L’Analogia: Cuore della cognizione – I parte
La scuola di Bologna conferisce la Laurea ad honorem a Douglas Hofstadter: questa la prima parte della laectio magistralis del professore.
“Bononia” e la sua universitas non sono affatto posti alieni per me; anzi, sono luoghi preziosi e cari. Nel 2001–2002, ho passato un anno sabbatico all’Unibo con i miei figli Danny e Monica, ospitato dai Dipartimenti di Matematica (grazie ad Alberto Parmeggiani) e di Glottologia (grazie ad Alex Passi), con l’aiuto dell’Istituto di Studi Avanzati (grazie, Roberto Scazzieri) nonché della Scuola Superiore di Studi Umanistici (grazie, Umberto Eco), e dopo quell’anno sono tornato a Bologna tante volte che a contarle non riuscirei. Basta dire che per me è uno dei posti più importanti nel mondo, ed è per tale ragione che mi sento così onorato in questa occasione splendida e commovente. Vorrei esprimere molte grazie al Magnifico Rettore Ivano Dionigi che, 12 anni fa, in qualità di Direttore del Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale, mi ha invitato a partecipare a un simposio che aveva organizzato sul poeta romano Lucrezio. Così ci siamo conosciuti e ho un bel ricordo di un paio di mattinate gradevoli passate nel suo ufficio, discutendo De Rerum Natura nonché della natura del mio intervento. Il simposio su Lucrezio ha avuto luogo con éclat, e ancora, 12 anni più tardi, continua ad avere molti effetti positivi nella mia vita. Che bella cosa!
Vorrei anche esprimere tante grazie all’ex-Rettore Fabio Roversi Monaco, anche lui Magnifico, per aver voluto conferire una laurea ad honorem a mio padre Robert Hofstadter, un evento che purtroppo non si è mai svolto, dato che mio padre era troppo malato per attraversare l’oceano. Finalmente oggi, 23 anni dopo la sua scomparsa, il suo diploma è stato consegnato a me. Apprezzo enormemente il simbolismo inerente a questo evento a due facce.
E vorrei esprimere la mia gratitudine senza limiti al mio collega e caro amico Maurizio Matteuzzi, che è all’origine di questa cerimonia. È stato lui a concepire l’idea di una laurea ad honorem per me da parte dell’Alma Mater Studiorum, ed è stato principalmente lui a spingere e tenere viva questa idea per un lungo periodo. Il frutto di tutto questo lavoro si realizza oggi e qui. Sono davvero grato a Maurizio, nonché al suo giovane collega Francesco Bianchini, per tutto quel che hanno fatto per me.
Ci sono tanti altri cari amici bolognesi che vorrei ringraziare per la loro amicizia di lunga data e per il loro sostegno fedele, ma sarebbe artificiale citare solo certi nomi, quindi mi fermo qui, per poter passare a un argomento che mi sta a cuore: il ruolo centrale delle analogie nel pensiero.
Nel 1854, il matematico britannico George Boole pubblicò “The Laws of Thought” – un libro il cui argomento, malgrado il suo titolo, non era la psicologia bensì la logica. Ai tempi di Boole, si supponeva che i processi sottostanti il pensiero umano appartenessero alla logica, visto che tutti sapevano o ritenevano che ciò che distingue gli umani dagli animali è il fatto che noi ragioniamo, ma gli animali no. Questo era visto come il marchio ufficiale della mente umana. Nel XX secolo, anche se gli psicologi hanno studiato il pensiero infantile, hanno riservato scarsa attenzione al pensiero degli adulti, poiché la sua chiave era chiaramente la logica.
Attorno al 1960, tuttavia, lo psicologo inglese Peter Wason ha scoperto varie circostanze in cui il pensiero adulto era tutto tranne che logico; questo ha condotto a nuovi approcci mettendo in luce fenomeni mentali lontani dalla ragione.
