comunicativa sull’”oggetto” è fondamentale per il bambino malato, proprio perché questi non ama mettersi in “primo piano”, a causa dell’ibridazione del sé conseguente all’ospedalizzazione e ai suoi traumi.

A conclusione dell’intervento, si è lasciato spazio ad alcuni spunti metariflessivi, che hanno messo in risalto come l’oggetto “robot” sia risultato foriero di assonanze e di proiezioni da parte del bambino ospedalizzato. Il tipo di malattia emato-oncologica lascia evidenti “segni” della sua presenza sul “corpo”; termini come “rotto”, “malato”, “guasto”, spesso, nell’utilizzo semantico della nostra cultura, hanno delle valenze simili, tanto da farci supporre che sia stato dovuto a questo il successo che tale tipo di attività, basata esclusivamente sul recupero di materiali di riciclo, ha riscosso presso i nostri bambini. Il “robot”, anche nella categoria dei giocattoli, viene annoverato tra quelli facente funzione di “personaggio”; nell’immaginario collettivo, poi, per lo più, viene vissuto come figura inusuale, curiosa, simpatica e divertente, specie nelle opere destinate al pubblico infantile: quale vissuto empatico può svilupparsi tra robot e bambino malato?

Si è concluso l’intervento con una curiosità, che ci offre un ulteriore spunto metariflessivo: il termine “robot”, in ultima analisi, semanticamente, risulta racchiudere in sé significati che hanno a che fare col mondo della “sofferenza” e del “disagio”, comune anche ai nostri bambini…

Le conclusioni relative all’utilizzo “creativo” della robotica in ospedale sono state, indiscutibilmente, positive, non solo da un punto di vista educativo-didattico, ma soprattutto per le numerose valenze psicologiche che questo strumento ha dimostrato di offrire, nell’approccio col bambino ospedalizzato.

Immacolata Nappi

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