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Educo ergo sum

Pubblicato il: 13/05/2010 18:12:14 -


“Nell’ultimo racconto Missaglia affida al dialogo tra due insegnanti, uno al termine e l’altro all’inizio della carriera, le sue riflessioni sul presente della scuola, del sindacato e della politica. Ne esce un quadro di estrema difficoltà per la scuola pubblica in una società dove conta solo ciò che serve a breve termine, in cui l’educazione è considerata un bene irrilevante”. Fabrizio Dacrema ha letto per Education 2.0 il nuovo libro di Dario Missaglia.
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In questi nove racconti Dario Missaglia affronta con tono lieve i temi da lui abitualmente trattati in forma saggistica: scuola, educazione, politica. Non si tratta tanto di una scelta guidata dal desiderio di alleggerire la lettura, quanto dall’esigenza di mettere al centro, non l’analisi teorica, ma l’esperienza e la testimonianza. I protagonisti dei racconti sono infatti tutti educatori le cui storie hanno in comune una coerenza stringente tra il dire e il fare come prima imprescindibile esigenza di ogni azione educativa efficace: i ragazzi sono implacabili nel misurare le nostre incoerenze, ammonisce in un racconto. Dialoghi e riflessioni presenti nei racconti favoriscono la trasposizione politica di questo imperativo pedagogico in una sorta di appello alla politica scolastica della sinistra perché ritrovi una nuova credibilità nella coerenza tra principi predicati e obiettivi effettivamente praticati, tra proposte di cambiamento e modi concreti di fare scuola. È questa la condizione affinché, come sostiene Luigi Berlinguer nella sua appassionata introduzione, la priorità scolastica per la sinistra non sia sempre seconda a qualcos’altro, ma diventi una “proposta moderna e coraggiosa che faccia giustizia della vecchie aule, della cattedra come simbolo di un altro mondo, di una trasmissione autoritaria e ormai impotente del sapere”.

Le storie raccontate da Missaglia, per molti aspetti autobiografiche, rivelano la sua passione per l’educazione, del resto già evidente nel titolo dato al volume. I protagonisti dei racconti sono animati dalla medesima convinzione circa la relazione educativa come paradigma dell’autenticità della relazione. È, infatti, l’intenzionale apertura all’altro che permette ai diversi educatori di relazionarsi agli allievi riconoscendone sempre l’irriducibile diversità come punto di partenza di ogni intervento finalizzato a mettere in atto le condizioni necessarie perché ognuno realizzi il proprio progetto di vita. I protagonisti dei racconti, benché animati da convinzioni fortemente interiorizzate, non sono motivati all’azione educativa dalla volontà di trasferire all’altro la propria verità, ma dalla scelta di permettere ad ogni persona di realizzare la propria ricerca. I maestri, i professori, i dirigenti scolastici, i giudici dei minori, gli educatori di comunità che popolano questi racconti sono al tempo stesso laici e solidali, capaci di unire uno spiccato senso della libertà ad una convinta etica della responsabilità che li spinge ad agire perché la scuola, nelle sue varie forme, assicuri ad ogni persona quelle competenze di cittadinanza sui cui si gioca l’inclusione e l’esclusione sociale.

Non mancano naturalmente i riferimenti ai grandi temi delle riforme necessarie per migliorare la qualità del nostro sistema scolastico, ma dai racconti emergono pratiche didattiche apparentemente finalizzate a motivare i casi più difficili, ma in realtà adatte a migliorare i livelli di apprendimento di tutti. Tutte le esperienze educative descritte nei racconti hanno infatti in comune il punto di partenza: quello che il soggetto in apprendimento sa e sa già fare, i suoi interessi e motivazioni quali leve per rafforzare la fiducia in sé e sviluppare l’autostima. Sembra banale, ma la lettura di queste esperienze educative anche collocate lontane nel tempo ? alcune risalgono ai primi anni Settanta ? rende evidente la grande distanza che le separa dalle modalità trasmissive tutt’oggi prevalenti. Ed è prioritariamente su questo ritardo accumulato nel modo di fare scuola, sembrano dirci i racconti di Missaglia, che occorre intervenire con maggiore urgenza e radicalità. Si delinea così, a partire dalle buone pratiche descritte nei racconti, una professionalità docente in cui la dimensione etica si coniuga con quella tecnico-professionale. Gli insegnanti protagonisti dei racconti sono al tempo stesso profondamente consapevoli dell’inevitabile e decisiva influenza delle loro scelte sul destino degli allievi e dell’ineliminabile dimensione dell’incertezza che caratterizza il lavoro docente. Una condizione esistenziale e professionale a cui molti cercano di sottrarsi rifugiandosi nell’artificiale oggettività del sapere disciplinare da trasmettere e della valutazione, mentre può essere fronteggiata solo attraverso la ricerca professionale continua e l’innovazione organizzativa e didattica finalizzata all’individualizzazione dei percorsi.

Nell’ultimo racconto Missaglia affida al dialogo tra due insegnanti, uno al termine e l’altro all’inizio della carriera, le sue riflessioni sul presente della scuola, del sindacato e della politica. Ne esce un quadro di estrema difficoltà per la scuola pubblica in una società dove conta solo ciò che serve a breve termine, in cui l’educazione è considerata un bene irrilevante. Non mancano critiche anche alla sinistra politica e sindacale troppo spesso sulla difensiva rispetto alle politiche distruttive della destra, “a furia di arretrare ci siamo smarriti, non siamo più in grado di leggere la società che ci circonda”. La lucida percezione della grave difficoltà in cui versa oggi la sinistra scolastica convive con lo spirito di tutti i precedenti racconti costantemente tesi a raccontare come la realtà ? “questo terribile e intricato mondo” direbbe Enrico Berlinguer ? possa essere conosciuta, interpretata, trasformata. È questa la forza che fa dire a Filippo, anziano insegnante della Cgil, “ce la faremo”.

Fabrizio Dacrema

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