Tra le nuove strade investigate dagli psicologi c’era l’analogia. È stato Aristotele il primo a definire e discutere l’analogia, concentrando la sua attenzione su casi della forma “A sta a B come C sta a D” (per esempio, “Democrito sta agli atomi come Aristotele sta alle analogie”, oppure “il Papa sta alla Chiesa come il papà sta alla casa”). Gli psicologi, pur riconoscendo che il pensiero analogico andava ben oltre tali “analogie proporzionali” con il loro sapore rigoroso e quasi-matematico, hanno comunque limitato i loro studi dell’analogia al suo ruolo nella risoluzione di problemi formali e nel ragionamento scientifico. Questo ha costituito senz’altro un notevole avanzamento, ma ciononostante, nei congressi di psicologia odierni, l’argomento dell’analogia è generalmente incluso soltanto in sessioni dedicate ai processi di ragionamento; in altre parole, invece di essere considerata centrale nella cognizione, l’analogia tende tutt’oggi ad essere vista meramente come un sofisticato strumento di logica, a cui si attinge solo in speciali circostanze piuttosto rare. Anche dopo tutti questi anni, dunque, l’analogia rimane purtroppo marginalizzata dai professionisti, come se fosse, per così dire, la Cuorgnè della cognizione. E se per caso non sapete che cos’è o dov’è Cuorgnè, tanto meglio!
Questo rivela perfettamente il problema – Cuorgnè, bel paesino piemontese, sebbene sia pittoresca e incantevole, è piccola e remota anziché dominante e centrale. Questa percezione quasi universale della natura del pensiero analogico è un gran peccato, perché in realtà l’analogia pervade profondamente il pensiero. Lungi dall’essere la sperduta Cuorgnè della cognizione, o forse la splendida Sardegna o perfino la tosta Toscana della cognizione, l’analogia è di una natura del tutto diversa: l’analogia è il vasto sistema di trasporti della cognizione, che comprende tutti i binari ferroviari, tutte le rotte aeree, tutte le autostrade e le superstrade, tutte le strade statali, tutti i ponti, tutti i grandi viali, tutte le vie locali, tutti i minuscoli vialetti e perfino tutti i marciapiedi, tutti i sentieri e tutti i corridoi, tutte le scale che vanno su nonché quelle che vanno giù – per farla breve, l’analogia è ciò che ci porta ad ogni destinazione mentale possibile. È il modo di arrivare ad ogni idea, per quanto sia piccola o banale. Invece di essere rare, le analogie sono eventi mentali ipercomuni, anzi onnipresenti, generati parecchie volte ogni secondo, ed è solo grazie alla continua cascata di analogie nel nostro cervello che riusciamo ad orientarci nel mondo. Mettiamola così: della cognizione l’analogia non è per niente la Cuorgnè; al contrario, ne costituisce il cuore. E ovviamente, privato del suo cuore, il pensiero morirebbe sul colpo.
Ma che cos’è il pensiero analogico se non consiste in esercizi formali, magari divertenti, come “Che cosa sta all’Italia come l’analogia sta al pensiero?” o “Che cosa sta a Ginevra come la torre Eiffel sta a Lutezia?”? Un’analogia consiste principalmente nella percezione rapidissima di importanti, ma spesso nascosti, elementi comuni tra due situazioni – anzi, tra due strutture mentali.
Una di queste due strutture mentali è appena stata costruita, e rappresenta una nuova circostanza nella nostra vita, una situazione che stiamo affrontando nel momento presente. È il riflettersi nella nostra testa di una circostanza esterna (o a volte interna).
L’altra struttura mentale è vecchia, nel senso che esisteva già nel nostro cervello; essa rappresenta un qualche aspetto della nostra passata esperienza immagazzinata in una maniera condensata. Un altro nome per tali strutture mentali già esistenti è concetto o ricordo. In una parola, dunque, un’analogia adeguata permette a una persona (o a un animale) di associare una cosa nuova a un concetto già esistente, cioè di trattare qualcosa di fresco e non conosciuto come se fosse familiare.
Quale potrebbe essere l’utilità di una tale associazione creata in un lampo? Ebbene, se io lascio perdere gli attributi di superficie della situazione che affronto per invece focalizzarmi sulle sue proprietà più astratte, posso trarre vantaggio dalle mie conoscenze passate per orientarmi in questa situazione sconosciuta. Eccone l’utilità, ed è enorme.
Se dovessimo affrontare il mondo senza mai poter fare assegnamento sul nostro passato, saremmo simili a perenni neonati per i quali ogni sensazione fosse totalmente nuova. Eppure, e per fortuna, non è la nostra sorte. Anzi, se è vero che ci troviamo continuamente di fronte a situazioni nuove di zecca, non si tratta di situazioni senza precedenti. Pensate, per esempio, a un ascensore in un albergo che non conoscete – diciamo, in un albergo a Cuorgnè. Per usarlo, fate affidamento inconsciamente sulle esperienze precedenti che avete avuto in altri alberghi e in molti altri luoghi. Innanzitutto, avete un’intuizione non verbale che un ascensore si troverà molto probabilmente in un’area leggermente incassata nel muro di un corridoio vicino alla reception, e avete un’altra intuizione su dove, nel muro, si troveranno uno o più pulsanti di chiamata – approssimativamente a quale altezza, a quale distanza dalle porte, e inoltre quale grandezza avranno, e quale forma.
Siete in grado di anticipare quali sensazioni proverete nel premere quel pulsante (quanto è duro, quanto si sposterà, la sua temperatura, ecc.), e che esso, oppure una spia nei pressi, in quel momento potrà cambiare colore. Vi aspettate un piccolo “ding” quando arriva una cabina dell’ascensore, e vi aspettate, dopo un “ragionevole” lasso di tempo (qualche secondo), che una porta si apra scorrendo, o forse che due porte si aprano separandosi. Vi aspettate che la cabina abbia un pavimento rettangolare grande più o meno come quello di una piccola stanza, e forse che una delle sue pareti abbia uno specchio. Vi aspettate un pannello di pulsanti su uno o entrambi i lati della porta, e avete di nuovo aspettative sulle forme, le dimensioni, e la disposizione di quei pulsanti. E sapete come usare i pulsanti grazie all’esperienza non soltanto con gli ascensori, ma con le tastiere dei computer, i telecomandi della TV, i cruscotti delle macchine, e così via. Tutte queste analogie, a molti livelli di scala, scaturiscono spontanee nelle nostre menti. Si producono istantaneamente e inconsciamente. Se alcune sono futili e trascurabili, altre sono cruciali e indispensabili. Infatti, se fossimo all’improvviso privati della nostra capacità di fare analogie, la nostra vita sarebbe un caos continuo, e ahimè, non sopravviveremmo a lungo.
Qualcuno potrebbe protestare dicendo che quando cerchiamo e poi usiamo un ascensore in un albergo non familiare, non si tratta di un’analogia (per non parlare di molte) ma solo di uno sfruttamento di esperienze vissute nel passato. Questa reazione, per quanto genuina, è molto ingenua. Certo, quel che facciamo ad ogni momento dipende intimamente dal passato, ma come si potrebbe mai approfittare del passato se non facendo un confronto sistematico e rapido tra vari aspetti particolari della nuova situazione (tradotta e compressa in una struttura mentale) e aspetti corrispondenti di certe situazioni precedenti immagazzinate in memoria e riaffioranti con grande precisione? Senza un fascio coerente di corrispondenze mentali, non c’è comprensione. E questo fascio coerente di corrispondenze scoperte quasi istantaneamente è dotato di un nome. Il suo nome è analogia.
Correlati:
• Dal concetto di “analogia” alla nozione di “teoria”, di Francesco Bianchini
• Laudatio di Douglas Hofstadter, di Maurizio Matteuzzi
• Biografia scientifica di Douglas Richard Hofstadter
• Speakeraggio della Cerimonia del 27 maggio 2013
• Presentazione dell’evento sul sito dell’Università di Bologna
Douglas Hofstadter